« Tu sol la puoi combattere la Turchia »

I Turchi all’assalto dell’Italia

L. LOTTO

Madonna del Rosario

(1539)

particolare


 

a paura del Turco era molto sentita tra le popolazioni basso-molisane, anche perché proprio in seguito all’invasione turca dei Balcani meridionali, ripresa dopo la morte del condottiero Giorgio Castriota Skanderbeg (1403-1468), s’intensificarono gli insediamenti di popolazioni albanesi, che si erano allocate sin dal 1465 nel feudo di Aurola [poi Ururi], appartenente alla Chiesa di Larino; e da qui in altri centri quali Campomarino, Portocannone, Montecilfone, Guglionesi, Santa Croce di Magliano nonché nei feudi larinesi di Sant’Elena e Collelauro, in quello di San Barbato presso Casacalenda, nella stessa Termoli e a Ripalta [prov. Foggia].

 

Gli albanesi nelle terre basso-molisane

 

 

In quel drammatico frangente «oltre diecimila famiglie trasmigrarono e alcune navi soverchiamente cariche andarono perdute per naufragio e altre furono catturate dai Turchi» (D. Priori, La Frentania, II, pp. 379-380 e n. 40):

 

Arrivavano sulle loro agili navi, distruggevano e incendiavano torri, case e chiese, contaminavano gli altari e le sacre reliquie e, dopo aver seminata la morte e la distruzione, riprendevano il mare con le belle donne e i tesori rapiti. La coscienza dei popoli cristiani assisteva con raccapriccio a tanto scempio, paventando giorni peggiori.[1]

 

In quest’epoca (luglio-agosto 1480) va collocato il prolungato assedio della città salentina di Otranto, cui fece seguito la decapitazione dei circa 800 abitanti maschi adulti della città, recentemente canonizzati per volere del papa Benedetto XVI.

 

 
 

 

Quasi un secolo dopo, il 2 agosto 1566, i Turchi di Pialy Pascià, che erano penetrati in Adriatico dopo la presa di Malta, grazie anche alla scarsa difesa approntata dal governatore Juan Yblannes, assediarono l’abitato di Termoli, dopo aver compiuto analoghe gesta contro Francavilla a Mare (30 luglio), Ortona, San Vito e Vasto (tutte il 1° agosto).

A Francavilla vennero incendiate molte case e catturati 500 cittadini, ridotti in schiavitù; rubata l’arca d’argento in cui era il corpo del protettore San Franco. A Ortona diverse case e il monastero dei Celestini vennero incendiati. Gravi danneggiamenti subì il Castello di San Vito. Il monastero di Santo Stefano in rivo maris venne distrutto e mai più ricostruito. Vasto ebbe il Palazzo marchesale incendiato, come pure vari conventi e chiese e 160 case; 200 abitanti vennero trucidati, 159 fatti prigionieri.

 

 

Le scorrerie turche sulle coste abruzzesi e molisane dell'Adriatico

 

 

A Termoli gravi danni subì la cattedrale di San Basso (B. D’Agostino, Termoli e la Diocesi, p. 340; vd. anche B. Cocarella, Cronica istoriale di Tremiti… , pp. 24 ss.), come pure altre chiese, quale quella posta a ridosso delle mura, intitolata a San Pietro, e lo stesso Castello eretto da Federico II (M.S. Calò Mariani, Due cattedrali del Molise. Termoli e Larino, pp. 14, 16). La popolazione fu costretta a darsi alla fuga e ad abbandonare le proprie cose alla furia nemica.

 

Le orde turche si spinsero anche fino a Campomarino e, nell’interno, fino a Guglionesi (qui ricordiamo l’archibugiata del frate Serafino da Vicenza che uccise il capo della compagnia turca, la quale ritirandosi incendiò il monastero di San Giovanni in Eramo); tentarono di prendere San Martino in Pensilis, probabilmente col proposito di attaccare anche Larino, ma furono respinte [G. e A. Magliano, Larino, pp. 319-320 e n. (a); D. Priori, op. cit., III, pp. 17-27].

 

 

Le torri di guardia sul litorale molisano

 

 

I ruderi delle torri di guardia, volute dal viceré di Napoli duca di Alcalá, erette in prossimità delle foci dei fiumi a seguito di queste feroci incursioni (1568-1569), stanno a testimoniare il terrore davanti al pericolo proveniente dal mare. Sul litorale molisano vennero innalzate quattro torri: presso il fiume Trigno, a Petacciato, presso la foce del torrente Sinarca [Termoli], a Campomarino (ibid., III, pp. 17- 18 e n. 5, 90-94; per quest’ultima, le cui tracce sono state individuate di recente, cfr. anche G. De Benedittis-M. Pagano, Il porto tardo romano sulla foce del Biferno, p. 1).

 

In previsione di un decisivo contrasto ai Turchi, il 1° gennaio 1571 larcivescovo di Chieti, Giovanni Oliva, aveva scritto una lettera pastorale al popolo dell'Abruzzo Citeriore per esortarlo ad arruolarsi:

 

Popolo dellAbruzzo Citeriore, a motivo che i Saraceni fanno strage dei Cristiani fratelli nella Palestina e nelle altri parti di Oriente, il Santo Padre vi chiama a raccogliervi sotto il Vessillo della Croce per ben meritare la grazia del Cielo e far trionfare la Civiltà. Duci di alto germe attendono le genti piene di buon volere; e Voi che del lume della Civiltà tanto amate il tesoro sulle basi della Cristiana Pietà, son sicuro che vi mostrerete degni della fiducia che in Voi si ripone. […] Entusiasmo dunque, perché se i Saraceni sono pieni di entusiasmo per la loro falsa religione, Voi non sarete meno di loro nel culto della vostra che è l’unica vera. La causa è tutta santa e le orde orientali abbiano il vanto di mirare la Cristiana Vittoria fra le grida di Viva Maria, come quelle dell’Aterno mirarono la Vittoria teatina al grido di Viva Giustino. I rispettivi parroci terranno aperti i ruoli per l'arruolamento e per dispensare l'insegna della Croce da mettersi al petto e sugli scudi.[2]

 

 

Lepanto, 7 ottobre 1571 e la Devozione al Santo Rosario

 

 

Dopo lo scontro vittorioso di Lepanto, papa Pio V (1566-1572) ordinò che il 7 ottobre di ogni anno, in tutte le chiese dell’Ordine domenicano, venisse celebrata la «commemorazione della nostra Donna della Vittoria». Gregorio XIII (1572-1585) volle invece che la festa fosse dedicata alla Madonna del Rosario e fatta la prima domenica di ottobre. Nel 1913 Pio X fissò la festa del Santo Rosario al 7 ottobre.

 

Malgrado la vittoria di Lepanto, nei decenni a seguire e fino al XVIII secolo si ebbero ancora delle sporadiche incursioni turche, anche perché la flotta veneziana, che per incarico dei Papi faceva il servizio di tutela lungo le coste dell’Adriatico, spesse volte assaltava le galee turche solo ad assedio compiuto, col proposito di impossessarsi del loro bottino (D. Priori, op. cit., III, p. 26 e n. 20).

 

 

Rilevati i precisi riferimenti storici, mi pare indubbio che la parte della “Carrese di San Pardo” che fa riferimento alla “Turchia” (III,12 e II,11; III,12 rispettivamente nella prima e seconda variante) vi sia stata aggiunta negli anni immediatamente precedenti o seguenti levento di Lepanto, quando la storia degli uomini si era provvidenzialmente incrociata coi disegni di Dio.

 

 

 

Bibliografia:

 

M.S. Calò Mariani, Due cattedrali del Molise. Termoli e Larino, Roma 1979

B. Cocarella, Cronica istoriale di Tremiti … hora volgarizzata a comun beneficio da don Paolo di Ribera, Venezia 1606

B. D’Agostino, Termoli e la Diocesi, Termoli 1978

G. De Benedittis-M. Pagano, Il porto tardo romano sulla foce del Biferno (ed. informatizzata)

G. e A. Magliano, Larino. Considerazioni storiche sulla Città di Larino, Campobasso 1895, rist. anast. Larino 2003

D. Priori, La Frentania, Lanciano 1959 (II), 1962 (III), rist. anast. Lanciano 1980

 

 


    [1] D. Priori, La Frentania, Lanciano 1962, rist. anast. Lanciano 1980, p. 18.

    [2] Ibid., pp. 22-23, n. 15.

 

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