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“carri” di San Pardo ~ “traìni” al Gargano


TRAÍNO DI S. MICHELE

Pausa pranzo

(1936)

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er spostarsi il più rapidamente possibile alla volta del massiccio del Gargano si adoperava, come  mezzo di locomozione principale, il “carro”, detto anche  “traìno”. Era tirato da due cavalli, spesso era addobbato, e vi prendevano posto anziani e bambini, mentre i giovani procedevano a piedi (S. Moffa, La devozione di S. Michele nell’area Sannita, p. 196; G. Mascia, Aspetti del culto popolare di San Michele Arcangelo nel Molise, pp. 26 ss.).

 
 

 Il “carro”, quasi sempre coperto, fungeva anche da ricovero, allorquando lungo il percorso vennero a scomparire gli ospizi per pellegrini (C. Angelillis, Il Santuario del Gargano e il culto di S. Michele nel mondo, II, p. 167). Generalmente era possibile trasportare, al suo interno, dalle dieci alle dodici persone, ma se adoperato come alloggio di fortuna, il numero si riduceva alquanto.

 

 
 

 

Similmente, vediamo che anche il “carro” di San Pardo era in origine quello adoperato dalle famiglie contadine per i lavori nei campi. Gli storici locali confermano difatti che i carri di San Pardo erano «in passato adibiti soltanto per lavori agricoli» (G. Mammarella, San Pardo, p. 54). Lo stesso Alexandre Dumas père riporta che il 26 maggio, giorno di festa del Santo, «i contadini ornavano i loro carri di ghirlande e di fiori, di drappi e banderuole di tutti i colori; essi vi attaccavano dei buoi dalle corna dorate e li bardavano con nastri variopinti» (Un Regno insanguinato, p. 45).

 

 

 


Le analogie tra i due mezzi di trasporto sono in ogni caso abbastanza evidenti, benché nel carro larinese l’addobbo giochi tutto sulla ridondanza e sulla vivacità dei colori, che in origine era però assai meno appariscente; si notino difatti le notevoli somiglianze tra le  c’lònne e le pigne del carro di San Pardo – sorta di pali verticali di legno presenti nel prospetto anteriore, terminanti con pigne di carta colorata – e i rami di pino di Aleppo che addobbavano – pigne comprese – il “traìno” diretto al Santuario garganico di San Michele.

 

 

 

 

 

Anche la copertura – sia nel tipo detto “trionfale” che in quello tradizionale “a botte” del carro larinese –, che nel corso degli anni è andata arricchendosi di addobbi e di colori, richiama l’uso della copertura con teli adagiati, nei due diversi modi, su supporti di ferro e assi di legno nel “traìno” micaelico.

La somiglianza è ancora più evidente confrontando il “traìno” micaelico col “carro” di San Pardo senza addobbi, nella sua nuda intelaiatura di canne o assi di legno disposti intorno a cerchi metallici paralleli.

 

D’altronde sappiamo che si era soliti, a conclusione del pellegrinaggio al Monte, sfilare per le strade dei paesi coi carri addobbati nel modo sopra descritto (G. Mascia, loc. cit., pp. 26-27; vi si riporta il caso dei “tréini” di Casacalenda, trainati da due cavalli).

 

 

 

 


Da registrare, tuttavia, la difformità tra “carro” e “traìno” in un particolare rilevante: nel primo, trainato da buoi, è presente il timone posto al centro, mentre nel secondo abbiamo due lunghe aste laterali, necessarie ad imbrigliare muli o cavalli, ’i scdanghe.  

Dalla documentazione fotograficia pervenutaci grazie al benemerito Studio Pilone, si può verificare ad ogni modo che l’addobbo del “carro” di San Pardo era in origine assai ridotto. Per il pellegrinaggio al San Michele di Puglia, esso sarà stato approntato solo a ridosso della partenza.


 

 

 


Da dove, dunque, trae origine l’uso di addobbare i “carri” con i fiori?

 

Ci è noto dagli scrittori cristiani che, prima della pace del 313, l’uso dei fiori era ritenuto indizio di culto idolatrico. A partire dal IV secolo si diffuse l’usanza delle corone di fiori, sia portate indosso che ad ornamento dei sepolcri, così come riportato da Prudenzio (Cathemer. X,169 ss.; XI,65 ss. : CSEL LXI, pp. 63 e 66): «Nos tecta fovebimus ossa | violis et fronde frequenti | titulumque et frigida saxa | liquido spargemus odore» (cfr. anche Id., Peristeph. XI,193 ss. : ibid., p. 418; Ambr., De obitu Valent. cons. 56 : PL XVI, col. 1376; Hier., Ep. 66,5 : CSEL LIV, p. 652).

 

Possiamo dunque ravvisare una lontana origine dell’uso dei fiori multicolori adoperati nell’addobbo del “carro” di San Pardo nell’antico rito di rispetto riservato alle tombe venerate, benché nel frattempo essi si siano trasformati in semplici fiori di carta. Ma probabilmente tutto laddobbo floreale voleva solennizzare molto più semplicemente il risveglio della natura, che nel mese di maggio si manifestava in modo tanto più prorompente.

 

 

 

 

A sostegno della ricostruzione proposta, ricordiamo che il bassorilievo ligneo, un tempo incassato in un confessionale posto sotto il pulpito della Cattedrale di San Pardo, detto «del Vescovo», che riproduce l’ingresso del corpo di San Pardo in Larino, in cui è raffigurato un carro trainato da buoi che trasporta una grossa cassa – fin troppo grossa per contenere i resti di un corpo seppur ritenuto incorrotto –, atteso da un vescovo – ma a quell’epoca la città ne era sprovvista – e da alcuni chierici, attribuito con qualche dubbio a un certo Petrus Termulensis, è di epoca assai più tarda rispetto ai fatti narrati (fine XIV-inizio XV secolo), quando cioè oramai il racconto agiografico, così come lo conosciamo, si era strutturato e consolidato nella coscienza del popolo [sul rilievo: M.S. Calò Mariani (ed.), Due cattedrali del Molise. Termoli e Larino, pp. 86-87 e figg. 67a, b; G.A. Tria, Memorie Storiche…, p. 307; A. Magliano, Brevi Cenni storici…, pp. 31,53; per l’attribuzione A. Vitiello, La Cattedrale di Larino, pp. 57-58].

 
 
 

 

Rileviamo inoltre che qui i buoi non presentano quelle caratteristiche che ritroviamo secoli dopo nelle sfilate dei carri, vale a dire l’infula avvolta attorno alle corna – ’a t’uàje –; inoltre il collare di cuoio – suàtte – è molto più stretto, e da esso non pende alcun campanaccio –  ’i cambàne –; non è presente la morza per le narici della bestia –  ’u fr’sciàle – né compaiono i listelli di  legno –  ’i pattuèlli – collegati al giogo –  ’u jùve e nemmeno sono presenti altri particolari, seppur più decorativi, quali le coccarde colorate al centro dell’infula; per non parlare della morfologia del carro ivi raffigurato, del tutto differente [per la nomenclatura del “carro” di San Pardo vd. il disegno dell’Autore in N. Stelluti, Larino. Carri & Carrieri…, pp. 16-17].

Parrebbe pertanto che tutto l’apparato decorativo del “carro”[1] e dei buoi sia stato escogitato successivamente.

 

Ancora parlando del rilievo ligneo, verifichiamo che il clero cittadino si pone in attesa del sacro reperto al di là di un piccolo corso d’acqua – il torrente Cigno? –, avvalorando in tal modo l’idea che a condurre le preziose Spoglie sia stata effettivamente una compagnia micaelica, consorteria eminentemente laica, anche se a bordo del carro notiamo due armigeri, che in verità nel contesto del racconto della translatio non trovano alcun accenno.

 

Si tratta di un’ennesima riprova dello stretto legame tra il pellegrinaggio al Gargano e il culto liturgico riservato al nuovo Patrono di Larino, il quale trova nella parentela tra “carro” e “traìno” una primigenia origine.

 
    «tòcca, carriero mio, ssu carro d’amore»[2]

 

 


Bibliografia:

 

Ambrosius,  De obitu Valentiniani consolatione  56 : PL XVI

C. Angelillis, Il Santuario del Gargano e il culto di S. Michele nel mondo, II, Foggia 1956, rist. anast. Monte Sant’Angelo 1995

M.S. Calò Mariani (ed.), Due cattedrali del Molise. Termoli e Larino, fotografie di M. Carrieri, Roma 1979

A. Dumas père, Un Regno insanguinato. Romanzo storico, Milano 1924, rist. anast. Campobasso 1988, pp. 42-47

Hieronymus, Epistolæ, 66,  ed. I. Hilberg : CSEL LIV

A. Magliano, Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, Larino 1925, rist. anast. Larino 1986

G. Mammarella, San Pardo. Patrono principale di Larino e diocesi, Campobasso 2011

G. Mascia, Aspetti del culto popolare di San Michele Arcangelo nel Molise, in Atti della giornata di studio su San Michele Arcangelo, Riccia 2000, pp. 17-43

S. Moffa, La devozione di S. Michele nell’area Sannita, in Religiosità e territorio nell’Appennino dei tratturi, ed. E. Narciso, Santa Croce del Sannio 1997, pp. 185-197

Prudentius, Cathemerinon liber, X, ed. J. Bergman : CSEL LXI

Prudentius, Peristephanon hymnes, XI, ed. J. Bergman : CSEL LXI

N. Stelluti, Larino. Carri & Carrieri di San Pardo 1990/91, Campobasso 1992

G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani…, Roma 1744, rist. Isernia 1989

A. Vitiello, La Cattedrale di Larino. Breve descrizione storico-architettonica e artistica, in Larino di maggio, Larino 2007, pp. 52-60

 



[1] Per riferimenti alla valenza pagana legata al carro e al bue, che mi paiono invero un po’ forzati, cfr. R. Cavallaro, Il carro, i fiori, il “maggio”. Indizi per un simbolismo cosmico, in N. Stelluti, op. cit., pp. 9-12.

[2] Carrese di San Pardo, versione prima (II,14; III,18). L’altra lezione riporta «Tocca carriero mio su carro d’amore» (I,39; II,16; III,18), con quel «su» mal trascritto, che farebbe intendere «su/sul carro», mentre è chiaro che la trascrizione corretta è «’ssu», abbreviazione di «quissu»; per cui il vero significato è «questo/codesto carro».

 


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Commenti: 1
  • #1

    pinomiscione (sabato, 13 maggio 2017 03:14)

    Buona parte delle fotografie dei "carri di San Pardo", dell'Archivio Pilone, è tratta dal libro del dr Napoleone Stelluti "Larino. Carri & Carrieri di San Pardo 1990/91", Campobasso 1992.

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