La mia “Pietà” del 1975

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Ci fu un giorno del 1972 in cui dalla televisione venni a sapere che un matto si era scagliato contro una statua bella che chiamavano “la Pietà di Michelangelo”. Le aveva il rotto il naso e un braccio a colpi di martello: preso e arrestato.

 

   Ma io già conoscevo quella statua, perché la vedevo quasi tutte le mattine in camera di mia madre, poggiata in un angolo del grande comò di legno scuro: piccola “Pietà” comprata a Roma al tempo in cui il mio fratello più grande era moribondo. Piccola “Pietà” in finto marmo bianco di Carrara, regalata forse dalle suore dell’Ospedale Bambin Gesù che l’accudivano. Piccola “Pietà” dei primi dolori di madre, acquistata forse in una bancarella nei dintorni di San Pietro, dove ella scendeva per un’orazione sperando nel miracolo. Piccola “Pietà” riportata a casa quando il figlio primogenito guarì dal male incurabile.

 

   Poi venni al mondo io, e ritrovai la piccola “Pietà” già carica di tutti questi ricordi, ed ogni mattina l’ammiravo, nel suo abbraccio inconsueto tra una mamma e un figlio già grande, che pareva addormentato sulle sue ginocchia. Quella madre era la Madonna e il Figlio il personaggio che avevo già imparato a conoscere da tempo. Madre e Figlio uniti, e il Figlio, troppo grande per essere suo Figlio, e la Madre, troppo giovane per essere sua Madre. Uniti nel dolore di una Madre per un Figlio morto, e quello di un Figlio per una Madre sofferente per quella morte di Figlio.

 

   Un giorno del ’75 – all’epoca dovevo compiere i miei otto anni – decisi che avrei dovuto disegnare sulla carta la mia piccola “Pietà” di marmo, e presi il foglio bianco e la matita, mentre la “Pietà” assisteva all’opera poggiata sul tavolo. Impresa ardua per un bambino, seppur dotato di capacità artistiche sopra la media, perché l’abbraccio tra Madre e Figlio era complicato dalle pieghe infinite dei panneggi, e il Corpo morto del Figlio era denudato e modellato alla perfezione, mentre la Madre teneva il capo reclinato in avanti, celando all’osservatore i suoi tratti somatici e il suo dolore.

 

   Il risultato che ne venne fuori, dopo alcune ore di lavoro, fu un foglio bianco un po’ sporco e ora spiegazzato, con molti segni di gomma e ripensamenti, dai quali si distingueva comunque la mia piccola “Pietà” in cui la Madre giovane tiene in grembo il Figlio già grande.

 

   Ma a rivederla dopo quasi quarant’anni, la mia piccola “Pietà” è cambiata assai. Ecco: la Madre è sempre la stessa, austera nel portamento, malgrado quei linementi mal resi per lo scorcio. Bella Donna! Il Figlio, invece, mi pare molto più invecchiato, ed anzi ogni volta che rivedo questo foglio ormai sgualcito Egli appare più in là negli anni, scheletrico, malconcio. Eppure, quell’ammasso di muscoli scarnificati appartiene al suo Figlio tanto amato: la Madre è giovane, il Figlio è vecchio.

 

In calce al disegno la solita scritta di sempre: Miscione Pino PIETÀ 1975.

 


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