La “Carrese di San Pardo”

CANTO DELLA CARRESE

Primiano Di Liello

(2009)

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a cosiddetta carrese – a volte denominata anche laudata o carrera – è un canto monodico di tradizione orale, che si esegue – ma ahimè sono in pochi a saperlo ancora fare – nel corso di particolari ricorrenze religiose, la prima delle quali, stando almeno alla tradizione più accreditata, era la festa della Madonna Incoronata, nell’ultima domenica di aprile.

 
 

   Era questo, almeno fino a qualche decennio fa, il periodo in cui i cantanti si allenavano a rieducare le proprie voci, visto che l’esecuzione della carrese non è alla portata di tutti. Si tratta infatti di un canto eseguito senza pause, in cui il verso endecasillabo, che prevale, si distende in un arco lunghissimo, eseguito in una sola ripresa di fiato, raggiungendo l’ottava con durate brevissime, preferibilmente con tessitura acuta e forte vibrato, tanto da renderla di assai ardua esecuzione, sicché coloro i quali risultano dotati da madre natura di corde vocali a prova di resistenza si sentono quasi facenti parte di un gruppo di cantori che hanno serbato un privilegio quasi iniziatico.

 

   Anche e soprattutto per questi tratti, espressione di una vocalità fortemente arcaica, assai diffusa nell’area mediterranea, la carrese non ha trovato grandi estimatori né tantomeno degni esecutori tra le giovani generazioni, sì da relegarne l’esecuzione a pochi momenti del tutto marginali rispetto all’economia della festa (A.M. Cirese, I canti popolari del Molise, II, pp. 85-91; Aa.Vv., Due laudate meridionali).

 


 

 

In origine le ricorrenze particolari legate a questo canto di popolo erano la festa del martire compatrono San Primiano (15 maggio) e soprattutto quella di San Pardo, protettore della Città e sua diocesi (25-27 maggio), che dà appunto il nome all’inno sacro, durante la quale una miriade di carri addobbati sfila per le strade cittadine, in una sorta di processione multicolore, a volte fin troppo chiassosa, che si snoda da un capo all’altro dell’abitato, collegando un antico luogo di culto paleocristiano alla Cattedrale, quasi a ricordare un rito sacro che invero dev’essere pur rimasto nella memoria collettiva.

 

Tuttavia dobbiamo credere che la lauda in origine fosse cantata in occasione della corsa dei carri vera e propria, sostituita dall’attuale corteo di carri addobbati a festa soltanto in epoca piuttosto recente. Ed anzi alcuni elementi, di cui si dirà oltre più approfonditamente, parrebbero, a mio avviso, far riconoscere in questa originale composizione una lontana reminiscenza dell’antico culto liturgico reso ai martiri in generale – e perciò anche ai nostri Primiano, Firmiano e Casto –, vale a dire la statio.

 

Con questa denominazione era indicata una sorta di pellegrinaggio a corto raggio, da effettuarsi all’interno delle mura cittadine o tutt’al più in luoghi posti anche al di fuori di esse e ubicati in zone impervie, tuttavia particolarmente cari alla memoria del popolo e perciò capaci di accendere una particolare devozione e al contempo coltivare speranze di maggiore esaudimento della preghiera per l’intercessione dei santi, soprattutto se martiri. Il luogo di raduno dell’assemblea era detto per l’appunto statio.

 

Spesso tale funzione poteva essere svolta da un piccolo cimitero extraurbano, dove erano custoditi i resti mortali di uno o più martiri, sulle cui tombe s’innalzavano edicole funerarie o piccole basiliche. In seguito prese piede l’uso liturgico del raduno fissato d’autorità in una chiesa detta collecta – che spesso era la cattedrale – da cui si dava inizio al corteo processionale, con clero e popolo, così da raggiungere la chiesa stazionale. Proprio in queste più elaborate forme liturgiche si era soliti accompagnarsi con canti di lode in onore di Dio e dei Santi (E. Cattaneo, La «statio» piccolo pellegrinaggio, pp. 245-259).

 

Ma a partire dal X secolo, a motivo della inclusione nel calendario liturgico di nuove festività legate ai Santi, parallele ai processi di canonizzazione e alla definizione dei dogmi mariani, si produsse un rapido mutamento dei canti liturgici previsti per queste festività (Proprium Sanctorum), valorizzando anche e soprattutto quelle individualità, celate dalle fredde partiture gregoriane, che nelle loro sequenze e nei loro inni si sforzarono di dare vita a un nuovo stile in cui la voce modulata, fievole o vibrata che fosse, esprimesse al meglio il sentimento religioso.

 

 

 

   
   

Alcune strofe della "Carrese di San Pardo"

 

 

A ben vedere, il massimo della fioritura musicale para od extraliturgica ebbe un punto d’inizio proprio con l’affievolirsi dello slancio creativo delle melodie liturgiche vere e proprie. I nuovi modelli musicali, a volte piani e scorrevoli, altre più complessi, finirono col diventare il veicolo di trasmissione più potente del culto dei santi, assumendo al contempo il ruolo di fonte di collegamento tra l’austero mondo musicale gregoriano e l’immediatezza della musica scaturita dal sentire popolare, facilmente orecchiabile e perciò trasmissibile di generazione in generazione (R. Monterosso, Il culto dei Santi nella tradizione musicale medievale liturgica ed extraliturgica, pp. 181-198).

 

D’altronde, proprio in questo periodo, assistiamo a quel fenomeno di separazione tra Liturgia e pietà popolare, tale da configurare sempre più spesso un vero e proprio dualismo celebrativo tra culto liturgico e pietà popolare comunitaria, anche e soprattutto nella diversità delle lingue: latina l’una e volgare l’altra (Direttorio su pietà popolare e liturgia, pp. 38-39).

 

 

 

 

 

 

Quel che, in ogni caso, rimarrebbe sedimentato nella nostra carrese dell’antico canto liturgico stazionale è la suddivisione in almeno due parti, di cui la prima rifletterebbe una sorta di collecta nella Cattedrale cittadina, anche se trasferita nel frattempo in altro luogo; e proprio il continuo rifarsi al tema del martirio, di cui tratterò più ampiamente appresso, lascerebbe sottinteso l’originario uso liturgico di un tipo di canto che, magari in altre forme più canoniche e in una lingua colta come il Latino, si rifaceva proprio al culto dei Martiri Larinesi, venerati nell’antica chiesa paleocristiana posta all’esterno del recinto urbano.

 

Di tutto ciò resterebbe, ad ogni modo, oltre alla lode a Dio e ai Santi, la suddivisione in parti distinte e l’esaltazione del martirio come strada disserrata verso la salvezza. Quello che risulta accertato, stando se non altro alla memoria orale, è che l’esecuzione della carrese – almeno per quello che riguarda la festa di San Pardo così come la conosciamo – doveva avvenire in ben precisi luoghi e in momenti ben definiti: la sera del 25 maggio, davanti alla Basilica Cattedrale, prima della partenza del sacro corteo alla volta del cimitero; quindi l’indomani, nel giorno di festa vero e proprio, sempre davanti al Duomo, all’inizio della processione dei carri; poi ancora più tardi, in una sosta prima dell’arrivo alla chiesa di Santa Maria della Pietà, per continuare proprio davanti a questa chiesa. L’ultima esecuzione della carrese avveniva il giorno 27, in occasione del rientro del simulacro ligneo di San Primiano nella sua Cappella, all’interno del cimitero.

 

 
 

 

Venendo all’analisi del testo, che possediamo in almeno due diverse lezioni, tra loro differenti a volte anche in modo significativo, si vedrà come quella “ufficiale” appaia assai più regolare dal punto di vista metrico, componendosi di distici di versi di lunghezza variabile (nove, dieci sillabe), in cui però l’endecasillabo ha una netta preminenza, con rime e assonanze parossìtone (M. Agamennone, Due monodie tradizionali del Molise, pp. 49 ss.).

 

In questa prima variante, si potrà facilmente verificare come il suo contenuto debba far escludere una origine popolare ovvero contadina del testo, visto che in esso figurano in ogni sua parte formulazioni dal denso significato teologico, tali da far pensare a una redazione – magari originata in seno al clero locale –, se non attentamente ponderata o suggerita dall’intensa meditazione, almeno derivata da sovrapposizioni di temi e motivi di origine colta che, anche nel caso in cui si siano sedimentati col passare delle generazioni, non precludessero l’intelligibilità del testo e la sua chiara intenzione esortativo-celebrativa.

 

Così, se il primo verso – «Prim’arrivate Dio ci dà salute» (I,1) –, che si canta “dinanzi alla Basilica Cattedrale”, appare chiaramente come l’invocazione di giubilo per aver conseguito il premio, ossia la «salute» – ma forse potremmo meglio dire la salvezza, che solo Dio può dare –, dopo aver tagliato per primo il traguardo rappresentato dal Duomo cittadino, in quella che era la primitiva corsa dei carri, subito subentra il canto di lode al Patrono e a tutti i Santi, a Cristo e a Maria.

 

Segue il segno di croce canonico – che nella seconda versione pervenutaci manca però della terza Persona della Trinità –, introdotto dall’intenzione di voler cantare degnamente, grazie all’ausilio celeste: «ma che la mente non si sbaglia, | mi voglio fà la croce, mo che canto», come a voler avviare nel migliore dei modi il discorso più propriamente narrativo-teologico. La lauda vera e propria comincia elevando un inno di lode al Santissimo Sacramento «in trono» (I,15), al Gesù vivo in mezzo a noi, che subito si passa a contemplare, come se fosse una mistica visione eppur realissima, «cu lu pallio mmano» (I,20), vale a dire col simbolo – che in ogni caso è qualcosa di più fisico, di più reale – della passione di quei Martiri Larinesi, i quali imitando il Cristo fino alla morte, avevano permesso, anche in quel contesto così prossimo e chiaramente manifesto, che il Salvatore del mondo regnasse in eterno. Ed infatti Egli regge la «palma» (I,21.23), simbolo di vittoria sul peccato e sulla morte, con la quale elargisce l’inestimabile dono della salvezza.

 

Invero la figura del «nostro protettore» (I,25) appare non propriamente adatta a incarnare il tipo del martire, tanto che si può credere che in origine la lauda si rivolgeva a quelli che erano gli antichi patroni della Città, vale a dire proprio i Santi Martiri Primiano, Firmiano e Casto – ovvero al primo di loro, che era ed è ancora il più venerato dei tre –, il cui culto, a partire dalla metà del IX secolo, venne in qualche modo parzialmente rimpiazzato proprio da quello riservato a San Pardo, favorito in questo anche e soprattutto dal trafugamento delle loro reliquie; di modo che potremmo cercare un nome antico della nostra carrese, che potrebbe essere “lauda ai Santi Martiri Larinesi”, risultando l’attuale denominazione, come meglio si chiarirà oltre, piuttosto impropria.

 

 
 

 

Questa ipotesi concretissima appare avvalorata da elementi che affiorano qua e là dal testo: così il verso «I’ voglio cantà tutto stu Maio,» (I,5) lascia chiaramente intendere come almeno questa parte – in cui potrebbe riconoscersi l’incipit originario della composizione, quando non erano le corse di carri a motivare il canto – veniva intonata all’inizio del mese di maggio, e non alla sua fine ormai prossima (25-27); e con ogni probabilità il giorno 3, quando, secondo la ricostruzione proposta in queste pagine, iniziava la peregrinatio dalla Città dei Martiri al santuario garganico di San Michele proprio nella Diocesi larinese gli era stato dedicato uno dei più antichi luoghi di culto della Chiesa latina , così da giungervi in tempo per la ricorrenza del giorno 8, festa dell’Apparizione dell’Arcangelo in quella Sacra Spelonca.

 

   Lo stesso richiamo al «carro d’amore» (II,14; III,18) trova una rispondenza nel viaggio devozionale-salvifico alla Grotta del Gargano, al quale era possibile prendere parte anche a bordo di carri agricoli coperti (G. Mascia, Aspetti del culto popolare di San Michele Arcangelo nel Molise, pp. 26 ss.). E su questo povero mezzo di trasporto, un semplice carro agricolo, Dio avrebbe veicolato il suo amore per il genere umano, conducendolo alla salvezza: «tòcca, carriero mio, ssu carro d’amore» (III,18).

 

 
 

 

Appare poi significativo il riferimento alla «benedizione santa» (I,24) data dal Salvatore che «porta la palma» (I,23). Si tratta, a ben vedere, di un richiamo a un preciso cerimoniale: è notorio che prima di partire i pellegrini ricevevano una particolare benedizione, al pari dei loro “strumenti” di viaggio, e in primo luogo il bastone e la bisaccia. Il fatto che in questo caso a benedire sia direttamente il Salvatore riveste il pellegrinaggio di un contenuto salvifico molto più evidente; e proprio quella palma – la «laudata chianta» (I,23) – vuole significare la prossimità, oserei dire la domesticità, del bene della salvezza ottenuto al prezzo del suo sangue, al quale i nostri Martiri erano già associati per diretta imitazione.

 

Anche la continua presenza della parola «compagnia», che punteggia in più parti il testo (I,4.13; III,7.16), rimanda al tema del pellegrinaggio al Gargano, giacché proprio in questo modo erano denominate le comitive di pii viandanti diretti a quel Santuario. D’altronde appare del tutto funzionale alla mia lettura l’espressione «pe compagnia ci stanno tutti li Santi» ripetuta due volte (I,13; III,7), come a voler indicare un sacro corteo di pellegrini – anch’essi, a maggior titolo, facenti parte della Communio Sanctorum – che si mettono in cammino, rispondendo alla domanda Mikhā’ḗl, sì da fare ritorno alla Casa del Padre, dove in verità, almeno con l’anima, già dimorano.

 

Il testo prosegue difatti enumerando una serie di Santi locali, assai noti e venerati in tutta la Diocesi e oltre, come se si unissero anch’essi, pur nella loro trascendenza, al pellegrinaggio terreno; e in primis compare la Madre del Signore – qui invocata col titolo di Madonna del Saccione – alla quale, nella versione seconda, ci si rivolge proprio con l’esortazione «Vieni…» (I,23), che una serie di coordinate estende a tutti gli altri Santi, compreso «Santo Primiano de lu Muntarone» (I,30), per poi concludere col protettore ufficiale, elevando la cui lode «nui laudamo Dio, nostro Signore» (I,36).

 

 

 

 

Ma poi,“prima di andare alla chiesa della Madonna”, il testo passa a descrivere il pellegrinaggio più propriamente terreno, che inizia a primavera inoltrata, con la Pasqua oramai alle spalle: la natura, in ogni sua forma di vita, si risveglia dal lungo letargo; «L’albere nudo – cioè la Croce issata sul Golgotha – tramuta la fronna» (I,30) in seguito al Sacrificio consumato, e può produrre frutto; sicché è l’umanità tutta ad essere ridestata dalla nuova Luce che ha vinto le tenebre della stagione buia generata dal peccato, e «si complisce ’l mondo» (II,1); e quel verbo, ripreso dal testo evangelico della Passione (Gv 19,30), cosa vorrebbe dire se non che la strada verso la salvezza, dopo la caduta dei Progenitori, è stata disserrata per sempre grazie al Sacrificio donatoci per somma carità dal Cristo, che ha consegnato lo Spirito, poi effuso (At 2,1-13) per vivificare la sua Opera?

 

Difatti si passa a mostrare il valore salvifico vero e proprio del sacro percorso: il movimento verso oriente, «addò spunta lu sole» (I,33; cfr Gn 2,8), con quel significato sottinteso di pellegrinaggio dalla “Città del sangue” all’acqua, rifacentesi ancora una volta al testo giovanneo (Gv 19,34); come se il Cristo, dopo aver generato la Chiesa dal suo fianco, proprio per confermarla invitta, così come aveva promesso, avesse già prefigurato la via che porta verso la meta finale del compimento escatologico: là dove «ce nà bella conca marina | Dove si battezzava nostro Signore» (I,34s).

 

Ma subito risuona una presenza apparentemente incoerente rispetto al racconto evangelico del Battesimo amministrato da San Giovanni: «E la Madonna ch’a Lui vicino stava» (II,11). Perché la partecipazione di Maria a questo quadro? Al lettore attento non sfuggirà il nesso, visto che in questo Battesimo palingenetico (cfr Mt 19,28) Ella, che è Madre della Chiesa, ancora e sempre si mostra accanto al Figlio spirituale, nel momento in cui Lo presenta al Padre celeste, offrendolo in sacrificio di riparazione (cfr Is 53,10):

 

«Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29).

 

 

 

 

 

Il riferimento al pellegrinaggio garganico assume più consistenza per il fatto che proprio in quest’area geografica sono riscontrabili analoghe tradizioni vocali. Si tratta qui di monodie a ballo (tarantelle) e serenate, eseguite in un ambito culturale pastorale legato alla transumanza delle greggi, che potrebbero aver raggiunto i centri dell’attuale Basso Molise proprio attraverso questa antica pratica ovvero a motivo degli spostamenti bracciantili o proprio grazie al pellegrinaggio al Santuario di San Michele. Alcune seppur sintetiche osservazioni comparative tra le monodie del Gargano e le carrese di Larino confermano questa singolare analogia (M. Agamennone, op. cit., p. 111).

 

L’epilogo della storia illustrata in questo testo, che la carrese indica vada cantato significativamente “davanti alla Chiesa della Madonna”, riguarda proprio la presentazione alla Madre nostra, che è icona escatologica della Chiesa (CCC 972); quando cioè la Sposa, lavata giorno dopo giorno dal sangue dell’Agnello-Sposo è finalmente pronta ed è giunto il tempo delle Nozze (cfr Ap 19,7s). A Lei, creatura già glorificata in corpo e anima, guardiamo come mediatrice scelta dal Figlio, per condurci all’impagabile dono della salvezza elargitoci unilateralmente da Lui. Rivolgiamo lo sguardo alla Chiesa «fatta a simetria» (III,5), cioè santa e pur tuttavia immacolata, proprio mediante il sacrificio dell’Agnello immolato, che le blandizie del «serpente antico» (Ap 12,9; cfr Gn 3,14s), rivoltesi anche a parte di essa – che è sempre immagine dell’edificio spirituale alla cui costruzione ognuno di noi è chiamato a concorrere (cfr 1Pt 2,5) – stanno proditoriamente tentando di sfigurare.

 

Segue, a chiusura della composizione in versi, un riferimento, con ogni probabilità assai più tardo, legato alla contingenza storica del tempo, vale a dire alle continue incursioni dei Turchi lungo le coste dell’Adriatico (D. Priori, La Frentania, II, pp. 379-380; III, pp. 17-27) e, in senso più generale, alla contrapposizione epocale tra la Cristianità e la minaccia islamica proveniente dal mare, che proprio nella seconda parte del XVI secolo si era manifestata in modo così drammatico, tanto da indurre un santo Pontefice a riunire una potente flotta multinazionale per scongiurare il peggio. Ci si riferisce chiaramente a Lepanto (7 ottobre 1571) e all’intervento provvidenziale della Madonna del Rosario.

 

 
 

 

Ma a ben guardare questo pur fondamentale evento altro non vuol evocare se non l’eterna contrapposizione tra il Bene e il Male, prefigurazione della bestia che sale dal mare (cfr Ap 13); e quando «lu sciore cade e spunta lu frutto» (III,9; cfr Is 11,1), Maria vi apparirà ancora di più come l’unica Donna; Colei che, seppur trafitta nell’anima dall’ultima delle spade (cfr Lc 2,35), una spada a doppio taglio per separare il Bene dal Male, che dividerà inesorabilmente la sua progenie tra figli della luce e figli delle tenebre, proprio attraverso questo estremo, straziante dolore, nel suo Cuore Immacolato di Madre sofferente, portando «la palma mmano» (III,13), come quel Figlio che già la impugna in segno di vittoria, potrà condurre a compimento la promessa dell’Eterno Padre, schiacciando la testa del serpente (cfr Gn 3,15).

 

     Non avranno più fame né avranno più sete,

non li colpirà il sole né arsura alcuna,

perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,

sarà il loro pastore

e li guiderà alle fonti delle acque della vita.

(Ap 7,16s)

 

 

 

Bibliografia:

 

Aa.Vv., Due laudate meridionali. Le “carresi” di Larino e San Martino in Pensilis, Campobasso 1984

M. Agamennone, Due monodie tradizionali del Molise. Studio etno-musicologico, in Ibid., pp. 38-118

A.M. Cirese, I canti popolari del Molise, II, Rieti 1957, pp. 85-91

E. Cattaneo, La «statio» piccolo pellegrinaggio, in Pellegrinaggi e culto dei Santi in Europa fino alla 1ª Crociata, Todi 1963, pp. 245-259

Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano 2002

G. Mascia, Aspetti del culto popolare di San Michele Arcangelo nel Molise, in Atti della giornata di studio su San Michele Arcangelo, Riccia 2000, pp. 25-31

R. Monterosso, Il culto dei Santi nella tradizione musicale medievale liturgica ed extraliturgica, in Pellegrinaggi e culto dei Santi in Europa fino alla 1ª Crociata, Todi 1963, pp. 181-198

N. Stelluti, Larino. Carri & Carrieri di San Pardo 1990/91, Campobasso 1992

G.A. Tria, Memorie Storiche Civili, ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani..., Roma 1744, rist. Isernia 1989

 
 

Leggi il saggio anche su Academia.edu 

 

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Salvezza dell'anima ed attese escatologiche nella cosiddetta "Carrese di San Pardo"
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Pubblicato VENERDÌ, 12 APRILE  2013

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Commenti: 10
  • #1

    Anonimo (domenica, 19 luglio 2015 19:14)


    Ho letto un breve saggio sulla "Laudata di San Pardo", riportato da un noto blog cittadino, credo un paio di setimmane fa. L'Autore - diciamo così - è uno che non manca mai ... Ebbene, ha ripreso tanti tuoi spunti, che veramente avevo letto nei tuoi saggi pubblicati su quel net - Academia.edu - e qui in questo sito, proprio in questa pagina, e che nessuno prima aveva colto. Ad esempio il motivo del PELLEGRINAGGIO, legato a questa "lauda" e quello della BATTAGLIA DI LEPANTO, la Festa della MADONNA DEL ROSARIO, la Contrapposizione tra Islam e Cristianesimo, che pure avevo letto in quel saggio pubblicato un paio di anni fa, sulla "Carrese di San Pardo". Ora, dico io: ma almeno vuoi citare Miscione qui, che ha scritto queste cose per primo? Un poco di decenza. Pure la spudoratezza di scrivere "a mio avviso"! Da non credere. Ti saluto! Dagli un'occhiata.

  • #2

    pinomiscione (domenica, 19 luglio 2015 20:47)


    Penso di aver capito a quale scritto ti riferisci. Va bene, cosa vuoi che ti dica? In questo mio sito si citano tantissimi autori, anche conosciuti di persona, ma appare sempre un riferimento preciso, malgrado si presentino conclusioni e letture del tutto differenti e innovative rispetto a quelle tradizionali.

    Questo spazio web, che ho realizzato con tanta fatica e tanto impegno, viene letto in ogni Paese del mondo, grazie anche al "traduttore" inserito nella side-bar, che qui è posizionata in basso. Si collegano ad esso studiosi di agiografia, di archeologia, di teologia - benché con qualche difficoltà d'intesa - nonché semplici cultori delle varie materie che tratto. È linkato con il prestigioso sito agiografico spagnolo "Pregunta Santoral", che viene letto in tutti i Paesi ispanofoni - ma non solo -, il cui curatore mi ha chiesto a suo tempo informazioni sui "Santos Larineses", di cui non aveva mai sentito parlare (http://www.preguntasantoral.es/2015/01/santos-larineses/). Sono collegati alle mie pagine alcuni siti che s'interessano di letteratura odeporica nonché altri che trattano di Santi locali e non (ad es. la pagina "eculeo" relativa ai SS Martiri Larinesi). Ci sono pagine con materiale iconografico mai visto prima, come ad es. gli affreschi restaurati di recente nella Cappella del Tesoro dell'Annunziata di Napoli, relativi ai Martiri Larinesi. Si vede per la prima volta il "Santo Pellegrino" nella Grotta del Gargano, che presenta somiglianze col nostro "palio" di San Primiano, del quale si fornisce quella che io ritengo sia la vera origine, cioè quella di reliquia ex contactu. Si dà una diversa lettura della figura storica di San Pardo, delle vicende della sua traslazione. Si fa chiarezza sul malinteso culto triventino di San Casto martire, confutato con dovizia di particolari. Si mette in luce la primogenitura della Basilica micaelica di Larino, poi ripresa da altri, benché "copiando & incollando" male ... E tuttavia non ho realizzato questo sito per farmi pubblicità, ma per far passare un messaggio a cui tengo molto, conosciuto da chi di dovere, cui occorreva dare un credibile "sostegno" storico-teologico. Ognuno può farsi un'idea, leggendo quello che ho scritto, se sono riuscito nell'impresa.

    Se poi uno, che per una vita intera si è dedicato, con profitto, allo studio di materie bio-gastronomiche, decide di dedicarsi ad altro, non so che farci. Pazienza! Grazie, comunque, della segnalazione.

  • #3

    Anonimo (domenica, 09 agosto 2015 16:51)


    Sono sempre io, che ho segnalato l'abuso. L'articolo in questione è stato pubblicato a maggio, credo. Ecco il link:
    http://www.michelemignogna.it/larino/la-laudata-di-san-pardo-componimento-tra-identita-devozione-e-storia/

    Ti saluto, e in gamba!!

  • #4

    pinomiscione (domenica, 09 agosto 2015 19:56)


    Beh, in effetti ha preso alcune cose mie e le ha fatte sue: facile, facile!
    Mi spiego allora l'impennata di visite a questa pagina nel mese di maggio, come da rapporti statistici di questo sito ...
    Grazie della segnalazione.

  • #5

    pinomiscione (venerdì, 14 agosto 2015 16:45)


    Sarò prolisso…

    Della “carrese” o “laudata” o anche “Carrera” cosiddetta “di San Pardo” sono usciti, negli ultimi decenni, diversi studi, seppure sintetici. Nessuno dei due punti sollevati da un lettore anonimo – oggetto della spiacevole diatriba –, relativi al tema del pellegrinaggio ai luoghi santi e della Devozione alla Madonna del Rosario, sono mai stati trattati, in modo armonico ed esaustivo, se non in quelli da me pubblicati nel web, in questo sito e sul net Academia.edu; studi che avevo in precedenza consegnato a S.E. il Vescovo, che li aveva apprezzati, tanto da incoraggiare la riscoperta di questo antico canto.

    Difatti, gli studi precedenti trattavano la materia dal punto di vista squisitamente antropologico-musicologico. Né Alberto Mario Cirese né Agamennone, che pure ci ha scritto un importante saggio, né tantomeno Stelluti, che ha pubblicato la versione più antica della “Carrese”, hanno mai trattato i due argomenti prima di me.

    Nel mio saggio, si mette in evidenza la valenza allegorica e altamente simbolica del tema del pellegrinaggio:

    1ª Versione:

    Mi voglio fa na vesta pellegrina,
    Mi voglio ire addò spunta lu sole
    A là ce nà bella conca marina
    Dove si battezzava nostro Signore,
    E la Madonna a lui vicino stava
    E San Giovanni che lu battezzava.


    2ª Versione:

    me ne voglio ire dove spunta ’l sole;
    me ne voglio oggi vestì da pellegrino,
    me ne voglio ire accanto alla marina;
    e voglio visità i luoghi santi,
    voglio laudà Gesù co suoni e canti,
    e la Madonna ch’a Lui vicino stava,
    e San Giuanne che lo battezzava.



    Vediamo pertanto che, in questo canto, in entrambe le versioni, si parla di argomenti squisitamente teologici: il movimento verso “oriente”, sede del Paradiso e della manifestazione parusiaca finale, il pellegrinaggio, cioè, alla Casa del Padre; il concomitante Battesimo di Cristo, che qui però presenta un’anomalia notevole, rispetto ai testi evangelici: “e la Madonna ch’a Lui vicino stava”. Perché Maria in questo Battesimo? Da questa “anomalia”, nel mio saggio si partiva per trovare nella Devozione alla Madonna del Rosario una ulteriore prova della giustezza della mia lettura.

    Per San Tommaso d’Aquino, Dio, che è Logos, creando, ha inserito il suo ordine, cioè il bene, nel mondo. Da qui non solo la sua bellezza, ma anche il tentativo perenne da parte dell’uomo di sottolinearne la magnificenza; tanto rappresentandolo quanto cercando di produrre una simbologia della Sua bellezza, che altro non è che la vera arte. Anche nella devozione popolare, quando essa è genuina, questo ordine divino traspare, anche se non percepibile da tutti.

    Vediamo ancora questo verso:

    lu Salvatore cu lu pallio mmano;
    porta la palma ed è laudata insegna
    de la vittoria e in cielo vive e regna.


    La “Carrese” di San Pardo – che per il ridondande tema del martirio deve aver avuto un nucleo anteriore, legato al culto dei Martiri locali –, presenta, secondo il mio studio, il signficato altamente simbolico, di cui si è detto.


    Senonché, è spuntato fuori questo recente articolo, in cui, tutto d’un tratto, si parla dei due temi. Ma come?

    1ª Citazione: il pellegrinaggio

    Nel testo emerge anche l’esigenza della visita dei luoghi santi, meta di pellegrinaggi, effettuati utilizzando importanti “vie sacre”: “…Mo’ che a terre addore de viole Me ne voglie i’ addo’ spunne u Sole; me ne voglie vestì da pellegrine me ne voglie i’ accant’alla marine, e voglie visitare i luoghe sande voglie laudare Gesù co’ suon e cande…”

    2ª Citazione: la Devozione alla Madonna del Rosario

    La laudata, il cui testo scritto più antico ritrovato risale ai primi anni del Seicento, secondo la mia opinione, da “ mani colte”, potrebbe aver avuto, nel tempo, delle modifiche per adeguarlo a specifiche vicende storiche come la controriforma e la minaccia Turca-ottomana. […] Il testo originario potrebbe essere stato ritoccato con alcune modifiche e aggiungendo tutta la parte finale, legata alla Madonna, alla fine del Cinquecento, in seguito alla battaglia di Lepanto del 1571 quando venne istituito ufficialmente il culto della “Madonna della Vittoria” poi “Madonna del Rosario”.

    Innanzi tutto, mi pare difficile trovare nella “carrese” un riferimento alla Controriforma, che non c’entra assolutamente nulla: un riferimeno “a casaccio”.
    (continua ...)

  • #6

    pinomiscione (venerdì, 14 agosto 2015 16:47)


    (... conclusione)

    MA POI, VEDIAMO COSA DICE L’AUTORE DEL SAGGIO OGGETTO DEL CONTENDERE:

    IO: Leggo da te: " … inoltre subito dopo cita a Madonne che a lui vicino stava e e san giuanne che lo battezzave...chiaro riferimento alla terra santa".
    Chiaro riferimento alla terra santa. Ma dove!? Non so quale Vangelo conosci, ma nel Battesimo di Cristo la Madonna non "stava" vicino al Figlio. Qui si parla di un altro tipo di Battesimo, che nella teologia cristiana è definito "Battesimo di sangue" (Lc 12,50). Questa è tutta un'altra storia ...


    Autore: Nel mio articolo riporto queste strofe: 1)dice di volersi vestire da pellegrino e andare verso il mare che da noi è verso oriente; 2) vuole visitare i luoghi santi: non basta? non i sembra esplicito? C'è bisogno di interpretazione? Non è chiaro che parla di pellegrinaggio?

    IO: No guarda, fai ancora confusione: se prendi una cartina geografica, ti sarà chiaro che il mare più vicino, rispetto a Larino, sta a nord.
    Autore: si ma lui vuole andare al mare, ma dove spunta il sole (frase precedente a quella riportata nel mio commento precedente) chiaro è il collegamento a Est in modo simbolico, non scegliendo la via più corta...quindi per noi dove spunta il sole( con oscillazioni a nord e a sud a seconda se si tratta di estate o inverno) è , sul mare,verso oriente...

    Io: Ma quale mare? Mica è un bagnino!? La verità è che di questa "laudata" o "carrera" o "carrese" non hai capito quasi nulla. Proprio non sai di cosa parli, perché questo canto devozionale è un CANTO a contenuto TEOLOGICO. Qui non si parla di bagnanti che vogliono andare sotto l'ombrellone, ma di pellegrinaggio salvifico, "addò spunta lu sole", a oriente, dove si manifesterà la Parusia del Signore, come dice il Vangelo.
    Quando uno riduce un canto popolare a una macchietta, ci vuole poco per sgamarlo.


    Autore: spunne u sole lo dice prima del mare...perchè il mare è riferimento proprio come imbarco per La terra santa....

    Io: Ti risponderò articolatamente nel mio sito.

    Annoto i pasticci del nostro Autore circa il “pellegrinaggio al mare” – quindi presumo a Termoli –, per compiere il quale si dovrebbero percorrere, come dice il suo testo, importanti “vie sacre”, cioè – presumo – la SS 87 Sannitica.

    Ci dica in pratica, il nostro Autore, dove è diretto questo pellegrinaggio, e per fare cosa, e che significato assume il Battesimo in cui “stava” anche la Madonna. Perché solo in quest’ottica è inseribile la Devozione alla Madonna del Rosario.

    Il riferimento alla Turchia non basta, perché – come egli dovrebbe sapere – la paura del Turco presenta, in queste contrade, delle antiche memorie, precedenti di oltre un secolo all’evento Lepanto. Dove ha trovato il riferimento alla Madonna del Rosario? Lui che non mi pare sia un esperto di Storia della Chiesa.

    Ecco, domani festeggiamo l’Assunta, ma qui mi sembra si voglia fraintendere tutto, fino a fare di questo dogma mariano un’altra cosa: forse la Madonna “assunta” per vendere prodotti gastronomici locali … È sempre valido quell’antico adagio: “Scherza coi fanti e lascia stare i Santi!”.

  • #7

    Anonimo (sabato, 15 agosto 2015 14:16)


    Ho letto e mi sono messo a ridere, perché si capisce che ti ha copiato, senza sapere di cosa si parlava. Il mare a est, il pellegrinaggio, le vie sacre, ecc. Le "vie sacre"!? Forse sarà rimasto suggestionato dalla cartina degli "Itinerari al Santuario del Gargano" che tu hai pubblicato in questa pagina. Ma se uno legge quello che ha scritto lui sulla Madonna del Rosario e quello che invece avevi scritto tu nei tuoi saggi, si accorge che ti ha copiato di sana pianta, quasi parola per parola: incredibile! Comunque hai fatto bene a reagire, perché non è giusto che uno sia scorretto fino a questo punto. Ti saluto.

  • #8

    pinomiscione (sabato, 15 agosto 2015 23:19)


    Ancora una cosa, visto che siamo in tema:

    A me inoltre dà fastidio questa "commercializzazione della fede" che è in atto da un po' di tempo in questa realtà ecclesiale. Tutto diventa "spettacolo". A Larino abbiamo addirittura la celebrazione della Domenica delle Palme, dove vediamo il Sacerdote - lui che è un alter Christus - andare appresso a un figurante che rappresenta Cristo, che se ne va in giro per le strade cittadine a dorso di un asino: terribile!
    Purtroppo le occasioni del genere aumentano di numero, perché le modalità di alcune ricorrenze si prestano all'equivoco; e così abbiamo il Corteo Storico, in cui compaiono figuranti come Vescovo e Sacerdoti, ma poi la Croce astile è quella che si adopera nelle occasioni ufficiali, e magari le Reliquie che si portano in giro sono vere. Chissà! Qualcuno dovrebbe porre un limite a questa deriva, anche se mi rendo conto che la neo-Chiesa conta molto, ed anzi si regge, su questa facile lettura: spettatori del mistero, che non ci riguarda, perché Qualcuno ha già patito per noi, ed è quindi inutile sfrozarsi di "compatire", fosse anche solo per "riparare".

  • #9

    Michele P. (lunedì, 17 agosto 2015 12:38)


    C'è in giro gente che, avendo ambizioni politiche, deve creare il consenso intorno a sé, promuovendo tutta una pletora di manifestazioni. E' chiaro che non vanno troppo per il sottile. Copiare una nozione storica o un concetto di altri è il minimo "incidente" che possa capitare a questa gente. Figuriamoci!

  • #10

    Antonio M.P. (sabato, 29 agosto 2015 21:10)


    Mi viene un poco da sorridere, perché se andiamo a leggere i vari interventi delle persone che gravitano intorno all'autore di questo pezzo controverso, sulle pagine Facebook e nei vari spazi web, vediamo che viene appellato "professore". Si lascerebbe intendere che egli abbia una effettiva conoscenza, per via di studio, delle materie che tratta, cioè Storia, Storia dell'Arte, Storia dell'Architettura, Lettere classiche, ecc. Ma poi, informandoci meglio, scopriamo che ha una conoscenza afferente alle materie tecniche che insegna, presso il locale Istituto Agrario. "Professore" va bene, ma di materie bio-agricole. Qui parliamo di tutt'altra cosa.

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