Il tormento dell’eculeo

VALENTIN [Jean de Boulogne]

Martirio dei SS Processo e Martiniano
(1629)

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i questo strumento di tortura, di uso assai frequente, si fa ricorrente menzione negli scrittori antichi. Ce ne parlano Cicerone nelle sue orazioni (Pro Deiotaro 3, Pro Milone 21,57), Valerio Massimo (Facta et dicta memorabilia III,3,3; VI,6,8; VIII,8,14), Seneca (De ira III,3.19), Quintiliano (Declamatio XIX,5.11.15), Ammiano Marcellino (Rerum gestarum XXVIII,1,19).

 
 

    Vi si accenna nelle opere seriori degli scrittori cristiani, da Cipriano di Cartagine (Ad Donatum 10; De lapsis 13) a Prudenzio (Peristeph. V,89-92; X,491-493). Isidoro di Siviglia tratta brevemente dell’eculeo nelle sue Etymologiæ (V,27,20-21):

 

Ungulæ dictæ quod effodiant. Hæc et fidiculæ, quia his rei in eculeo torquentur, ut fides inveniatur. Eculeus autem dictus quod extendat.

 

Ricorre talvolta nell’Epistolario dei Padri, da Girolamo (Epist. ad Innocentium 1,3.5) ad Agostino (Epist. 133 ad Marcellinum 2). È menzionato un’infinità di volte negli Atti dei martiri. Se ne parla ampiamente nell’opera storico-giuridica di Carlo Sigonio (De Antiquo jure civium romanorum, Italiæ, provinciarum, ac Romanæ iurisprudentiæ iudiciis, Venetiis 1560, III,17).

 

 

Una trattazione sistematica dei vari strumenti adoperati per suppliziare i rei si ha soltanto alla fine del XVI secolo, grazie alla paziente opera del sacerdote oratoriano romano Antonio Gallonio († 1605), il quale trattando nel III capitolo proprio dell’eculeo, nominato dagli scrittori sopradetti, così ebbe ad esprimersi:

 

Convengono costoro insiem, che l’equuleo fosse un’instrumento di martirio, rotrovato principalmente per fare a’ delinquenti confessare la verità de’ loro delitti; se bene in processo di tempo, massime contra Christiani, fu da’ giudici usato, affinche maggior pena, e più acuti dolori eglino sentissero. [...] uno’instrumento antico di legno, ritrovato per martoriare, fatto à foggia di un cavalletto con quattro piedi, e con alcune girelle dalle parti, accomodate nel modo che hora s’esplicarà.

Pigliavasi, per farmi dal principio, un legno convenevolmente lungo, e grosso, rilevato da tutte le sue parti da terra, conficcato sopra quattro legni, come quattro gambe, due da capo, e due da piedi, con due girelle attaccate da i capi, una per banda; alle quali si avvolgevano le funi, & alle funi da una parte si legavano i piedi di colui che doveva tormentarsi, il quale sopra il legno con le gambe aperte si metteva à cavallo: dall’altra parte di poi all’altra fune si legavano le mani di dietro la schiena fra le legate: il che fatto stiravano i carnefici le funi, & il reo col viso volto verso ’l cielo sopra la machina dell’equuleo si stendeva: e come l’havevano legato: & il giudice, mentre in si dolorosa maniera lo vedeva, soleva essaminarlo.[1]

 

 

A. Gallonio, Trattato instrumenti di martirio, eculeo
A. TEMPESTA, Il tormento dell'eculeo, incisione per il libro del Gallonio
 

 

  Il nome del terribile congegno deriva da equus, cavallo, talvolta denominato anche cavalletto e più tardi capra.

 

   Che si legassero le mani dietro ai lombi, lo si desume dagli scrittori cristiani vissuti al tempo dell’ultima persecuzione. Così Eusebio di Cesarea, ci riporta che «gli uni, in verità, erano legati, appesi al legno e, con l’aiuto di mangani, si stiravano loro tutte le membra» [Οὶ μὲν γὰρ ο̉πίσω τὼ χει̃ρε δεθέντες περὶ  τὸ  ξύλον ε̉ξηρτω̃ντο καὶ μαγγάνοις τισὶ διετείνοντο πα̃ν  μέλος ] (Hist. eccl. VIII,10,5); e Prudenzio conferma, mettendo sulle labbra del prefetto Daciano gli ordini dati ai carnefici (Peristeph. V, Passio Sancti Vencenti martyris, 89-92):

 

Vinctum retortis bracchiis

sursum ac deorsum extendite,

conpago donec ossuum

divulsa membratim crepet.

 

come pure fa, riportando le parole pronunciate da San Romano, proprio dall’alto dell’eculeo (Peristeph. X, Sancti Romani martyris contra gentiles dicta, 491-493):

 

Miserum putatis, quod retortis pendeo

Extensus ulnis, quod revelluntur pedes,

Compago nervis quod sonat crepantibus:

 

Le corde, che tenevano legati gli arti, facevano capo a un martinetto, mediante il quale venivano gradualmente tese le membra; e sappiamo che poteva aversi che lo stiramento avvenisse fino al quarto o addirittura al quinto dente della ruota, così come ci racconta più volte Eusebio: per i martiri di Lione del 177, che subirono il supplizio dello «stiramento delle gambe sull’eculeo sino al quinto dente» [«τὰς ε̉ν τω̣̃ ξύλω̣ διατάσεις τω̃ν ποδω̃ν ε̉πὶ πέμπτον διατεινομένων τρύπημα»] {Martyrium Lugdunensium (V),1,27}; per i discepoli del vescovo egiziano Filea, nel 306 ad Alessandria, «giacenti sul ceppo, ambedue le gambe distese per quattro buchi» [« ε̉πὶ του̃ ξύλου κείμενοι, διὰ τω̃ν τεσσάρων ο̉πω̃ν διατεταμένοι άμφω  τω ̀ πόδε»] (Hist. eccl. VIII,10,8), seguiti in ciò anche dal loro vescovo, che venne sottoposto a stiramento «sotto i quattro fori» [«ύπ[ὸ] τ[έ]σσερα κεντ[ήματα»] (Acta Phileæ [testo greco Papyrus Bodmer XX] 1,9).

 

Era possibile addirittura che sopraggiungesse, per l’eccessiva foga dei carnefici, il caso limite della fuoriuscita per intero dell’osso dall’articolazione. Lo stiramento poteva durare anche per più giorni, come ci dice sempre il Vescovo di Cesarea riguardo a Origene, che «per parecchi giorni, i piedi stirati fin sotto il quarto  foro  del  cavalletto di tortura, …  sopportava  la  sua  pena  valorosamente» [«καὶ ώς ε̉πὶ πλείσταις ήμέραις τοὺς πόδας ύπὸ τέσσαρα του̃ κολαστηρίου ξύλου παραταθεὶς διαστήματα ... καρτερω̃ς ήνεγκεν»] (Hist. eccl. VI,39,5).

 

 
 

 

San Girolamo ci descrive le ulteriori crudeltà cui erano fatte oggetto in particolare le donne, una delle quali «crines ligantur ad stipitem et toto corpore ad eculeum fortius alligato vicinus pedibus ignis adponitur, utrumque latus carnifex fodit nec papillis dantur indutiæ» (Epist. ad Innocentium 1,5).

 

Per ultimo, si disponeva «che si allentassero le funi, & il reo allhora col corpo curvo, & inarcato, stesse sotto l’equuleo, ò cavalletto, pendente, & ivi fosse essaminato»[2]: «A Pionio che taceva, sospeso alla macchina di tortura, fu ingiunto: ‹ Sacrifica ›. Risposta: ‹ No › » [Σιωπω̃ντι δὲ  τω̣̃  Πιονίω̣ καὶ̀ κρεμασθέντι ε̉λέχθη· «Θύεις;». ’Απεκρίνατο· «Ού»] (Martyrium Pionii 20,1).

 

 
 

 

Talvolta capitava che la morte venisse fatta seguire poco dopo, col reo ancora avvinto alla macchina di tortura, come ci riporta ancora Eusebio: «dopo avere avuto i piedi stirati tutt’un giorno e una notte fin sotto il quarto foro del cavalletto di tortura … (scil. Alfeo e Zaccheo) furono decapitati» [«(’Άλφειος καὶ Ζακχαι̃ος) νυχθήμερον ύπὸ τέσσαρα του̃ κολαστηρίου ξύλου κεντήματα τούς πόδας παραταθέντες ... τὰς κεφαλὰς α̉πετμήθησαν»] (De mart. Palæst. I,5); «(scil. Romano) dopo avere avuto lui solo ambedue i piedi stirati sotto il quinto foro, mentre ancora giaceva sul legno gli fu gettata una  corda al  collo,  e  in  tale maniera,  come  da  sempre  desiderava, fu ornato del martirio»   [«(‘Ρωμανὸς) μόνος ύπὸ πέντε κεντήματα άμφω τὼ πόδε διαταθείς, ε̉ν αυ̉τω̣̃ κείμενος τω̣̃ ξύλω̣ βρόχω̣ περιβληθείς, ώς καὶ ε̉πεπόθει, μαρτυρίω̣ κατεκοσμήθη»] (ibid. II,4).

 

Nella pur leggendaria passio Marcelli, leggiamo che il prefetto Carpasio «adduxit in conspectum suum eculeum, et jussit suspendit Crescentianum et fustibus cædi, in cospectu Cyriaci, Largi et Smaradgi. Et cum diu attraheretur nervis, et fustibis cæderetur, et ungulis raderetur, voce magna clamabat dicens: Gloria tibi Domine Jesu Christe, qui nobis ad gratiam tuam dignatus es vocare. Carpasius dixit: Date flammas ad latera ejus. Et cum diu incendio constrictus ureretur, emisit spiritum»  (AA.SS. Ian. II, p. 372)

 

Le conseguenze di questo tipo di supplizio potevano essere irrimediabili; ci è noto che lo stesso scrittore cristiano Origene, ad esempio, sottoposto a tortura nelle galere di Cesarea di Palestina durante la persecuzione di Decio (249-250), uscito vivo da questo tipo di supplizio (supra), non sopravvisse a lungo (Orig., Exh. ad martyr. 7, trad. it. N. Antoniono, Milano 1985, p. 39).

 

Si può avere un’idea piuttosto attendibile della terribile macchina osservando i disegni di Giovanni de Guerra incisi da Antonio Tempesta per il Trattato del Gallonio, ovvero visionando alcune opere pittoriche che raffigurano scene di supplizio, quali il Martirio dei Santi Processo e Martiniano del Valentin (1629), conservato nella Pinacoteca Vaticana.

 

 
 

 

A questo tipo di tortura – stando alle fonti pervenuteci – furono sottoposti anche i Santi Martiri Larinesi, così come ci attestano sia il Vescovo laertino sia l’erudito da lui incaricato di fare ricerche sulle loro gesta:

 

Quanto alla specie del Martirio, la fama, e le pitture, che sono tra’ Larinati, e altrove, ci fanno sapere, che questi nostri Santi dopo il tormento dell’Eculeo venissero sottoposti alla mannaja, e come dice Sozomeno[3]: Equuleus ξύλον βασανοστήριον erat machina lignea equo similis, cui imponebantur qui torquebantur. Lo stesso asserisce il ch. Polidori […] Quoad Martyrium, et mortis genus attinet, constans est utriusque Ecclesiae, cioè di Larino, e di Lesina, traditio, eos coram Preside Christianam fidem confessos, equuleo fuisse tortos, ac demum obtruncato capite ad Christum migrasse.[4]

 

E nel Proprio napoletano voluto dal cardinal Carafa nel 1619 si conferma:

 

Primianus Larinas inclytus Christi Martyr, fratres Germanos habuit Firmianum, et Castum. Hi quum simul Christo nomen dedissent, in sævissima Diocletiani, et Maximiani Imperatorum persecutione delati, ob Christianæ Fidei confessionem equuleo torquentur. Frustra verò tormentis, atque blanditiis tentati, ut Idolis sacrificarent, extra Larinum Idibus Maii, Castus verò die sequenti, securi percussi, Martyrium compleverunt.[5]

 

   Trattando dei nostri Martiri, faccio qui notare – per inciso – l’incongruenza della ricostruzione proposta dal Ricci (Fogli abbandonati..., p. 40), che immagina l’eculeo piazzato davanti al tempio di Marte, sopra il quale i Martiri sarebbero stati decapitati. Trattasi di una ricostruzione del tutto fantasiosa, giacché questo strumento era usato durante gli interrogatori – presente quindi il governatore provinciale –, in luogo apposito previsto per il giudizio.

 

 
 

  

L’uso di strumenti di tortura – abbiamo detto – poteva durare anche più giorni per cui non era infrequente che la morte sopravvenisse in questo drammatico contesto: tra i martiri di Lione del 177, la giovane schiava Blandina venne sottoposta ai tormenti – frustate, graticola rovente e di altro tipo – ininterrottamente per un’intera giornata, mentre i suoi carnefici «si davano il turno… si ritrovarono sfiniti e furono obbligati a darsi per vinti» [«ή Βλανδι̃να τοσαύτης ε̉πληρώθη δυνάμεως ώστε ε̉κλυθη̃ναι καὶ παρεθη̃ναι τοὺς κατὰ διαδοχὰς παντὶ τρόπω̣ βασανίζοντας αυ̉τὴν α̉πὸ έωθινη̃ς έως ε̉σπέρας καὶ αυ̉τοὺς όμολογου̃ντας ότι νενίκηνται, μηδὲν έχοντες μηκέτι ὸ ποιήσουσιν αυ̉τη̣̃»] [Martyrium Lugdunensium (V),1,18); sempre a Lione, il diacono Santo, dopo aver subito tutta una serie di tormenti, tra cui lamine incandescenti alle parti intime, venne torturato nuovamente dopo alcuni giorni [ibid. (V),1,20-24]; così pure Euplio di Catania, ancora torturato dopo una settimana, anche con uncini di ferro con cui gli si perforarono i timpani [Martyrium Eupli (BHG, p. 630)] .

 

Ancora il Gallonio ci conferma quanto desunto dagli acta e dalle passiones, circa la dovizia di crudeli mezzi di offesa ai corpi dei rei:

 

Aggiungevano ben spesso ... altri tormenti insieme, come per essempio lampadi accese, faci ardenti, e lame infocate a’ piedi, a’ fianchi, & al restante del corpo; ò pure, come molte volte accadeva, con ungule, pettini, ò somiglianti, miserabilmente lo squarciavano.[6]

 

 
 

 

Difatti, oltre all’eculeo erano usati altri strumenti di tortura, quali uncini per straziare i fianchi (Pionio, Vincenzo di Saragozza), e di più piccoli per traforare i timpani (Euplio), punte acuminate su cui venivano distesi i corpi, flagelli, fruste, anche nei casi di bambini (Giusto e Pastore), lamine incandescenti applicate alle parti più sensibili (Santo di Vienne), graticole (il diacono romano Lorenzo, la vergine Fede di Agen, i martiri di Lione), ruote fornite di punte acuminate (Caterina d’Alessandria), lesine incandescenti sotto le unghie (Benigno di Digione) o addirittura pettini per cardare la lana, usati secondo una passio leggendaria, per scarnificare il corpo di Biagio, vescovo armeno di Sebaste [od. Sivas, Turchia].

 

Alcuni racconti piuttosto leggendari ci raccontano della bruciatura dei capelli (Eulalia di Mérida), dello schiacciamento con macine (Vittore di Marsiglia), di cocci di vasi o di carboni ardenti sui quali farli camminare (Agata). Le passiones ci riportano poi i casi estremi – non si sa quanto veritieri –, che spesso conducevano a morte certa, del piombo fuso o della pece ardente in cui venivano immersi i condannati (Crispino e Crispiniano, Lucia, Vito) o anche di forni in cui gettare i loro corpi ancora in vita (Cristina di Bolsena, Eugenia) o di  fossi colmi di calce viva (Giorgio di Lydda).

 

Celebre è rimasto il caso dell’Apostolo Giovanni, uscito indenne dalla condanna all’immersione nell’olio bollente, e quindi relegato a Patmos, durante la persecuzione di Domiziano (Tert., De præscr. hær. 36,2-3).

 

 
 

 

La sadica fantasia ricorreva ai serpenti velenosi (Cristina di Bolsena) o alle formiche, dopo aver cosparso il corpo di miele (Mama di Cesarea) o a pietre appese al collo prima di far colare i martyres designati a picco nel mare (papa Clemente I, Balbina ed Eugenia di Roma, Cristina di Bolsena) oppure in un più domestico pozzo (papa Callisto I, Lucio di Coira).

 

Sappiamo del taglio delle mammelle (Barbara, Agata, Caterina d’Alessandria) o della lingua (Cristina di Bolsena), dell’amputazione delle mani e dei piedi (Adriano di Nicomedia), eseguiti con gli strumenti più impensabili (ad es. seghe per l’Apostolo Simone lo Zelota), dei denti fatti saltare a suon di percosse (Apollonia di Alessandria), del dissanguamento vero e proprio a seguito di una mancata decapitazione (Cecilia di Roma).

 

Tuttavia va ricordato che la fantasia popolare tendeva a dilatare a dismisura la varietà e la durata dei supplizi, sicché possiamo imbatterci nei ventiquattro differenti strumenti di tortura adoperati durante l’interrogatorio dei Santi Clemente di Ancira ed Agatangelo, svoltosi peraltro in sei città differenti e della durata di ventotto (!) anni (AA.SS., Ian. II, pp. 459-460).

 

 

 

Bibliografia:

 

AA.SS. Acta Sanctorum quotquot toto Orbe coluntur, ed. Bollandus et al., Antverpæ 1643-1644, riediz. in 60 voll., Parisiis 1966-1971

Atti e passioni dei martiri, edd. A.A.R.  Bastiaensen-A. Hilhorst-G.A.A. Kortekaas-A.P. Orbán-M.M. van Assendelft, Roma-Milano 20076

Eusebius Cæsariensis, Historia ecclesiastica, V; VI; VIII : PG XX

A. Gallonio, Trattato de gli instrumenti di martirio e delle varie maniere di martoriare usate da’ gentili contro christiani, Descritte et intagliate in rame, Roma 1591 (altre edd.: in lat. De sanctorum martyrum cruciatibus..., Romæ 1594, Parisiis 16592; in fr. Traité des instruments de martyre et des divers modes de supplice employés par les païens contre les chrétines, Paris 1904, rist. Grenoble 2002)

Origenes, Exhortatio ad martyrium, trad. it. N. Antoniono, Milano 1985

G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis, Commentario, et Animadversionibus Criticis..., Romæ 1741

Prudentius, Peristephanon hymnes, V; X, ed. J. Bergman : CSEL LXI

P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese raccolti in continuazione del Tria, Larino 1913, rist. anast. Larino 1987

Th. Ruinart, Acta primorum martyrum sincera et selecta. Ex libris cùm editis, tum manu scriptis collecta, eruta vel emendata, notisque & observationibus illustrata, Parisiis 1689 (altre edd.: Amstelædami 17132, Amstelædami-Veronæ 17313, Amstelædami 18034, Amstelædami 18595, Parisiis 1859, Ratisbonæ 1859 [rist. 1ª ed. 1689])

C. Sigonio, De antiquo jure civium romanorum, Italiæ, provinciarum, ac Romanæ iurisprudentiæ iudiciis, 3 voll., Venetiis 1560

G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani..., Roma 1744, rist. Isernia 1989

 


[1]  A. Gallonio, Trattato de gli instrumenti di martirio e delle varie maniere di martoriare usate da’ gentili contro christiani, Roma 1591, pp. 34-39, qui p. 34.

[2] Ibid., p. 36.

[3]  Sozomeno, Hist. eccl. V,11,4: «Καὶ δημοσία̣  προαγαγὼν  πρὸς  τὸ  βασανιστήριον ξύλον αι̉ωρει̃σθαι  προσέταττεν» [Admotum igitur eculeo, præses sublimem tolli præcepit] «Condotto quindi all'eculeo, il preside dispose che fosse sollevato».

[4]  G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani..., Roma 1744, rist. Isernia 1989, p. 744 (p. 625 nell’ed. del 1744); G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis, Commentario, et Animadversionibus Criticis..., Romæ 1741, p. 53.

[5] Ibid., p. 750 (p. 631 nell’ed. del 1744).

     [6]  A. Gallonio, op. cit.,  p. 34.

 
 

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