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[da C.
Angelillis, Il Santuario del Gargano e il culto di S. Michele
nel mondo, I, Foggia 1955, rist. anast. Monte Sant’Angelo 1995, pp. 200-202]
Senonché la vista di un’immagine antichissima di Vergine che, come in una visione di fiaba,
troneggia nel buio fondo, circondata da Angeli tra una festosa cornice di foglie di acanto, vale subito a rinfrancarci e a ridonarci
il sospiro e il sorriso. È la figura di una Madonna delle Grazie intagliata al altorilievo sulla roccia, figura bensì ingenua nella sua impassibilità di arte primitiva, ma così
soffusa di ieratica compostezza, da inclinare al senso del gradimento e dell’ammirazione.
La Vergine è seduta e situata in una specie di ancona ad arco tondo, con vesti drappeggiate
e con la corona in testa, da cui scende dietro la nuca una striscia di panno a mo’ di infula: regge sulle ginocchia il Bambino Gesù, figura assai agile e snella ed è fiancheggiata
da due Angeli dall’enormi ali e dalle lunghe vesti in atto di adorazione, mentre in alto e sospesi in aria in posizione orizzontale altri due Angeli più piccoli sorreggono la
sacra corona.
La cornice ricca tutt’intorno di fogliame di acanto con accentuati pomi centrali è di forma
rettangolare e in guisa da costituire un quadro di notevoli dimensioni, Più largo che alto: esso sormontava la mensa di un Altare, di cui ancora si rileva qualche ipotetico
indizio.
Accanto a questo quadro di scultura, sul lato di sinistra nel centro di un contorno
rettangolare a baccelletti, si stacca l’effigie scolpita di un San Giacomo di Galizia col manto dipinto di rosso e orlato di galloni d’oro: ha il capo cinto d’aureola, capelli
scriminati e reca nella mano sinistra un libro e nella destra un bordone crociato con appesa una borsa da pellegrino.
Dall’altro lato della Madonna, ma ad una distanza molto maggiore, quasi anzi sull’estremità
dell’angolo di destra si scorge la cornice di una picchietta rettangolare scolpita a semplici rigature, ove fu rinvenuta quella preziosa immagine di rame di cui ci siamo
espressamente occupati […].
Queste originali sculture che fanno lor mostra sul fondo del cieco recesso non possono non
produrre un effetto di meraviglia e di stupore. Anche lo Schultz[1] oltre cento anni addietro, nella sua visita alla Basilica, rimase sorpreso
dalla presenza delle suddette immagini e non mancò di farcene un accenno particolare. La loro semplicità e primitività di esecuzione ce le fanno risalire all’XI o al massimo al
XII secolo, se pure non dovremo persuaderci a rimontare perfino ad epoche anteriori. Esse sono tra le forme superstiti delle più antiche decorazioni, di cui si volle adornare la
roccia di sacri personaggi: e lo spazio dell’attuale cavernetta non costituiva allora – come artifiziosamente avvenne dopo – un ambiente separato, sebbene un angolo stesso,
un’insenatura della grande Grotta, quasi una Cappella naturale posta più in alto del piano comune, condizione ben favorevole per far risaltare ornamenti e figure, che potevano
anche da lontano, opportunamente rischiarate, richiamare l’attenzione e destare l’ammirazione dei devoti visitatori.
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