La Croce di Basiliche sulla Città Eterna

“Senza Croce e con Maria Addolorata la Chiesa è perduta”


 

[da E. Guidoni, L’urbanistica di Roma tra miti e progetti, Bari 1990, pp. 15-29]

 

 

A partire dal III secolo iniziarono a definirsi, sul tessuto urbano di Roma, due assi ortogonali aventi alle estremità i trofei apostolici: essi non erano soltanto «segni» esteriori della nuova comunità ecclesiale romana, ma erano anche localizzati in modo da «prendere possesso» dell’intera struttura urbana.

 

Entrambi gli assi proseguivano oltre l’Anfiteatro Flavio, loro punto di intersezione; l’axis urbis terminava, sotto Nerone, con la villa imperiale dei Laterani; l’asse secondario, di più recente costituzione e subordinato al primo, venne soprattutto evidenziato da un elemento urbano relativo al nuovo culto, il Titulus Pudentianae. Ma tutta la struttura, che era una grande croce sovrapposta alla Babilonia terrena, venne improvvisamente a precisarsi anche in termini monumentali a partire dalla «pace» di Costantino.

 

L’affacciarsi del problema della ristrutturazione cristiana di Roma, dall’inizio del IV secolo, determinò una precisa selezione tra elementi pagani da ignorare o contestare ed elementi pagani suscettibili di un recupero del nuovo equilibrio politico-religioso: nel nuovo sistema di alleanza tra Stato e Chiesa i templi furono destinati al lento abbandono, alla spoliazione e alla distruzione nel momento stesso in cui venivano vietati i sacrifici agli antichi dei; essi diventarono immediatamente dei  «vuoti» nella città, irrecuperabili nel loro insieme, riutilizzabili solo se «smembrati» in materiale da costruzione.

 

L’enorme spreco economico conseguente all’abbandono degli edifici di culto e alla costruzione ex novo delle basiliche cristiane venne solo in parte compensato dall’impiego di parti architettoniche tolte a edifici pagani, ed ebbe origine con l’impossibilità di conciliare l’antica religione di Stato con il Cristianesimo. Molto frequente fu comunque la sovrapposizione, previa distruzione totale o parziale dell’antico santuario, ma con una marcata differenziazione tra vecchi e nuovi edifici,  per via dell’imposizione di una tipologia basilicale piuttosto uniforme e della volontà, da parte della gerarchia religiosa, di erigere i propri edifici di culto originali.

 

Infine, dal punto di vista della disposizione generale dei nuovi organi, essi non potevano che sorgere sui luoghi di culto consacrati da una tradizione secolare consolidata negli ultimi tempi della clandestinità e della persecuzione.

 

Questo insieme di incompatibilità non segnò, tuttavia, una frattura totale con il sistema urbano imperiale, soprattutto perché la Chiesa romana si modellò, già probabilmente alla fine del I secolo, sulla città dove avrebbe dovuto svolgersi la lotta decisiva per la propria affermazione. I cimiteri suburbani lungo le vie consolari, i luoghi sacri alle vicende di Pietro e Paolo nell’area più centrale della città, le loro sepolture in luoghi coscientemente scelti in funzione della «presa di possesso» di Roma, la stessa suddivisione degli organi amministrativi secondo la preesistente partizione in regioni, tesero a costituire un freno naturale alla mutazione radicale della struttura urbana.

 

Mutarono invece i rapporti di forza tra pagani e Cristiani: i cimiteri sotterranei si trasformarono, con l’erezione delle basiliche, in santuari imponenti, a significare la partecipazione ufficiale dell’organizzazione cristiana alla nuova definizione dell’ambiente esterno. Tuttavia questo discorso valse soprattutto per le aree periferiche, mentre nel centro, roccaforte del paganesimo, gli interventi furono, nella fase costantiniana, assenti o assai modesti.

 

Una larga tangenza con la tradizione si verificò invece sul piano della concezione di Roma come capitale «eterna» del mondo, e in questo il «segno» prescelto, la croce, ricalcava esattamente i temi principali del potere imperiale: in primo luogo, l’axis urbis.

 

Nell’autunno del 313 il passaggio della Domus Faustae in Laterano dalla proprietà imperiale a quella papale sembrava già avvenuto: papa Melchiade vi tenne un sinodo contro Donato. Lo scambio di potere, anzi la donazione imperiale, avvenne proprio all’estremità «superiore» dell’axis urbis; solo quest’atto ufficiale sanzionò per il Papa la presa di possesso della città. Infatti ne seguì immediatamente la possibilità di disporre dell’area laterana per costruirvi l’edificio sacro più importante della nuova Roma, il captus urbis et orbis cristiano, la basilica dedicata al Salvatore.La nuova chiesa (consacrata, forse, nel 324), cui si affacciavano il palazzo papale e il battistero, rendeva chiara la presa di possesso papale di tutto l’axis urbis et orbis, l’immenso scettro di comando posato sulla città e sul mondo.

 

All’altra estremità sorse poco dopo San Pietro, gigantesca basilica votiva che rese visibile a scala urbana l’antico trofeo petriano.

 

Nella lettura «verticale» dell’asse stesso, nella quale la parte superiore si identifica con l’Oriente e l’inferiore con l’Occidente, il Salvatore e San Pietro erano i due poli, speculari e ribaltati, di un medesimo simbolo: il corpo umano appeso alla croce. E così che, essendo stato Pietro crocifisso con la testa verso il basso, l’asse veniva ad avere due punti di origine (due «capi»): quello del Salvatore (che veniva a coincidere con quello dell’imperatore divinizzato, o del «sommo» potere) e quello di Pietro («pietra» basilare della costruzione della Chiesa).

 

Il primo luogo si innestava storicamente nella linea evolutiva degli organi di potere imperiale della città; il secondo, esterno alle mura e di assai più chiara importanza per la tradizione cristiana, stabiliva una «origine dello spazio» ribaltata rispetto alla gerarchia discendente lungo l’asse, e si legava anche materialmente con l’obelisco di Caligola.

 

Ancora nettamente secondario appariva, in periodo costantiniano, il decumano, trasformato nel braccio trasversale della croce. Tuttavia l’erezione di una piccola basilica  sulla tomba di Paolo preludeva già alla più imponente manifestazione dell’asse trasversale, quale si realizzò nella seconda metà del IV secolo.

 

Anche l’altra estremità dell’asse risultava, infatti, pienamente determinata, e da antica data: si trattava quasi certamente della domus ecclesiae, poi basilica di Santa Pudenziana. La distanza reciproca dei quattro punti estremi della croce è infatti quasi esattamente uguale a 4.500 metri sia tra San Salvatore e San Pietro che tra Santa Pudenziana e San Paolo, mentre varia di poco la proporzione tra il braccio minore e quello maggiore dei due assi.

 

La mancanza di precedenti punti di riferimento causò, per il braccio trasversale, una lieve irregolarità nel tracciamento ottico dell’asse, che non coincideva con reali allineamenti stradali: l’intersecazione con l’axis urbis non avveniva esattamente nel centro dell’Anfiteatro Flavio. Tuttavia questa irregolarità fu corretta allorché, sostituita a Santa Pudenziana Santa Maria Nuova (Santa Maria Maggiore) nella seconda metà del IV secolo, l’allineamento venne riferito non più direttamente a San Paolo, ma alla porta Ostiense, che rappresentò quindi un punto di flesso nel braccio trasversale della croce.

 

 
Croce di Basiliche su Roma
La "Croce di Basiliche" sulla città di Roma [da Guidoni, L'urbanistica di Roma tra miti e progetti, Bari 1990; elaborazione P. Miscione]
 

 

Il simbolo cristiano venne impresso sulla città gradualmente, e in completa autonomia, da parte cristiana, sia rispetto alla precedente struttura fisica della città sia rispetto al rinnovamento costantiniano. Se il cristiano vedeva dovunque la sagoma della croce stampata sulle cose, in quanto la croce era la forma fondamentale, ciò non derivava semplicemente da un atteggiamento interiore, ma da un tentativo di interpretare la realtà fisica nella sua struttura più essenziale; prima di tutto, di comprendere in un unico segno le relazioni tra le parti del mondo, tra Oriente e Occidente, tra cielo e terra. In questo senso l’esaltazione del simbolo chiariva anche i rapporti tra i poteri terreni, tra i popoli, tra il mondo antico e il modo nuovo.

 

Una serie di interpretazioni tutte convergenti, che prendevano lo spunto da un noto passo di San Paolo, ma che via via ne ampliavano la portata e il significato, permettono di seguire l’arricchimento di questo motivo fondamentale:

 

il commento di Gregorio di Nissa al passo paolino metteva in luce la potenza del simbolo, che si irraggiava dal centro, luogo in cui si manifestava la potenza divina; la croce simboleggiava l’unione di cielo e terra e delle due direzioni dello spazio. Ma tra queste due proprietà, mentre la prima – legata alla funzione e alla posizione fisica del trofeo – si localizzava specificatamente nel «centro del mondo» (cioè sul Golgotha, la montagna che è simbolo del legame terra-cielo), la seconda – cioè quella di connettere tra loro le parti del mondo – era quella che più si legava alla funzione di dominio sulla terra, di conciliazione tra le genti e di raccolta dai quattro punti cardinali delle «potenze» terrene.

 

Più esplicito era un passo di Ireneo, che sottolineava l’estensione «orizzontale» del simbolo; Ippolito di Roma (inizio del III secolo) sembrava invece chiaramente inserire la croce nella tradizione storica della città, con una frase che ripeteva in fondo alcuni attributi della capitale-centro e cardine del mondo:

 

«Essa è il punto base del tutto, il punto d’appoggio di tutte le cose, le fondamenta dell’orbe, il cardine del cosmo».

 

 

La croce che lega le quattro parti del mondo era ormai, nel IV secolo, un concetto corrente, come testimoniava con estrema chiarezza Eusebio:

 

«Quod ii, qui Occidentis tractum incolunt, una cum orientalium incolis, uno eodemque temporis momento ipsius praeciptis erudiuntur: et qui ad Septentrionem habitant simul cum iis, qui ad Meridiem degunt, uno concentu resonant; […] et unum quidem qui super omnia est, collaudant Deum».

                   

(Eusebio di Cesarea, De Laudibus Constantini, cap. X)

 

 

Queste considerazioni furono di estrema importanza perché si collegavano intimamente all’attività costantiniana, che così veniva a concludere e a siglare «fisicamente» tutta una tradizione che poneva la croce come τρόπαιον eretto nel centro del cosmo e della città terrena.

 

Emergeva quindi una molteplicità di significati del simbolo, che gravitavano tutti intorno al tema della salvezza, intesa sia in senso religioso che in senso materiale. La croce infatti si poneva, da un lato, come signum salutis per tutto il genere umano, ma dall’altro come elemento di collegamento capace di riunire, come il cardine del mondo, le parti esterne dell’impero terreno che tendevano alla disgregazione.

 

Il significato della croce imposta su Roma stava tutto nell’esigenza essenziale di «salvezza» anche materiale della città e del cosmo, nella pacifica unificazione di tutte le sue componenti, nel ritrovare quelle corrispondenze tra la struttura di Roma e la struttura del mondo che, ormai, non si limitavano più ad una celebrazione meccanica del ruolo della città come «baricentro» dell’Impero, ma ne riproponevano in modo diverso ma ambiguo il ruolo di «mediatrice».

 

Così, accanto alla funzione «secolare» della croce cosmica, si profilava l’immaterialità della sua figura, coincidente con il concetto di «rapporto a distanza» tra gli edifici sacri; i quali, infatti, erano situati, oltre che all’estremità dei bracci della croce fisica, su un piano «superiore» a quello della città, nella regione celeste. In questo senso la strutture delle basiliche si sovrapponeva, su un piano diverso (quello celeste) alla struttura della città terrena, informe e destinata alla disgregazione.

 

Ma a Roma i due livelli erano così indissolubilmente legati sul piano storico, sul piano cioè della necessaria continuità tra antichità pagana e «nuovo regno», che l’emergenza della croce dal tessuto simbolico della metropoli imperiale si attuò senza alterare sostanzialmente, ma semplicemente arricchendone, i significati di eternità e di dominio su tutte le genti.

 

Analizzando più in dettaglio le parti che componevano la croce romana risulta evidente la priorità dell’asse verticale (l’axis urbis) sul braccio trasversale, dovuta all’intenzione di appropriarsi, da parte dell’autorità cristiana, del cardo della città, e quindi di inserirsi nella tradizionale linea di comando, nello «scettro» del potere regio.

 

Lungo quest’asse la potenza passa dalla parte superiore (il Salvatore sul Laterano) alla parte inferiore (il San Pietro sul Vaticano). Esiste una precisa tradizione che spiega la scelta di Pietro di subire il martirio su una croce capovolta come una testimonianza di umiltà, di non equivalenza tra il fondatore della Chiesa e il Salvatore.

 

Più precisamente occorre però dire che il legame dei due estremi dell’asse indicava la possibilità di passare, da una situazione «capovolta» nelle tenebre del peccato, ad una situazione di salvezza legata alla manifestazione della crocifissione «diritta» del Salvatore.

 

Il «piede» del braccio trasversale della croce, la parte inferiore, era rappresentata da San Paolo, il parallelo di San Pietro. Sotto questo aspetto la connessione dei due «bracci» significava chiaramente l’intersezione dei due mondi, pacificati sotto il segno di Cristo: gli Ebrei e i Gentili; i primi rappresentati da Pietro, i secondi da Paolo. Si trattava di una vera e propria complementarità spaziale, che tendeva a sottolineare l’idea di un legame necessario e sufficiente, valido per tutta la terra: i due raggi-vettori che, partendo dal centro-Colosseo, si dirigevano verso San Pietro e San Paolo, rappresentavano le due direzioni che univano le parti del mondo, i due popoli riuniti sotto il signum pacis.

 

In questo senso era anche pienamente giustificata la non-equivalenza tra le due basiliche: il dominio di Pietro, che già si esprimeva nell’appartenere la basilica all’axis urbis, consiste nel ricevere la «potenza» direttamente dal Salvatore. Tuttavia questa equivalenza venne ricercata, almeno in un secondo tempo (seconda metà del IV secolo), attraverso l’edificazione di una più imponente basilica sulla costruzione costantiniana di San Paolo.

 

Più sottile il significato del quarto «estremo» del simbolo. Con ogni probabilità esso si trova nella tradizionale attribuzione nella Casa di Pudente con la residenza di Pietro e Paolo, interpretata forse già dall’inizio come il primo significativo evento riguardante non tanto i due apostoli, ma la loro riunione nella Chiesa da essi fondata.

 

Il «capo» di quest’asse trasversale sarebbe già stato, fin dall’inizio, identificato con la Chiesa trascendente, «madre» dei Cristiani e quindi facilmente assimilabile con la madre del Salvatore.Con la costruzione della basilica liberiana di Santa Maria Maggiore la simbologia si esplicitò definitivamente in questo senso: all’asse verticale Cristo-Pietro si innestava quello orizzontale Maria-Paolo.

 

All’inizio del V secolo la «croce di basiliche» di Roma poteva dirsi conclusa nella sua forma definitiva, ma già si coglievano i primi echi di quella che sarebbe dovuta apparire come la più efficace e chiara organizzazione della città terrena, fatta a imitazione della «Città di Dio».

 

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Commenti: 1
  • #1

    pinomiscione (mercoledì, 29 luglio 2015 12:31)


    Ebbene sì: "Senza Croce e con Maria Addolorata la Chiesa è perduta", avevo scritto qualche anno fa in un biglietto consegnato a una certa persona. Che significa, alla luce di questa lettura del "signum crucis" imposto da secoli sulla Città eterna?

    Si attacca il retto culto a Dio nella Basilica mariana più importante della Cristianità, e per conseguenza viene arrecato un grave vulnus anche alla Croce simbolica impressa sulla città di Roma. Venendo a mancare uno dei quattro vertici della Croce, essa non è più.
    Sul piano teologico questo stretto legame tra Maria e la Croce assume, come ben sappiamo, un significato più profondo.
    Cade la Roma dei Martiri e dei Santi e si tramuta nella Babilonia Donna meretrice, che l'Apocalisse di Giovanni descrive nel suo volgare contegno e nella inevitabile catastrofe verso cui è avviata.
    Ma la Roma dei Martiri e dei Santi non scompare del tutto. Essa rivive e si rigenera, seppure nel nascondimento. Essa è in mezzo al Popolo di Dio rimasto fedele alla Verità.

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