La formazione di Fra Pio da Pietrelcina nel Molise (1904-1911)


S. PIO DA PIETRELCINA

giovane frate cappuccino

(1911)

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evicava la mattina del 25 gennaio 1904, quando il sedicenne Fra Pio da Pietrelcina, accompagnato dal Provinciale padre Pio Nardone da Benevento[1] e dal suo compagno di studi fra Anastasio Di Carlo da Roio[2], mise piede per la prima volta in territorio molisano. L’anno di noviziato a Morcone[2bis] era trascorso velocemente, speso soprattutto nell’apprendimento delle regole dell’Ordine[3].  

 
 

La stazione ferroviaria di Campobasso quel giorno era gremita di passeggeri, molti dei quali diretti, come loro, verso Termoli; ma il piccolo drappello si sarebbe fermato, dopo poche decine di chilometri di strada ferrata, alla stazione di Ripabottoni Scalo, e da qui, a piedi, percorrendo tra i cumuli di neve qualche scorciatoia nota a chi li accompagnava, al convento di Sant’Elia a Pianisi, la loro destinazione finale. Qualcun altro ricorda invece che quel pomeriggio li andò a prelevare fra Fedele[4] con la corriera, perché c’era un abbondante nevischio, faceva freddo e tutti quanti erano scalzi e intirizziti. Troppa fatica farli arrivare a piedi in quel convento che se ne stava isolato in mezzo alla campagna innevata. Il guardiano ad interim[5] padre Pio Nardone diede loro il “benedicite” e tutti si portarono al “fuoco comune”, dov’era un grande camino, per rimettersi in sesto.

 

 
Campobasso sotto la neve a inizio Novecento
Campobasso sotto la neve a inizio Novecento

Convento di S. Elia a Pianisi
Il convento di Sant'Elia a Pianisi, intitolato a S. Francesco, come si presentava agli inizi del Novecento
Fuoco comune del convento cappuccino di Morcone
Il "fuoco comune"

 

Il Ministro provinciale padre Pio Nardone da Benevento (1842-1908), il "secondo fondatore" della Provincia di S. Angelo;

molto probabilmente fu in suo onore che Francesco Forgione assunse il nome di "Pio"

 

 

In quei primi giorni di sua permanenza gli sarebbe divenuto familiare quel nuovo paesaggio santeliano, che egli poteva osservare proprio dal convento: oltre le più prossime colline ancora innevate, l’orizzonte si chiudeva con il promontorio del Gargano, la sacra montagna dove apparve l’Arcangelo da cui la religiosa Provincia aveva preso il nome, che in quei luoghi s’impone allo sguardo in tutta la sua massiccia estensione, rivolta al Tavoliere. Una scena che contemplò per la prima volta nella sua vita e per lungo tempo da lontano, diversi anni prima della sua definitiva “salita del Monte”. Più di uno dovettero essere i segni soprannaturali che gli annunciavano questo estremo traguardo della sua esistenza, già durante quella non breve permanenza a SantElia[5bis]. Di quello più importante, avvenuto a Campobasso, diremo fra poco.

 

 
Il profilo azzurrino del Gargano da Sant'Elia a Pianisi; l'abitato di San Giovanni Rotondo è rivolto verso il golfo di Manfredonia, a destra della sua falda estrema [foto P. Iocca]
Il profilo azzurrino del Gargano da Sant'Elia a Pianisi; l'abitato di San Giovanni Rotondo è rivolto verso il golfo di Manfredonia, a destra della sua falda estrema [foto P. Iocca]
 

 

 Tra le mura dell’almo cenobio dove si trovava era spirato, ottantaquattrenne, solo tre anni prima, il “Monaco Santo” padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi[6]. Quel profumo di santità avrebbe molto condizionato il giovane novizio, che nel professorio minore di questo chiostro si trattenne per oltre tre anni, per iniziare la “rettorica”, cioè il ginnasio, e proseguire con la “filosofica”, cioè il liceo. Quando vi arrivarono – ricorda uno degli altri dodici confratelli – erano «secchi secchi» ed a Sant’Elia Fra Pio «si rimise molto bene ed era molto bello, dopo pochi mesi di permanenza nel convento di nuova residenza, … anche ai miei occhi di ragazzo, per me risultava una persona un po’ differente dagli altri: era più amabile, sapeva dire qualche parola più buona a noi ragazzi; suggeriva qualche consiglio in modo dolce e noi l’ascoltavamo volentieri. Per me spiccava, anche se nulla di straordinario notavo in lui»[7].

 

Non dissimile è il giudizio che ne diede anni dopo un suo superiore, proprio in riferimento a quegli anni a Sant’Elia:

 

Anche tra compagni esercitava una certa ascendenza per i suoi modi ingenui, affabili, dolci e caritativi. Anche presso la popolazione la vista di P. Pio era di edificazione. Mi ricordo che quando si andava in processione il popolo era attratto dal portamento composto di questo che si distingueva fra i compagni per la modestia, per gli occhi ecc.[7bis]

 

Tra queste sacre mura il giovane Frate ebbe i primi sentori di quello che egli chiamò “martirio dell’anima”:

 

Questo martirio fu assai doloroso per la poverina (l’anima), e per la sua intensità e per la sua estensione. Desso incominciò, se male non mi appongo, in sui diciotto anni e durò insino ai ventuno finiti. Però nei primi due anni esso addivenne quasi insopportabile. Quando quest’anima ciò pativa trovavasi in S. Elia ed in seguito anche a San Marco ed anche altrove.[8]

 

 
Cella di fra' Pio nel convento di Sant'Elia a Pianisi
La cella di Fra Pio nel convento di Sant'Elia a Pianisi
 

 

Sempre qui le prime durevoli “celesti visioni”[8bis], come pure la prima vessazione diabolica vera e propria, quando un grosso cane[9] gli comparve innanzi per aggredirlo; e ancora qui la prima bilocazione accertata[10] e il primo “miracolo”[11]. E finalmente, sempre in questo convento molisano, a tre anni esatti dal suo arrivo, la domenica 27 gennaio 1907, emise la professione dei voti solenni, con la quale s’impegnava a mantenersi per il resto della sua vita alla sequela di Cristo, secondo la Regola di San Francesco, in perfetta obbedienza, povertà e castità. Così difatti scrisse, di proprio pugno, quel giorno:

 

Io, F. Pio da Pietrelcina, Studente Cappuccino, avendo compiuto i quattro anni di Religione, richiesti dai decreti Pontificii dopo la professione dei voti semplici da me fatta nel noviziato di Morcone nella Provincia di S. Angelo il 22 gennaio 1904; essendo oggi in età di 19 anni mesi 8 e giorni due; in questo giorno 27 gennaio 1907, ho fatto la mia professione solenne nel convento di S. Elia a Pianisi, nelle mani del Rev.do Padre Raffaele da S. Giovanni Rotondo attuale Guardiano, alla presenza della famiglia Religiosa, e specialmente dei Reverendi Padri qui sottoscritti come testimoni.

Dichiaro poi che questa solenne professione è stata fatta di mia libera volontà, e perciò mi considero quindi innanzi, come legato per sempre coi voti dell’ordine dei Cappuccini, sotto la Regola del Serafico Padre San Francesco d’Assisi, a solo ed unico fine di attendere al bene dell’anima mia e dedicarmi intieramente al servizio di Dio.

Oltre di ciò mi obbligo all’osservanza perfettamente comune secondo gli ultimi decreti Pontificii e le disposizioni Generalizie del 1886.

In fede quindi del vero, mi sottoscrivo di proprio carattere, corredato pure con giuramento oggi nel convento di S. Elia a Panisi 27 gennaio 1907.

Fra Pio da Pietrelcina

Testimoni

P. Raffaello da S. Giov. Rotondo Guard.

P. Egidio da Fragneto l’Abate Vicario

P. Giustino da S. Giov. Rotondo Lettore[12]

 

 

Professione voti solenni fra' Pio da Pietrelcina
Chirografo della "professione dei voti solenni" di Fra Pio da Pietrelcina, conservato nel convento di Sant'Elia a Pianisi (27 gennaio 1907)
 

 

Da Sant’Elia, all’epoca e fino al 1983 compresa nell’arcidiocesi di Benevento, Fra Pio si assentò saltuariamente per alcune settimane, dal maggio all’agosto del 1905, quando si trattenne nel convento di Santa Maria del Monte a Campobasso[13], affidato ai Padri Cappuccini proprio in quel maggio, e dove il 5 giugno dell’anno prima la Vergine era stata solennemente incoronata[14] dal metropolita beneventano monsignor Benedetto Bonazzi[15], presente il Fraticello. Vi andava per dare un sostegno ai frati nel servizio liturgico, ed anche per riprendersi dai suoi malanni, specialmente la sua cronica costipazione addominale. In questo convento del capoluogo di provincia, il 15 agosto del 1905, gli apparve[16] la Madonna ivi venerata, che certamente dovette anticipargli la “missione grandissima”[17] che avrebbe coinvolto l’intera sua esistenza: precorrere ed assistere Colui che “sale il Monte”, farsi vittima e padre di vittime fino all’ultimo giorno.

 

 

  L'Incoronazione di Maria SS. del Monte, alla quale partecipò Fra Pio da Pietrelcina (5 giugno 1904)
 

 


Campobasso salita al Monte Monforte

La "salita del Monte" di Campobasso, che conduce al convento di S. Maria del Monte

 

 

A. TRIVISONNO, L'Apparizione della Madonna del Monte a Fra Pio (1972). Campobasso, Chiesa di S. Maria del Monte, Stanza di Fra Pio da Pietrelcina

 
 

 

Più lunga – di sei mesi – fu invece la sua presenza nel convento di San Marco la Catola (Foggia), dove coi suoi compagni venne spostato nella seconda metà di ottobre del 1905, vista l’inagibilità della chiesa santeliana, la cui volta minacciava di cedere. In questo periodo ebbe inizio la direzione spirituale del padre Benedetto Nardella da San Marco in Lamis[18], guardiano in quel convento, che tanto gli avrebbe giovato nello spirito, e continuata fino al giugno del 1922, quando il Sant’Uffizio avrebbe decretato la cessazione di ogni rapporto fra i due. A Pianisi Fra Pio Forgione sarebbe tornato solamente sul finire dell’aprile 1906[19], per il secondo anno di filosofia.

 

 

 

I luoghi di Fra Pio:

a sinistra, particolare della  "Carta della viabilità della provincia di Campobasso", in scala 1:100.000 (1895); a destra, C. GRANDI, Diocesi di Larino (1743), incisione per il libro di mons. G.A. Tria, "Memorie Storiche ... "

 

 

Era usanza che gli studenti della Provincia monastica partecipassero alle manifestazioni della pietà popolare tipiche di ciascuna zona, perché il frate cappuccino non doveva essere completamente separato dal mondo; ed allora, soprattutto in concomitanza delle feste maggiori, si visitavano i paesi limitrofi, i luoghi di culto più notevoli, i santuari. Capitava anche che da Sant’Elia, nelle belle giornate di primavera e d’estate, nei fine settimana soprattutto, i frati del convento scendessero verso le più basse colline molisane, in direzione della costa, a volte spingendosi fino all’altro cenobio cappuccino di Serracapriola.

 

 

 

Un precettore e un confratello molto amati:

padre Pietro Paradiso da Ischitella (1879-1924) e padre Placido Bux da San Marco in Lamis (1886-1968)

 

 

Una di queste gite scolastiche, di cui si ha un chiaro resoconto, avvenne nella seconda metà di settembre del 1905[20]: oltre a Fra Pio, facevano parte della comitiva gli studenti Clemente Centra da San Giovanni Rotondo[21], Placido Bux da San Marco in Lamis[22], Anastasio Di Carlo da Roio[23], sotto la guida del precettore padre Pietro Paradiso da Ischitella[24]. All’ultimo momento si unì al gruppo lo studente laico Agatangelo Testa da Sant’Elia[25], che si mise in groppa al mulo prestatogli dal babbo per trasportare i necessari viveri, quando il drappello di gitanti s’era fermato, appena fuori del paese, per una colazione frugale a base di pane e latte, nella masseria di famiglia in contrada Morgia longa.

 

 
Casolare lungo il tratturo Celano-Foggia nei pressi di Sant'Elia a Pianisi
Casolare lungo il tratturo Celano-Foggia, nei pressi di Sant'Elia a Pianisi
Santa Croce di Magliano agli inizi del Novecento
Santa Croce di Magliano agli inizi del Novecento
 

 

Lungo il tratturo Celano-Foggia, una pioggerella battente li costrinse a fermarsi a Santa Croce di Magliano. La nipote dell’arciprete don Prospero Tartaglia, che li aveva avvistati sotto un porticato del paese, corse ad avvertire lo zio, che prontamente li ospitò in canonica. Qui, nella sua casa, si asciugarono al fuoco del camino, mentre al più gracile Fra Pio venne consigliato di cambiarsi e d’indossare la talare nera. Poi cenarono tutti insieme e trascorsero la notte in casa del parroco. Il dì appresso, ecco che finalmente poterono arrivare al convento di Serra, «ove si trattennero quattro o cinque giorni, aiutando anche a vendemmiare assieme agli studenti ivi residenti»[26]. Probabilmente fu questa l’occasione in cui, nel pigiare l’uva nel tino, s’inebriò dei vapori alcolici e ne uscì alquanto alticcio: «Fu l’unica volta in vita mia che il vino mi fece perdere la testa», racconterà ai visitatori serrani anni dopo[27].

 

 


La vendemmia  "pericolosa" nel convento di Serracapriola

 

Casacalend vista da meridione
Panorama di Casacalenda, vista da meridione

 

 

 

Questa fu la prima volta, di cui si ha un preciso racconto, nella quale il futuro Santo con le sacre piaghe mise piede nel territorio della Diocesi di Larino. Ma le occasioni per tornarvi furono diverse: pochi giorni dopo quella breve incursione in direzione del convento serrano, il 24 settembre 1905, l’ultima domenica di quel mese, nel Santuario della Madonna della Difesa a Casacalenda[28], lontano un paio di chilometri dal paese, si festeggiava, come da consuetudine principiata quattro anni prima, l’arrivo della preziosa effigie della Vergine con Bambino, opera ammirevole dell’artista fiorentina Amalia Dupré, così come ancora oggi avviene. Fra Pio e i suoi compagni di studio furono certamente invogliati a partecipare ai solenni riti, ma non sappiamo se in quell’occasione salirono davvero al novello Santuario mariano.

 

 


Le due versioni dell'immagine di Maria SS. della Difesa

 


  La Cappella di Nostra Signora della Difesa ai primi del Novecento
 

 


  L'ultima domenica di settembre si sale al Santuario diocesano della Madonna della Difesa ...

 

 

Nel 1906, nella seconda parte dell’anno, troviamo per certo il Frate di Pietrelcina e i suoi confratelli a Casacalenda, accompagnati dal precettore padre Giustino da San Giovanni Rotondo[29], ospitati nel convento dei Frati minori di Sant’Onofrio[30], su invito del medico curante dei frati di Sant’Elia, il dottor Francesco Nardacchione[31], detto “don Ciccio”, medico condotto in quel paese, ottimo clinico e fervente terziario francescano, nonché del padre Isidoro, Minore della comunità conventuale, che spesse volte aveva reso visita ai Cappuccini di Sant’Elia.

 

Risulta acclarato che in questa occasione si proposero efettivamente di salire fino al Santuario della Difesa, non prima però di aver fatto riverenza al loro devoto dottore e alla madre del padre Paolino[32], colui il quale dieci anni dopo avrebbe fatto salire il Monte Gargano al futuro Santo con le stimmate. Quando avevano da poco superato il paese e già imboccato la stradina di campagna che menava alla Cappellina, un improvviso acquazzone sorprese ancora una volta il gruppo, che dovette ritornare precipitosamente verso il convento.

 

 
Casacalenda convento S. Onofrio
Il convento di S. Onofrio a Casacalenda

 

L'inaugurazione della cella di Fra Pio nell'Eremo di Sant'Onofrio

(24 novembre 2019)

 
 

 

Questa gita gli procurò un forte raffreddore e una fastidiosa tosse. «Da allora – racconterà un giorno – sono incominciati i mali e le sofferenze che mi hanno accompagnato per tutta la vita»[33]. In questa sfortunata evenienza Fra Pio si dovette arrangiare ad indossare il saio dei Frati Minori[34] che, seppure facenti parte della famiglia francescana, non portavano ’a varva.

 

 

 

Due casacalendesi importanti:

il dottor Francesco Nardacchione (1860-1936) e il padre Paolino da Casacalenda (1886-1964)

 

 
 

Invero, anche se non ne abbiamo prova documentale accertata, vista la distanza relativamente breve tra Sant’Elia e il Santuario della Difesa (25 km), percorribile in gran parte anche su strada ferrata, le occasioni di visitarlo dovettero essere diverse, dacché la festa era assai rinomata in tutto il Circondario, ed anche dal natio beneventano, dall’Irpinia, dal Chietino e perfino dalla terra di Bari i pellegrini devoti sono sempre stati tantissimi, come ancora ai giorni nostri. Per parte mia, ricordo che cominciai a frequentare questo luogo santo oltre sessant’anni dopo, da bambino, con la mia nonna che portava il nome dell’emorroissa e che m’iniziò alla fede cristiana. Tanti erano i santini della Madonna venerata a Casacalenda, infilati a mo’ di segnacolo nel suo Libro di orazioni, che accendevano la mia immaginazione, rimembrando la Madre.

 

 
Libro di preghiere di metà Novecento
Un ricordo d'infanzia: il libro di "Massime Eterne" della mia ava, ed i suoi santini della Madonna della Difesa
Madonna della Difesa processione in Casacalenda
La "Madonna della Difesa" in processione per le strade del paese
 

 

Per finire, troviamo il giovane novizio ancora a Casacalenda all’inzio di novembre del 1907, quando oramai la sua permanenza a Sant’Elia a Pianisi era avviata a conclusione. Ci dovrà pur essere un trascendente motivo di questa ripetuta presenza in questa località benedetta da Colei che vi è venerata col titolo di Auxilium Christianorum, come pure dellintervento di un religioso di questo paese che, di lì a una decade, avrebbe avuto la sua buona influenza – come lui stesso ammette[34bis] –, nellofferta sacrificale di Padre Pio da Pietrelcina sopra il monte Gargano. Io me ne sono fatto un’idea personalissima, piuttosto dolente, ché da qui sarebbe venuto molti anni dopo, il primo, archetipico aggressore.

 

 

 

Per le strade di Casacalenda

 

 

 

Cimitero di Casacalenda primi Novecento
Il cimitero di Casacalenda agli inizi del Novecento
 

 

Questa volta la circostanza non fu delle più liete, perché trattavasi dei funerali della madre del dottor Nardacchione, signora Teresa, nata Cianciullo, deceduta il 3 novembre di quell’anno. Anche in quell’occasione, un acquazzone autunnale sorprese il giovane Frate che, sudato per la partecipazione al corteo funebre, svoltosi l’indomani, cadde ammalato e nuovamente dovette riparare nel convento di Sant’Onofrio, ma per rimanervi per ben venti giorni e passa[35]. Visitato dal medico colpito dal recente lutto, gli venne diagnosticata quella malattia che sarebbe tornata spesse volte nei referti medici: bronco-alveolite all’apice sinistro, alla quale si consigliava di porre rimedio con «vita all’aperto e aria nativa»[36].

 

Invero, quest’acqua caduta dal cielo che lo inzuppava inesorabilmente[37], questi malanni che lo colpivano, come una persecuzione, dopo aver messo piede nel territorio di questa nostra Diocesi larinese sono ben strani, indicativi certamente di qualche segno soprannaturale che egli andava riconoscendo nel suo animo di acerbo frate francescano: un’acqua che fa ammalare, in attesa di quella che guarisce …

 

 

  Lungo la ferrovia Campobasso-Termoli ...

 

 

E finalmente, ecco il nostro giovane professo, che non aveva mai dato gli esami finali di filosofia[38], ammesso comunque allo studio della teologia. Tra il 18 e il 20 ottobre 1907, i Superiori s’erano riuniti in Congregazione a San Marco la Catola ed avevano deciso: il tutto doveva svolgersi in modo che Pio Forgione ed altri quattro compagni fossero dirottati al convento di Vico del Gargano (Foggia), dove avrebbero avuto come lettore il padre Agostino Daniele da San Marco in Lamis[39], mentre altri cinque dovevano spostarsi al più vicino convento di Serracapriola, sotto la guida del lettore padre Bonaventura Villani da San Giovanni Rotondo[40]. Ma il buon Dio – anche in questo caso – aveva “altri progetti”, e il padre Agostino capitò in extremis proprio a Serracapriola, nella Diocesi larinese, portandosi appresso il giovane Fraticello, che si scambiò il posto col compagno Placido Bux, finito effettivamente nel cenobio garganico[41].

 

Era dunque prestabilito – verrebbe da pensare – che il futuro Santo con i segni della Passione di Cristo addosso dovesse venire a studiare la teologia in un convento cappuccino della Diocesi di Larino, l’unico rimasto.

 

 

 

I precettori di Fra Pio a Serracapriola:

padre Agostino Daniele da San Marco in Lamis (1880-1963); padre Bonaventura Villani da San Giovanni Rotondo (1880-1933)

 

 

Fu proprio il padre Agostino che andò a prendersi i giovani studenti a Sant’Elia[41bis], per condurli a Serracapriola. Il drappello piuttosto consistente sconsigliava i carriaggi a due o quattro ruote, e perciò prese il treno alla stazione di Ripabottoni in direzione della costa, transitando anche per Larino, ma proseguendo fino a Termoli, dove li attendeva la coincidenza per quel breve tratto di strada ferrata, in direzione sud, verso Chieuti Scalo. Da qui trovarono qualche altro mezzo per salire a ritroso verso Serra, oppure fecero quella breve distanza – quindici chilometri – a piedi. Leggiamo questa significativa memoria di un suo confratello[42], che in futuro gli sarebbe rimasto accanto a lungo:

 

C’incontriamo ancora e questa volta alla Stazione ferroviaria di Termoli, quando noi Chierici da Serra si passava a Sant’Elia e loro Studenti, con Fra Pio, da Sant’Elia passavano a Serracapriola: in quell’incontro subito notai la differenza tra lui e gli altri perché, mentre tutti ci scambiammo qualche parola allegra ed affettuosa, Fra Pio, occhi bassi e in silenzio, con la bisaccia sulle spalle, ci salutò con un semplice inchino e nulla disse, ma in quell’inchino e in quel silenzio vi era l’espressione di tutta la sua religiosità cappuccina e del suo raccoglimento interno.[43]

 

 
Termoli stazione ferroviaria inizio Novecento
La Stazione ferroviaria di Termoli nei primi anni del Novecento
 

 

Il convoglio ferroviario che lentamente s’appressava alla destinazione lasciava intravedere, seppure in quel cielo d’autunno che dovremmo immaginare protetto da una coltre di nuvole, o forse chissà ancora inusitatamente terso, la montagna garganica che a levante sbarrava l’orizzonte e che sempre più si protendeva allo sguardo del giovane Frate, come a impegnarlo nel più profondo intimo, rinnovando ciò che gli era stato chiesto già da alcuni anni: salire il Monte, quel Monte; ascesa che ai suoi occhi, già pervasi da quella mirabile visione fin dagli anni santeliani, si caricava sempre più di valore salvifico, che egli avrebbe più compiutamente portato ad effetto nove anni dopo. Ma intanto il Monte, non solo fisicamente, si avvicinava.

 

 
Il Gargano visto dal convento dei Cappuccini di Serracapriola
Il Gargano dal piazzale del convento di Serracapriola: il Monte si avvicina ...
Veduta di Serracapriola
Veduta di Serracapriola, con la chiesa di S. Maria "in Silvis"

 

Il convento di Serracapriola, nelle immagini d'epoca

 

 

E così capitò che, tra la seconda metà di ottobre, mese mariano del Rosario cui era devotissimo[44], ed il novembre 1907, Fra Pio Forgione venne a studiare nella nostra Diocesi. La reggeva in quegli anni, e già dal 1891, monsignor Bernardino di Milia, cappuccino da Calitri (Avellino), balzato all’onore delle cronache nazionali tra il 1877 e il 1880, in occasione del ritrovamento delle vere spoglie mortali del gran navigatore Cristoforo Colombo[45], quand’era segretario del Delegato apostolico presso la Repubblica Dominicana monsignor Rocco Cocchia  (1830-1900).

 

 

 

Mons. Bernardino di Milia – il "vescovo di Fra Pio" (1891-1910) – è stato l'ultimo Presule deceduto a Larino

 

 

Dopo la soppressione sabauda del 1866, che aveva costretto lo stesso Vescovo calitrano a vivere fuori dal chiostro, il convento di Serracapriola[46] rappresentava l’unico baluardo cappuccino dell’intera sua Diocesi. Era stato fondato, esso, nel 1536, l’anno dopo quello di Larino, dal piccolo drappello di frati provenienti della Provincia della Marca, artefici anche del progetto architettonico, sui quali sovrintendeva il fra Paolo da Sestino. I denari provvide a metterli Andronica Del Balzo, principessa di Molfetta e padrona del luogo, e venne edificato, previo permesso del Presule Giacomo Sedati, che fu vescovo dal 1530 al ’39, secondo la forma della povertà richiesta dalla Regola, ma successivamente ampliato per le esigenze cui era destinato. La sua posizione tra colline e mare, circondato da tanto silenzio e ben distante dall’abitato, lo rese sempre caro ai religiosi. Anche per questo, fu più volte sede di studentato e di seminario serafico.

 

La chiesa, intitolata a Santa Maria delle Grazie, venne consacrata il 13 giugno 1705 dal vescovo di Termoli monsignor Michele Petirro (1651-1709), dopo la ricostruzione resasi necessaria a seguito del grave sisma del 30 luglio 1627; in essa vi sono stati celebrati ben dieci capitoli provinciali. L’11 agosto 1808, in vista di una probabile soppressione del convento, durante il Regno murattiano, il governatore Michele Cinquepalmi provvide a redigere l’inventario di tutti i beni ivi contenuti, che venne consegnato al Superiore padre Michelantonio da San Giovanni Rotondo. La paventata soppressione, che si sarebbe dovuta attuare nel 1811, non ebbe invece luogo, per l’intervento dei sindaci  e del decurionato di Serracapriola e Chieuti presso l’Intendente governativo, i quali motivarono le loro risoluzioni col dire che i frati si prestavano «per il miglior bene della gioventù[47].

 

 
 

Quello che non fece il Governo francese, lo arrivò a fare al contrario – come abbiamo detto – il Governo italiano. Il convento fu difatti chiuso nel 1866, in ottemperanza alla legge di soppressione del Luogotenente principe Eugenio di Savoia-Carignano[48]. Venne quindi affittato al signor Michele Galasso, orefice di Serra, per la durata di tre anni (1884-1887), per poi finire in subaffitto a Donato Pontonio (padre Donato da San Marco in Lamis), dal marzo 1885 al Natale del 1887. Messo all’asta, giardino compreso, il 2 settembre 1886 esso venne venduto al signor Giuseppe Fuiano di Foggia. Il 1° ottobre 1886 fu finalmente stipulato il contratto di compravendita tra il Fuiano e i frati Cappuccini – ma nel loro status civile –, nelle persone dei reverendi padri Francesco Maria Monforte da Gambatesa – Provinciale (1886-1889), ma di una Provincia ormai distrutta –, Mariano Vocale da San Nicandro Garganico, Giangiuseppe Fiascone da Fragneto l’Abate, Geremia Solimena da Anzano di Puglia e Francesco Maria Marino da Savignano[49].

 

 

  Gli interventi di mons. di Milia in favore del convento di Serracapriola

 

 

La chiesa conventuale, per diversa competenza rimasta separata – anche fisicamente dal convento, venne riaperta al culto solo il 4 novembre 1890, ma unicamente con l’officiatura di un sacerdote secolare, che assumeva il titolo di Rettore. Essendo questa incomunicabilità fisica del tutto sfavorevole ai Cappuccini, ecco che sopravvenne l’intervento provvidenziale dell’Ordinario diocesano, il già menzionato monsignor di Milia, che la riscattò, previo consiglio al Generale dell’Ordine padre Bernardo Christen dAndermatt, e il 30 settembre 1901 ne cedette in perpetuo l’uso, mediante regolare contratto[50], ai frati Cappuccini, nella persona del padre Pio Nardone da Fragneto l’Abate (detto “da Benevento”)[51], al tempo Commissario generale della Provincia di Sant’Angelo; colui il quale – abbiamo visto – avrebbe accompagnato il giovane novizio di Pietrelcina a Sant’Elia.

 

 

 

I cinque compagni di studio di Serracapriola, molti anni dopo

 

 

La famiglia religiosa del convento era composta, in quell’ottobre del 1907, da cinque precettori, cinque studenti chierici[52], tra i quali Fra Pio Forgione, e tre frati laici. Compagni di studio di Fra Pio erano i frati Leone Patrizio da San Giovanni Rotondo[53], Anastasio Di Carlo da Roio[54], Guglielmo Bucci[55] e Clemente Centra[56] da San Giovanni Rotondo: trovati tutti «di fervente carità, lodevoli costumi e di umile e santo conversare», ma anche «capaci di apprendere in modo da essere in seguito, per vita e per dottrina, utili e vantaggiosi alla casa del Signore»[57]. Da San Giovanni proveniva anche il padre Bonaventura Villani[58], lettore in questo convento di Teologia fondamentale e dommatica oltreché di Ermeneutica biblica, mentre padre Agostino Daniele, l’altro precettore, vi insegnava quasi certamente la Patrologia e la Storia ecclesiastica[59]. Ce lo rammenta lui stesso:

 

Conobbi il Padre Pio da frate il 1907 quando l’ebbi studente di teologia a Serracapriola. Era buono, obbediente, studioso, sebbene malaticcio; ma niente ancora m’accorsi di straordinario o soprannaturale.[60]

 

Sono brevi accenni a quel periodo serrano, da parte di colui il quale sarebbe stato accanto al suo Piuccio da precettore, amico, direttore di spirito e confessore per altri lunghi anni.

 

 

 

Padre Agostino e Padre Pio: maestro e allievo cinquant'anni dopo

 
Giovani novizi cappuccini
Erano cinque giovani "professi", ragazzi come questi ...
 

Tutti – discepoli e discenti – si sarebbero attenuti alle vigenti costituzioni dell’Ordine Cappuccino:

 

Non cerchino i Lettori e gli Studenti di conseguire quella scienza, che gonfia e porta alla superbia. Si sforzino invece piuttosto di acquistare quella carità di Cristo, che illumina ed infiamma, dà vita e tiene in soggezione il proprio animo. Né mai si immergano tanto nello studio letterale, che per esso abbiano a pretermettere lo studio della santa orazione, perché farebbero espressamente contro le intenzioni del Serafico Padre, il quale non voleva che mai, per qualsivoglia studio, si lasciasse.[61]

 

E a queste sacre regole si sarà certamente conformato, e scrupolosamente, il giovane professo di Pietrelcina. Ma torniamo al vivo ricordo che rievoca per noi un suo compagno di studio e vocazione:

 

Debbo dire che dagli studenti fu sempre stimato di una bontà fuori dell’ordinario. Non prese mai parte a combriccole studentesche. Prendeva però parte con fraterna giovialità alle comuni ricreazioni, ma se, a volte, ci sentiva mormorare, subito si allontanava, quando non ci riprendeva con assai vivacità. Di ingegno comune, in scuola sapeva però sempre la lezione, quantunque avessimo la persuasione che studiasse poco. Infatti io, come bidello dello studio, ora con una scusa, ora con un’altra, entravo spesso in cella sua e lo trovavo, quasi sempre, a pregare, in ginocchio e cogli occhi arrossati di pianto. Potrei dire che egli era uno studente di continua orazione, fatta di lacrime, perché bastava guardare gli occhi, per capire che le lacrime erano cosa ordinaria.[62]

 

 
Padre Pio giovane con confratelli all'aperto
Un giovane Padre Pio (al centro) in un momento di svago con i confratelli
 

E un altro suo compagno di noviziato non è da meno nel riportare alla memoria episodi assai edificanti:

 

La pietà somma rivelata dal Padre Pio nel tempo del santo noviziato la vedemmo crescere a dismisura nel tempo del ginnasio, del liceo e della sacra teologia. Sebbene poco fu il tempo di dimorare assieme al Padre Pio negli anni dello studio, anche in quei pochi mesi che stemmo uniti avemmo motivo di ammirare altre sue virtù, fra cui l’assiduità dello studio, al silenzio, al continuo raccoglimento, la somma purezza che rivelava con la grande modestia degli occhi, con penitenze che chiedeva di compiere con insistenza, col cambiarsi in viso nell’incontro inaspettato di qualche figura poco modesta, col dare segni di turbamento quando osservava qualche gesto anche dubbio negli altri; prove queste evidenti che egli amava assai la virtù angelica.[63]

 

Ci conferma questa singolare vita ascetica del Frate una laica, e la sua testimonianza, seppure potrebbe essere condizionata da eventi successivi che videro il Padre protagonista, risulta essere piuttosto significativa:

 

Ricordo che andavo in Chiesa, ed era la mia chiesa, insieme a due compagne (parlo della chiesa-santuario delle Grazie) quando al mattino al momento della Comunione, l’allora studente Fr. Pio, si distingueva tra gli altri studenti, che erano una decina, per la sua compostezza. Camminava, nello accostarsi alla Comunione con il capo chino, gli occhi bassi e le mani giunte, tanto che lo soprannominavano O chianciuso o piangente. Il giovedì, poi nel pomeriggio accompagnati dal padre Paolino da Casacalenda, gli studenti andavano a passeggio, seguendo la via del cimitero o verso Chieuti, io con delle mie compagne guardavamo Fr. Pio, che si distingueva tra gli altri per il comportamento, la compostezza, tanto che noi dicevamo che si sarebbe fatto santo.[64]

 

 

 

Come trascorreva la giornata in convento

 

 

La giornata dei giovani professi, che ci pare molto impegnativa, era organizzata nella maniera che qui riportiamo:

 

ore 6.00 – levata al suono della canna o bàttola;

ore 6.30 – in coro: recita dell’Angelus e delle litanie dei santi, meditazione;

ore 7.15 – preghiere liturgiche in Latino. Recita dell’Ora prima e terza; messa conventuale;

ore 8.00 – colazione in comune;

ore 8.30 – pulizia del convento;

ore 9.00 – scuola (eccetto il giovedì e la domenica);

ore 11.00 – lettura spirituale;

ore 11.30 – preghiere liturgiche dell’ora sesta e nona;

ore 12.00 – pranzo con lettura, qualche volta dispensata;

ore 13.00 – ricreazione e sollievo;

ore 14.00 – silenzio regolare, riposo, studio, preghiera personale;

ore 15.30 – lavoro e pulizia, lettura spirituale;

ore 16.30 – ricreazione;

ore 17.00 – Ave Maria, compieta, rosario, meditazione;

ore 18.15 – cena;

ore 18.30 – ricreazione;

ore 19.00 – studio nella cella;

ore 20.30 – silenzio, preghiere della sera, riposo;

ore 24.00 – in coro: mattutino o ufficio delle letture.[65]

 

 

 

I dintorni di Serracapriola, a primavera ...

 

 

Il giovedì pomeriggio vi era la possibilità di fare una passeggiata fuori dal convento o al limite fuori paese, sotto la guida di un padre lettore. Se in queste escursioni, che riprendevano la vecchia consuetudine già sperimentata a Sant’Elia, avessero a toccare altri centri del Circondario, o forse addirittura la città sede episcopale, per fare visita a fra Bernardino nel suo Episcopio larinese, non abbiamo avuto modo a tutt’oggi di poterlo verificare. Tuttavia, mi pare strano che, specialmente nelle belle giornate primaverili ed estive, non si ripetessero quelle passeggiate settimanali e quelle gite scolastiche di alcune decine di chilometri, com’era avvenuto qualche anno prima con quelle a Macchia Valfortore[65bis], Casacalenda, Santa Croce di Magliano. E difatti alcuni ricordi che crediamo attendibili, riconducibili a chi conobbe il venerato Frate anni dopo, confermano che, tra il 1905 e il 1907, egli ebbe modo di visitare e d’intrattenersi in preghiera nel convento di Larino, che all’epoca, seppur privato della presenza cappuccina, svolgeva la funzione di parrocchia rurale.

 

 
Larino Convento PP Cappuccini
Il Convento dei Cappuccini di Larino, intitolato alla Santa Croce (1918) [foto Archivio Pilone]

 

Due possibili mete di escursione spirituale: S. Primiano e la Madonna delle Grazie, il sangue e l'acqua ...

 

 

Madonna delle Grazie e Madonna della Libera: "’a Madunnella nostra" ...

 

Ma certamente le occasioni di visitare il territorio diocesano saranno state diverse: forse saranno scesi a visitare il Santuario di Madonna Grande[66] in direzione della costa, o forse avranno mostrato il desiderio di salire alla Cappella larinese di San Primiano, memori delle sue reliquie conservate nella chiese serrane[67]. Leggiamo che quell’anno il 15 maggio cadeva di venerdì: saranno venuti a fare una visita nel fine settimana? Avranno voluto forse varcare anche la soglia della vicina chiesetta della Beata Maria Vergine delle Grazie – titolo mariano al quale Piuccio era affezionatissimo, perché gli riportava la devozione alla sua Madonna della Libera[68] –, riaperta al culto l’anno prima, proprio quando aveva messo piede in Diocesi?[69] Non lo possiamo sapere con certezza, anche se l’accertata presenza nel convento larinese, proprio in quegli anni, ne renderebbe assai plausibile la fondatezza. E tuttavia, sarebbe opportuno indagare ancora: andare per conventi, parrocchie, chiedere permessi, parlare con persone, cercare tra quelle carte impolverate ed intonse, che nessuno forse ha mai pensato di scartabellare, perché di questo seppur breve soggiorno di colui il quale il mondo intero avrebbe conosciuto col nome di Padre Pio da Pietrelcina, venuto in questa terra per una missione di cui poco si vorrebbe sapere, non è rimasta alcuna traccia, almeno in questa realtà da dove scrivo questi accorati appunti.

 

Anche quel convento di Serracapriola, da trent’anni e passa è sottratto ad ogni competenza[70] dei vescovi che l’avevano avuto tra i loro beni spirituali fin dalla fondazione.

 

 

 

Il passaggio di Serracapriola e Chieuti dalla diocesi di Larino a quella di San Severo

 

 

 

Mons. di Milia, ritratto in età avanzata, e una sua raccolta di "Lettere pastorali"

 

Ma ugualmente acclarati – abbiamo visto – furono i contatti tra l’Ordinario diocesano dell’epoca, cappuccino stimatissimo nell’Ordine, e il convento dei Padri cappuccini della sua Diocesi:

 

visiteremo innanzi tutto la Nostra Cattedrale ed il Nostro Rev.mo Capitolo col Collegio dei Mansionarii, visiteremo tutte le Chiese e Cappelle coi rispettivi altari; visiteremo le Collegiate, le Confraternite, i Monasteri delle Monache, ed altri Luoghi Pii, visiteremo tutti i chierici, tutti i sacerdoti e confessori, i RR. Signori Arcipreti e Vicarii curati, i Procuratori, i Rettori, e Cappellani di Chiese e Confraternite

 

scriveva l’infaticabile monsignor di Milia in una sua Circolare[71]. E tante altre ne avrebbe scritte, perché, in diciannove anni di episcopato larinese visitò la sua Diocesi per ben sei volte, senza escludere i luoghi più appartati; ed allora si dovrà ben verificare se si sia presentata la possibilità, per il futuro Santo, di baciargli il sacro anello. In quel 1908 cadeva il giubileo sacerdotale del regnante Sommo Pontefice Pio X, di cui Pio Forgione era devotissimo, del cui evento il Presule frentano  – prelato domestico del Papa e assistente al Soglio pontificio – volle rendere degno onore in una ennesima Circolare[72]. E per la Pasqua di quell’anno, che il giovane Frate visse nel convento serrano, il Vescovo, come tutti gli anni, compose la sua buona Lettera pastorale, dedicata alla “stampa”[73], che immaginiamo egli avrà diligentemente sfogliato.

 

Scriveva, e per dovere, anche il giovane professo: ci sono pervenuti diversi suoi componimenti, alcuni dei quali redatti in questo periodo serrano, in particolare alcuni appunti di Teologia dogmatica fondamentale riguardanti la Rivelazione, il primato del Romano Pontefice, i Concili generali della Chiesa, oltre ad altri che introducono allo studio della Sacra Scrittura, quali il canone dei Libri sacri e il vero concetto dell’ispirazione. Abbiamo inoltre altre sue annotazioni, relative al trattato De Deo, che si limitano a prendere in considerazione gli attributi e la scienza di Dio. Si ha motivo di credere che siano stati stesi nel corso del periodo di studio presso il convento di Serracapriola[74].

 

 
Zi' Grazio Forgione e mamma Peppa genitori di Padre Pio da Pietrelcina
Zi' Grazio e mamma Peppa, i genitori di Fra Pio, in una pausa durante la trebbiatura
 

Da questo convento Pio Forgione scrisse anche alcune lettere alla sua famiglia, di cui tre accertate, benché mancanti dell’indicazione esplicita del luogo e della data. La prima, del febbraio-marzo 1908, nella quale si fa accenno al matrimonio del fratello Michele[75] e a «esami, che avranno luogo fra giorni, da sostenere davanti al vescovo per quindi ricevere gli ordini minori»[76]; la seconda, spedita prima della Pasqua, che in quell’anno cadeva il 19 aprile, nella quale esorta «a non tralasciare il precetto pasquale, unico mezzo per la nostra salute»[77].

 

Invero quella Pasqua fu parecchio difficoltosa per il giovane Frate: il Venerdì Santo, che in paese era festeggiato in modo del tutto particolare[78], oltre che dal “male toracico” che l’affliggeva, venne colpito da una fastidiosa emicrania, che gli avrebbe impedito persino di partecipare alle lezioni in classe[79].

 

 
Padre Pio e il fratello Michele Forgione
Padre Pio col fratello maggiore Michele (1882-1967)
 

La terza e ultima missiva indirizzata ai suoi pur essi indisposti –, è datata al luglio di quell’anno e riprende i patimenti che gli dava quella “misteriosa malattia” che lo tormentava, cui si aggiungevano le afflizioni psicologiche per gli appresi malanni dei genitori e le sofferenze per il gran caldo, che in quella lontana estate fu davvero opprimente. Diamole una scorsa:

 

Carissimi genitori,

negli altri infiniti miei affanni, mi affligge grandemente la vostra infermità,  giusto come appresi dalla vostra lettera ultimamente ricevuta. Spero però che presentemente voi state assai meglio di prima. Ad ogni modo, se non vi riesce d’incomodo accertatemene con una risposta. Vi  raccomando, abbiate cura di conservarvi in salute. Anche qui si sta un po’ male, a cagione del caldo che in questi mesi è un po’ eccessivo in questo paese. Non v’impensierite in quanto a ciò, perché sono miserie da cui l’uomo non può andare esente. Inoltre vi auguro di fare una buona festa. Siete pregati di salutarmi il maestro, i parenti e gli amici tutti, ed in modo speciale lo zio Agostino, Angelantonio, Alessandro con le loro rispettive famiglie. In fine abbracciandovi assieme alla nonna, mi dico vostro figlio

P. Pio.[80]

 

 


Padre e figlio insieme, molti anni dopo, durante la Santa Messa e sul letto di morte



 

don Salvatore Pannullo (1849-1926), parroco di Pietrelcina

 

 

Proprio a motivo di questa malattia galoppante, i Superiori del convento si allarmarono parecchio. Fu così che telegrafarono al parroco di Pietrelcina don Salvatore Pannullo[81] – “zi’ Tore”, lo chiamava Pio – affinché a Serra fosse convocato il padre del giovane professo. Giuntovi, venne ospitato in convento per qualche giorno, fino a quando il medico curante si premurò di consigliare una vacanza di salute nel borgo natìo, così come era avvenuto altre volte[82]. Fra Pio Forgione venne aiutato a vestirsi da due confratelli, che lo sorressero per farlo scendere dalla sua cella. Sebbene a corto di mezzi, il genitore del malato decise di prendere a noleggio una carrozza trainata da un cavallo, che li potesse condurre, senza troppi strapazzi, alla stazione ferroviaria di Larino[83]. Quella fu la volta in cui passarono davanti alla mia futura casa. Qualche centinaia di metri ancora, e finalmente la carrozza ferroviaria, di prima classe per far star comodo l’infermo, li avrebbe messi al riparo dei raggi del sole.

 

 
Carrozza popolare a cavalli detto sciaraballo
Una carrozza popolare a trazione equina, adoperata molto spesso da Padre Pio; in dialetto campano "sciaraballo"

 

I luoghi del passaggio di Fra Pio a Larino, nelle immagini d'epoca

 
Treno in transito a Larino primi del Novecento
Il treno lascia la stazione ferroviaria di Larino; sullo sfondo il Centro storico medievale [foto Archivio Pilone]
 

 

Ci pare di vedere lo sbuffo di vapore perdersi fra le valli strette dei colli appenninici, lasciando per sempre dietro la sua scia la città sede episcopale nel cui territorio Fra Pio Forgione era stato ospitato per poco meno di un anno. Avrebbe ripercorso a ritroso, di lì a qualche ora, come in un realistico flash-back, i luoghi in cui la piena adolescenza aveva ceduto il passo alla sua prima giovinezza: Casacalenda, Sant’Elia a Pianisi, Campobasso. In questo modo, piuttosto mesto e scoraggiante – da malato –, finiva la permanenza del futuro Santo con le stimmate nella Diocesi di Larino[84].

 

 

 

Padre Benedetto Nardella da San Marco in Lamis (1872-1942) e la sua lettera obbedienziale

 

 

Convento di Montefusco a inizio Novecento
Il convento di Montefusco agli inizi del Novecento
 

 

Sul finire dell’ottobre del 1908, per delibera della Congregazione di San Marco la Catola, gli studentati di Serracapriola e di Rodi Garganico vennero riuniti nel convento di Montefusco, nell’Avellinese. Una lettera obbedienziale dell’allora Vicario provinciale, il padre Benedetto Nardella, recante disposizioni in merito[85], pervenne a Fra Pio, in quel periodo ancora a Pietrelcina. Disciplinato come sempre, il giovane giunse alla sua nuova destinazione nel corso del mese di novembre. Lì riprenderà a preparasi per gli esami che aveva dovuto posporre, in vista degli ordini minori, che riceverà nella Cattedrale del capoluogo sannita il 19 dicembre, per mano dell’arcivescovo metropolita di Benevento monsignor Benedetto Bonazzi[86].

 

 

 

I voti minori per accedere al sacerdozio:

nella Cattedrale di Benevento, per mano di mons. Benedetto Bonazzi (1840-1915)

 

 

Nel piccolo e umile Molise rimise piede sul finire del mese di luglio del 1909, qualche giorno dopo l’ordinazione diaconale[87], per nuovamente salire il Monte di Campobasso, dove quattro anni prima gli era apparsa la Madonna. Poi il ritorno a Pietrelcina, sopraffatto dai malanni. Sempre per la sua salute assai compromessa, che prometteva una “catastrofe imminente”[88], già sacerdote si fermò ancora per poco nella provincia di Molise, pervenendo nel convento di Venafro[89], dove stette per quaranta giorni, dal 27 ottobre al 7 dicembre 1911: una sua personale quaresima, nella quale le estasi si alternavano a spaventose vessazioni diaboliche e suo unico cibo, non solo spirituale, fu la Santa Eucaristia.

 

 

 

Il convento di Venafro ai primi del Novecento

 

 

 

La vigilia della solennità dell'Immacolata Concezione di Maria del 1911 ...

 
 

 

Il giorno di vigilia della solennità della Immacolata Concezione di Maria, di prima mattina, accompagnato dal suo Padre spirituale[90], lasciò per sempre il territorio molisano, per trovare rifugio, ancora una volta, nella sua “Pietra piccina”[91]. L’ultimo pensiero, l’ultimo riguardo verso i monti l’ebbe – vogliamo credere – per la Madonna Addolorata di Castelpetroso[92] apparsa, quando egli era in fasce[93], tra quelle balze boscose vedute di lontano, che gli ravvivò nell’animo la “missione grandissima” ricevuta dalla Vergine Madre in questa piccola terra italiana.

 

 
statua originaria Addolorata di Castelpetroso donata dal popolo di Colle Sannita (BN)
L'originario simulacro dell'Addolorata di Castelpetroso, donato nel 1894 dal popolo di Colle Sannita (Benevento)

  A braccetto delle due "province" molisane:
a destra, padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi (Campobasso), che fu guardiano del convento di San Giovanni Rotondo dal 1928 al  1941;  a sinistra,  padre  Carmelo da  Sessano (Isernia),  che  lo fu dal 1953 al 1959.  Si tratta dei due  Superiori che più lo difesero nei giorni di burrasca.  A padre Carmelo Durante dobbiamo anche l'avvio del processo canonico, conclusosi nel 2002
 
 

 

 

V’è un popolo cortese e assai contento,

un popolo, fra gli altri, sano e santo,

che viene a visitar questo convento.

 

O popol del Molise, che un bel canto

sai per la Madre di Gesù Maria,

oggi qui padre Pio ti osserva tanto

 

dal suo confessionale; e forse spia

sul ciglio a ognun di voi la lacrimetta

per presentarla alla Madonna pia.[94]

 

 

 

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Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, Brevi cenni riguardanti la vita del Padre Pio e la mia lunga dimora con lui, ms., ff. 44, in Archivio Storico Padre Pio da Pietrelcina

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G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani, Roma 1744

 

Archivio Storico Provinciale dei Cappuccini di Firenze

Archivio Storico Padre Pio da Pietrelcina

Archivio Storico Provinciale dei Cappuccini di Foggia

 



[1] Nicodemo Nardone nacque a Fragneto l’Abate (Benevento) il 14 novembre 1842. Vestì l’abito cappuccino a San Giovanni Rotondo l’11 settembre 1858 e venne ordinato sacerdote ad Albano (Roma) il 23 dicembre 1865. Dopo aver svolto diversi incarichi, anche come missionario, in Inghilterra e in India, tornò nella sua Provincia religiosa, nel frattempo pesantemente smembrata dalle leggi di soppressione dei conventi del 1866. Nel 1899 ne divenne Commissario generale, fino al marzo 1903, quando essa riacquistò la propria autonomia, talché ne ricoprì subito dopo l’ufficio di Ministro provinciale, carica che mantenne fino al suo decesso, avvenuto presso l’Ospedale Fatebenefratelli di Benevento il 6 agosto 1908. È considerato il “secondo fondatore” della religiosa Provincia di Sant’Angelo, dopo il padre Paolo da Sestino, che nel lontano 1530 venne a crearla. In suo onore, Francesco Forgione assumerà il nome di “Pio” [Archivio Storico Provinciale dei Cappuccini di Foggia, Libro dei morti, ms., pp. 4-6; sulla sua figura vd. R. Borraccino, P. Pio da Fragneto l’Ababte, detto da Benevento, colui che realizzò la scommessa. Altre pagine di storia dei Cappuccini di Sant’Angelo-Foggia (1899-1908), Foggia 2002].

[2] Giovanni Di Carlo nacque a Roio Piano (L’Aquila) il 9 aprile 1886. Vestì l’abito cappuccino nel 1903, il 22 gennaio del 1904 pronunciò i voti temporanei e, tre anni dopo, lo stesso giorno di Pio Forgione, quelli perpetui. Nel 1919 fu di famiglia, per breve tempo, a San Giovanni Rotondo, in qualità di direttore del Collegio Serafico. Più lunga fu la sua permanenza dal 1941 al 1947, anno della sua morte, avvenuta per congestione cerebrale il 17 febbraio. Ai suoi funerali, il feretro venne accompagnato dagli altri confratelli di famiglia a Sant’Elia in quegli anni di noviziato, Padre Pio compreso.

[2bis] Ricordiamo che nel 1806, con l’abolizione dell’istituto feudale, Morcone rientrò nel Contado di Molise, dichiarato provincia autonoma con legge speciale del 27 settembre 1806. Vi rimase fino al 17 febbraio 1861, quando venne incluso nella nuova provincia di Benevento, istituita il 25 ottobre 1860.

[3] «Non esisteva alcun libro, né sacro né profano. Ai novizi era permesso leggere solo una quindicina di pagine, finite le quali si cominciava daccapo. Immaginate cosa significhi questo per un anno intero!». Così ricordava, del suo noviziato, il futuro Santo. Il padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, però, conferma che durante l’anno di “probazione” gli venne concesso di leggere altro. Probabilmente Padre Pio voleva dare una coloritura iperbolica al suo racconto [G. Preziuso, Padre Pio a Sant’Elia a Pianisi (1), in «Voce di Padre Pio» 1 (2007), pp. 28-32, qui p. 31].

[4] Alessandro da Ripabottoni, Sant’Elia a Pianisi, guida storico-spirituale, Foggia 1997, p. 175. Fra Fedele, Pasquale Colavita nel secolo, era il “padrone” del convento di S. Francesco. Fu lui difatti a riscattarlo dallo Stato, a proprie spese, nel 1895 e a donarlo ai frati. In seguito divenne anche lui un frate laico, che talvolta faceva pesare questa sua “generosità”.

[5] Il 26 maggio 1904 padre Pio Nardone da Fragneto l’Abate lasciò la guardiania ad interim di Sant’Elia, e al suo posto venne nominato il padre Angelo Gallucci da Faeto (R. Fabiano, Il convento di Sant’Elia a Pianisi in 400 anni di storia, Foggia 2013, p. 190).

[5bis] «È a Sant’Elia a Pianisi che fra Pio predice l’apertura del convento di San Giovanni Rotondo, per la quale si interessava Padre Pio da Benevento e che poi avvenne nel 1909. Dice inoltre ai confratelli che, di lì a dieci anni, egli sarebbe stato assegnato dai Superiori a quella comunità monastica, cosa che appunto accadde nel settembre del 1916» (F. Chiocci, L. Cirri, Padre Pio. Storia d’una vittima, I, Roma 1967, p. 47).

[6] «O anima candida ed eletta di Padre Raffaele, io non sono stato degno di far parte di coloro che ti hanno conosciuto nel tuo pellegrinaggio della vita presente, ma ringrazio Iddio che mi ti ha fatto conoscere al profumo delle tue virtù. La tua vita mi rapisce la mente ed il cuore, e piaccia a Dio di poterti, anche in minima parte, di poterti imitare. Ora tu che godi la visione di Dio prega per me e per la Provincia Monastica, affinché lo spirito tuo e quello del Serafico Padre risplenda sempre più nei singoli suoi figli. P. Pio da Pietrelcina. S. Giov. Rotondo 5-4-‘56» (Alessandro da Ripabottoni, op. cit., pp. 168-169). Questo fu l’elogio che il Padre volle lasciare al “Monaco Santo”, lui che lo aveva preceduto in tre diversi conventi della Provincia. Domenico Petrucelli nacque a Sant’Elia a Pianisi il 14 dicembre 1816. Il 10 novembre 1834 vestì l’abito cappuccino nel noviziato di Morcone, prendendo il nome di fra Raffaele. Si formò spiritualmente e intellettualmente nei conventi di Agnone (1836), Serracapriola (1837), Bovino (1838) e Larino (1839), nella cui Cattedrale venne ordinato sacerdote il 29 marzo 1840 dal vescovo mons. Vincenzo la Rocca (1765-1845). A motivo dei suoi doni spirituali, proprio a Larino i fedeli cominciarono a chiamarlo il “Monaco Santo”. Tornò a Morcone nel 1852, dove gli venne affidato l’incarico di vice-maestro dei novizi. Nel 1857 fu trasferito nella chiesa della Madonna della Libera a Campobasso, dando un forte impulso all’opera evangelizzatrice, che la sua stessa persona incoraggiava ad intraprendere. In questa città iniziarono i primi fatti prodigiosi. Nel 1865 tornò al paese natale, dove si tratterrà per circa vent’anni. Malgrado la legge “eversiva” del 1866, gli venne consentito di rimanere in convento, in qualità di padre spirituale dei novizi. Nel 1900 tornò definitivamente a Sant’Elia a Pianisi, per rimanervi fino alla morte, che lo coglierà il 6 gennaio 1901. Le sue spoglie mortali vennero traslate nella chiesa conventuale il 26 aprile 1936, mentre nel 1949 verrà dato inizio alla causa di beatificazione. Il processo diocesano è stato chiuso il 17 giugno 2006, in occasione del 190° anniversario della nascita del Servo di Dio.

[7] Alessandro da Ripabottoni, San Pio da Pietrelcina. «Cireneo di tutti», San Giovanni Rotondo 2003, p. 29. A riportare il lusinghiero giudizio è il padre Damaso Biunno da Sant’Elia a Pianisi.

[7bis] F. Castelli, Padre Pio sotto inchiesta. L’«autobiografia» segreta, Milano 20082, p. 213. Il ricordo è riportato dal Provinciale padre Pietro da Ischitella (vd. infra n. 24), interrogato il 18 giugno 1921 dal Visitatore Apostolico mons. Raffaello Carlo Rossi.

[8] Lettera di Padre Pio a padre Agostino, del 17 ottobre 1915 [P. Pio da Pietrelcina, Epistolario I. Corrispondenza con i direttori spirituali (1910-1922), Melchiorre da Pobladura, Alessandro da Ripabottoni (edd.), ed. riveduta e corretta da G. Di Flumeri, San Giovanni Rotondo 19873, rist. San Giovanni Rotondo 1995, p. 393].

[8bis] Nel rispondere ad una precisa richiesta del padre Agostino da San Marco in Lamis, Padre Pio confidò quanto segue: «La prima vostra dimanda è che volete sapere da quando Gesù cominciò a favorire la sua povera creatura delle sue celesti visioni. Se male non mi appongo, queste dovettero incominciare non molto dopo del noviziato» (lettera di Padre Pio a padre Agostino del 10 ottobre 1915, in Epist. I, p. 388). Va comunque specificato che egli, nel dare questa risposta, si riferiva certamente a visioni continuative, in quanto da bambino già vide Gesù nella chiesetta di Sant’Anna nonché il suo Angelo custode, «piccolo compagno della sua infanzia». Il padre Benedetto da San Marco in Lamis (vd. infra n. 18), nel suo Quaderno di Cronaca, in proposito scrisse: «A circa venti anni (dunque intorno al 1907) cominciò il dono delle visioni. Oculari mai. – Immaginarie, sì e vivissime, qualche volta della Passione o scene. – Spesso e continue della Sacra Famiglia. In figure fisse e agenti. – Gesù e Maria che si carezzavano. – Gesù che si divertiva fanciullino. – Scambio di affettuose dimostrazioni fra tutti e 3. – Nel 2° e 3° anno di religione (quindi negli anni 1904 e 1905, NdR) sperimentò la presenza spirituale di Dio. – In modo fisso. – È continuata sempre» [G. Preziuso, Sant’Elia a Pianisi (4), in «Voce di Padre Pio» 4 (2007), pp. 30-34, qui pp. 31-32].

[9] Questo è il racconto che ne fa il Padre: «Mi trovavo a S. Elia a Pianisi nel periodo di studio della filosofia. La mia cella era la penultima del corridoio, che gira dietro la chiesa, all’altezza della nicchia dell’Immacolata, che domina il prospetto dell’altare maggiore. Una notte d’estate, dopo la recita del mattutino, avevo la finestra e l’uscio aperto per il gran caldo, quando sentii dei rumori che mi sembravano della cella vicina. Che cosa farà a quest’ora fra Anastasio? – mi domandai. Pensando che vegliasse in orazione, mi misi a recitare il santo Rosario. C’era infatti fra noi due una sfida a chi pregasse di più ed io non volevo rimanere indietro. Continuando però questi rumori più insistenti, volli chiamare il confratello. Si sentiva intanto un forte odore di zolfo. Mi spinsi dalla finestra per chiamare: le due finestre – la mia e quella di fra Anastasio – erano così ravvicinate che ci si poteva scambiare i libri od altro allungando la mano. “Fra Anastasio, fra Anastasio”, cercai di chiamare senza alzare troppo la voce. Non ottenendo risposta mi ritirai, ma con terrore dalla porta vidi entrare un grosso cane, dalla cui bocca usciva tanto fumo. Caddi riverso sul letto e udii che diceva: è iss, è isso (è lui, è lui). Mentre ero in quella postura, vidi l’animalaccio, spiccare un salto sul davanzale della finestra, da qui lanciarsi sul tetto di fronte, per poi sparire» (Alessandro da Ripabottoni, San Pio da Pietrelcina cit., pp. 35-36).

[10] La prima bilocazione accertata è raccontata dal quasi diciottenne Fra Pio in un biglietto autografo, scritto nel febbraio 1905, mentre si trovava, nelle ore notturne, nel coro del convento di Sant’Elia a Pianisi. Si ritrovò «lontano in una casa signorile, dove il padre moriva mentre una bimba nasceva». L’episodio avvenne effettivamente a Udine, dove il 18 gennaio 1905 nacque Giovanna Rizzani Boschi, mentre suo padre, il marchese Giovanni Battista, noto massone, moriva (A. D’Apolito, Padre Pio da Pietrelcina. Ricordi, esperienze, testimonianze, San Giovanni Rotondo 20107, pp. 315-341, in partic. pp. 315-319).

[11] Il fatto prodigioso, capitato a Macchia Valfortore (Campobasso) e raccontato dallo stesso Padre Pio, è riportato dal padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi in un suo manoscritto inedito,  e perciò degno di massima fede. Lo raccoglie uno dei più obiettivi biografi del Santo: «Prendeva parte con fraterna giovialità alle comuni ricreazioni, alle passeggiate settimanali, di cui lui stesso ricorda un episodio, quello delle ciliegie. Prima di arrivare a Macchia Valfortore, paese poco distante da Sant’Elia a Pianisi, vi era un vigneto con dei ciliegi stracarichi quell’anno (era il maggio del 1906). Il padrone della vigna, al vedere quei dieci giovani frati incantati dalla vista di tanta grazia di Dio, li invita a salire sugli alberi a mangiare ciliegie fin che volessero. Il contadino non aveva neppure finito di parlare, che già nove erano all’opera (Fra Pio e Padre Giustino da San Giovanni Rotondo restarono a terra, gustando qualche ciliegia soltanto). La gioia del contadino a quello spettacolo ad un certo momento si muta in apprensione e, mortificato per i molti rami spezzati: “Giovanotti – dice, esortando – mangiatene pure quante ne volete, ma almeno lasciatemi gli alberi! …”. Fra Pio, accanto al contadino, s’immedesimava della sua preoccupazione “e pensava egli pure al futuro raccolto perché non ne avesse a soffrire per colpa dei suoi confratelli … L’anno dopo gli alberi fruttarono doppio… Quando Padre Pio raccontava questo episodio, pareva che rivivesse tutta la scena e la preoccupazione del povero contadino”» (Alessandro da Ripabottoni, Padre Pio da Pietrelcina. Un Cireneo per tutti, Foggia 1974, pp. 105-106). Dalla stessa fonte, conosciamo in verità un altro “fatto prodigioso”, di qualche anno antecedente, avvenuto nel santuario di S. Pellegrino martire ad Altavilla Irpina (Avellino). Qui il giovane Francesco, accompagnato dal genitore, scorse tra la folla una povera madre che portava in braccio il figlioletto storpio, chiedendo la grazia al Santo. Stanca di pregare, esasperata e sfinita, la povera donna fece infine per scaraventare il pargolo deforme sull’altare, davanti agli occhi compassionevoli del giovane Francesco. Inaspettamente, ecco che avvenne il miracolo e il bambino si mise a camminare. Padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi annota nel suo quaderno che questo episodio è stato “quasi preannunzio di tante cose misteriose, che in seguito la Divinità avrebbe operato nel futuro padre Pio” (ibid., pp. 41-42).

[12] F. Chiocci, L. Cirri, op. cit., III, Roma 1967, p. 14. In quella occasione emisero la Professione solenne anche i confratelli Gregorio Bernardo da Colledanchise, Carlo Bovenzi da Pignataro Maggiore, Placido Bux da San Marco in Lamis, Ferdinando Nardella da San Marco in Lamis.

[13] R. Fabiano, op. cit., p. 191.

[14] Alessandro da Ripabottoni, La Madonna del Monte e i Cappuccini a Campobasso, Foggia 1993, pp. 159-160, 265 ss.; Antonino Di Iorio,  La Chiesa della Madonna del Monte in Campobasso ed i Padri Cappuccini, Campobasso 1968, pp. 135-138; A. Grimani, Padre Pio nel Molise. La formazione spirituale, Campobasso 1999, pp. 24-26.

[15] Vd. infra n. 86.

[16] Grimani fissa questa Apparizione mariana al 25 maggio 1905, giorno della presa di possesso del Santuario del Monte da parte dei Padri Cappuccini, che coincideva col 18° compleanno di Pio Forgione (op. cit., pp. 45-52). Da ultimo, egli ha rettificato il suo giudizio in questa intervista, comparsa su «Il Quotidiano del Molise» del 30 maggio 2016, crediamo a seguito di nuove acquisizioni.

[17] «Padre Pio sapeva d’essere stato scelto da Dio come collaboratore dell’opera redentrice di Cristo e che questa collaborazione non si sarebbe realizzata che attraverso la croce, la quale fu il faro che illuminò i passi della sua vita dolorosa e la sorgente inesauribile dell’eroismo della sua vocazione. Era convinto che tutta la sua vita, come quella di Cristo, sarebbe stato un martirio continuo» (A. D’Apolito, op. cit., p. 161). In una lettera del novembre 1922, indirizzata alla sua figlia spirituale Nina Campanile, Padre Pio si confida, come dialogando con Gesù: «qui mi ascondesti agli occhi di tutti, ma una missione grandissima avevi fin d’allora affidata al tuo figlio: missione che a te e a me solo è nota» (Epist. III, p. 483). Alberindo Grimani azzarda un’ipotesi: «A Campobasso, sicuramente, si verificò qualcosa che produsse un evento, che la scarsa documentazione dell’epoca non riesce a spiegare e che viene comunemente inquadrato come il periodo del “dono degli scrupoli” … perché escludere che “la conoscenza di questa missione” possa coincidere con la permanenza a Campobasso nel 1905?» (A. Grimani, op. cit., pp. 45, 49).

[18] Secondo alcuni autori, la direzione spirituale di padre Benedetto ebbe inizio nel 1909. Tuttavia essi sono in errore, perché lo stesso padre Benedetto dichiara esplicitamente, in una lettera al Ministro generale dell’Ordine, padre Pacifico Carletti da Seggiano, del 13 settembre 1911, in che epoca essa ebbe inizio (vd. nota seguente). Gerardo Nardella nacque a San Marco in Lamis (Foggia) il 16 marzo 1872. Entrò nell’Ordine Cappuccino a Morcone, l’11 dicembre 1890 ed emise i voti perpetui a San Miniato al Tedesco (Pisa) il 5 luglio 1895. Ivi venne ordinato sacerdote l’11 aprile 1898. Guardiano a San Marco la Catola più volte, in questa veste divenne direttore spirituale di Fra Pio Forgione, funzione delicatissima che conservò fino al maggio-giugno 1922, quando il Sant’Uffizio dispose la cessazione di ogni rapporto fra i due. Stretto collaboratore del Ministro provinciale padre Pio da Fragneto l’Abate (1842-1908), assunse la direzione della religiosa Provincia alla sua morte (6 agosto 1908), prima come Vicario e infine come Provinciale effettivo, carica che conserverà per ben undici anni, fino al 5 luglio 1919, a motivo del Primo Conflitto Mondiale, che aveva impedito che si celebrassero regolari Capitoli. Messo in ombra dalle vicende legate al Frate con le stimmate, ricoprì in seguito diversi altri incarichi, tra i quali quello di vice-rettore, direttore spirituale ed economo del Collegio Internazionale “S. Lorenzo da Brindisi” di Roma. Di nuovo guardiano a San Marco la Catola, nel 1934 venne mandato a riaprire il convento di San Severo (Foggia), rimasto chiuso dal 1867. Qui rimase fino alla sua morte, avvenuta in questo convento il 22 luglio 1942. Per volontà dei Superiori, il 15 marzo 1975 le sue spoglie mortali furono traslate a San Giovanni Rotondo, nella cappella funebre dei genitori del suo allievo Padre Pio. Uomo di multiforme ingegno, ha lasciato diversi scritti di agiografia e di spiritualità, ma dell’una e dell’altra solo una parte, come pure le lettere a Padre Pio, venne pubblicata. Il restante, insieme a tanto materiale predicabile, è conservato manoscritto. Espresse i sentimenti e le aspirazione del suo animo in poesie, che raggruppò sotto il titolo “Come l’ape” a significare la selezione dei motivi ispiratori, in pitture ed in bozzetti fittili di squisita fattura, solo in piccola parte salvati e conservati. Sulla sua figura vd. R. Fabiano, Padre Benedetto Nardella da S. Marco in Lamis (1872-1942). Pedagogo o Maestro. Ministro Provinciale Cappuccino. Direttore spirituale di Padre Pio, Foggia 2012.

[19]  Il Peroni colloca la permanenza a  San Marco la Catola fino al luglio del 1906 (L. Peroni, Padre Pio da Pietrelcina, Roma 1991, pp. 99, 104 n. 20). Adduce, a riprova, la lettera del padre Benedetto al Ministro generale dell’Ordine, padre Pacifico Carletti da Seggiano (1859-1914), che porta la data del 13 settembre 1911: «Fu in questo convento nove mesi a studiare filosofia e secondo l’uso di allora dipendeva da me nella Direzione spirituale; e da quel tempo volle che io nelle occasioni di incontro, o per lettera non gli negassi l’accennata Direzione» [R. Fabiano, Una biografia di Padre Pio incompiuta e il suo autore, in «Studi su Padre Pio» 3 (2002), p. 397].

[20] Peroni e da Ripabottoni collocano questa gita nel settembre del 1906; Grimani, invece, propende per l’anno prima, a motivo della presenza di padre Pietro da Ischitella (vd. infra n. 24), che era stato definitivamente trasferito a Serracapriola il 26 aprile 1906. Converge, indirettamente, il padre Riccardo Fabiano, il quale dà in partenza il padre Pietro già dal novembre del 1905 (R. Fabiano, Il convento di Sant’Elia a Pianisi cit., p. 192-193).

[21] Nicola Centra, figlio di Giosuè e Maria Giovanna Squarcella, nacque a San Giovanni Rotondo il 13 novembre 1886. Vestì l’abito cappuccino il 1° maggio 1903, mentre emise i voti solenni il 24 maggio 1908. Venne ordinato sacerdote a Gesualdo il 10 agosto 1910, da mons. Benedetto Maria Della Camera, vescovo di Termopile. Conseguirà la laurea in teologia all’Università Gregoriana il 14 luglio 1914. L’8 novembre 1917 verrà chiamato alle armi, congedandosi solo il 25 marzo 1919. Morì a Foggia, dov’era di famiglia presso il convento di S. Anna, il 7 agosto 1962.

[22] Nicola Bux nacque a San Marco in Lamis il 23 febbraio 1886. Vestì l’abito cappuccino nel 1902, mentre il 1° maggio 1909 venne ordinato sacerdote a Benevento, da mons. Paolo Schinosi, arcivescovo titolare di Marcianopoli. Durante la Prima Guerra Mondiale fu cappellano della Croce Rossa Italiana. Nel 1919, di famiglia nel convento di San Giovanni Rotondo, fu l’autore della famosa foto “rubata” di Padre Pio che mostra le sue stimmate. L’anno dopo venne trasferito a Gesualdo. Fu di famiglia nel convento di San Severo a partire dal 1944, mentre nel 1951 verrà chiamato saltuariamente nel convento garganico, per il disbrigo della sempre più copiosa corrispondenza. Nel 1957, ricoverato per cirrosi epatica a San Severo, ricevette una visita in bilocazione dell’amato Confratello. Morì a San Severo il 25 dicembre 1968, dopo che Padre Pio gli era apparso in sogno, nel trigesimo della morte, preannunciandogli che non avrebbe visto la fine dell’anno.

[23] Vd. supra n. 2.

[24] Domenico Paradiso nacque a Ischitella (Foggia) il 23 dicembre 1879. Vestì l’abito cappuccino a Morcone il 2 luglio 1895 e venne ordinato sacerdote a S. Miniato al Tedesco (Pisa) il 10 maggio 1903. Guardiano, definitore, vice segretario generale e infine Ministro provinciale per due mandati consecutivi (5 luglio 1919-23 febbraio 1924), non conclusi per la sua prematura scomparsa. Si premurò di ricondurre la Curia provincializia a Foggia, dopo che il Provinciale padre Benedetto Nardella l’aveva trasferita a San Marco la Catola (Foggia). Durante il suo Provincialato venne aperta la prima Domus missionis in O’Higgins (Argentina), esperienza durata solo pochi anni. Migliorò notevolmente le strutture collegiali esistenti e creò ex novo un “seminario” a Benevento. Sostenne il Padre Pio da Pietrelcina durante le dolorose prove cui fu soggetto negli anni 1922-1923. Molto provato da esse, morì a Foggia, per una paralisi cardiaca, il 23 febbraio 1924: «l’amore di fraternità, sentito nel profondo delle viscere, fu quello che più di tutto gli accelerò il cammino alla Patria» [R. Borraccino, P. Pietro da Ischitella e la sua Provincia Cappuccina (S. Angelo e P. Pio) 1919-1924, Foggia 2003].

[25] Si tratta dello studente borghese Carmine Testa, nato a Sant’Elia a Pianisi il 17 agosto 1889, che vestì l’abito cappuccino nel marzo 1906. Morì il 28 maggio 1976.

[26] Alessandro da Ripabottoni,  Padre Pio da Pietrelcina. Un Cireneo per tutti cit., p. 106. A. Grimani, op. cit., pp. 53-54. Il Peroni aggiunge che, in casa dell’Arciprete, Fra Pio poté godere «anche la sua camera e il suo soffice letto» (op. cit., p. 103 e nn. 34, 35). La vendemmia non è contemplata da quest’ultimo autore.

[27] Alessandro da Ripabottoni, Dietro le sue orme. Guida storico-spirituale ai luoghi di Padre Pio, Foggia 1979, p. 103; L. Ciannilli, Stelle di prima grandezza nel convento dei Cappuccini di Serracapriola, Foggia 1999, p. 44.

[28] Fra il 1881 e il 1896 alcuni popolani, all’insaputa l’uno dall’altro, ebbero in sogno la Madonna che indicava loro un preciso luogo, posto a 2 chilometri dal centro abitato di Casacalenda, dove scavando avrebbero trovato diversi oggetti – forse un “tesoro” –, tra i quali anche una statua che La raffigurava. La località era posta nel bosco detto “da D’fènze”. In vari paesi molisani “’a D’fènze è quella fascia di terra di rispetto, in mano pubblica, recintata e a difesa di un bosco, al fine di incrementarne l’estensione sia con crescita spontanea sia con la messa a dimora di piantine. Scrive il dottor Nardacchione (vd. infra n. 31) nel suo Diario: «7 giugno 1896 – Domenica – freddo eccezionale per il mese di giugno – Dicono taluni contadini che nella Difesa vi è un terreno con un antico edificio e, sepolta, un’immagine di Maria SS. Addolorata. Cominciano, perciò, a scavarvi. Molta gente accorre». Terminati gli scavi, gli oggetti descritti nel sogno furono rinvenuti, ad eccezione del simulacro della Vergine. Si riportarono alla luce, in quell’occasione, anche delle antiche fabbriche, rase al suolo verosimilmente dal sisma del 1456, sulle quali si determinò di edificare, si crede per ispirazione della Madonna, una piccola Cappella rurale. Il 19 settembre 1896 il vescovo di Larino mons. Bernardino di Milia (vd. infra n. 45) diede il formale assenso, a precise condizioni, per l’erezione del piccolo luogo di culto, da dedicare alla Vergine Maria, sotto il titolo di “Auxilium Christianorum”. La prima pietra venne posta il il 29 settembre di quell’anno. Il 15 gennaio 1898, al fine di fare luce sugli avvenimenti ritenuti “miracolosi”, il Vescovo dispose la creazione di una Commissione ad hoc, composta anche da laici. La Cappella venne ultimata entro l’anno e nel successivo si passò alla collocazione degli arredi sacri. Venne infine solennemente benedetta il 27 settembre 1899; mentre la statua fittile della Vergine con Bambino, della scultrice fiorentina Amalia Dupré, vi venne collocata il giorno dopo. Detta statua, però, non soddisfece i “veggenti” e nemmeno l’artista, la quale ne modellò subito dopo un’altra, che ritrae la Madre di Dio seduta, con le braccia aperte, nell’atto di offrire il Bambino assiso sulle sue ginocchia, così come le era parso di aver visto la Vergine in una interiore locuzione. Questa seconda effigie, subito molto apprezzata, arrivò in paese la quarta domenica di settembre del 1901, ed è il motivo per il quale la “festa esterna” e solenne, che viene ricordata con affollati pellegrinaggi, anche a piedi, cade in questo giorno. La festa liturgica è invece celebrata il 24 maggio, a motivo del titolo di Auxilium Christianorum: La Madonna “Ausiliatrice”, soccorritrice di tutti i suoi figli, il vero significato delle “visioni” di Casacalenda. Il luogo di culto vide affluire ben presto una moltitudine di fedeli provenienti dai paesi limitrofi e, successivamente, dal Chietino, dal Sannio beneventano, dalla Terra di Bari, per venerare la Madre di Dio con il titolo del nome della località: “Difesa”. Nel 1925 si provvide ad ampliare il complesso, al fine di garantire ai pellegrini una minima accoglienza. Il 1948 è l’anno della peregrinatio della venerata effigie della Madonna nei paesi della Diocesi, ovunque accolta con partecipate manifestazioni di devozione. Nel settembre 1962 vi si insediarono le Suore “Apostole del Sacro Cuore”, dedite anche all’assistenza di orfanelle. Il 31 ottobre di quell’anno, per volontà del vescovo Costanzo Micci (1960-1966), la Cappella mariana venne elevata alla dignità ed al titolo di Santuario Diocesano, posto alla diretta dipendenza dell’Ordinario diocesano e dotato di apposito Statuto, poi riveduto da mons. Cosmo Francesco Ruppi (1980-1989). Due anni dopo si diede vita a una scuola elementare rurale, frequentata dalle orfanelle e da altre collegiali. L’Educandato accolse fino a 82 allieve, provenienti anche dalla vicina Puglia. Entrambe le benemerite istituzioni, Orfanotrofio ed Educandato, cessarono la loro attività nel 1995. Per ultimo, le due suore rimaste dovettero lasciare il complesso, a seguito del sisma del 2002. Dopo importanti lavori di consolidamento strutturale e di ampliamento, il 19 settembre 2013 l’attuale Ordinario diocesano mons. Gianfranco de Luca ha dedicato la chiesa alla SS.ma Trinità, sotto il titolo di “Madonna della Difesa”. Gli emigrati casacalendesi ne hanno promosso e diffuso la devozione in numerosi Paesi, quali il Canada, gli Stati Uniti, il Venezuela, l’Argentina. I numerosissimi ex voto, tuttora visibili, sono una testimonianza di grazie e di favori celesti ottenuti per intercessione della Madre di Dio. Nel 2010 il Papa Benedetto XVI, tramite la Penitenzieria Apostolica, ha concesso l’indulgenza plenaria in perpetuo, da lucrare il giorno della festa, alle condizioni solite. Il Santuario ha ricevuto, da ultimo, altri preziosi doni, tra i quali, recentemente, anche uno zucchetto fatto pervenire dal “Papa emerito” tramite il suo Segretario particolare mons. Gänswein [P. Miozza (ed.), Breve storia del Santuario della Madonna della Difesa, Termoli 1997; E. Catalano, Il Santuario della Madonna della Difesa in Casacalenda tra storia e leggenda, Campobasso 2000; si vd. anche le pubblicazioni “Auxilium Christianorum”, edite dal Santuario e disponibili in Rete].

[29] Padre Giustino De Santis nacque a San Giovanni Rotondo il 9 settembre 1873. Sin dal novembre 1903 ebbe il titolo di lettore di filosofia, conferitogli dal padre Provinciale e dal Generale senza esame, a motivo della chiara conoscenza della sua “attitudine per tale ufficio”. Conservò questo titolo fino al 1931, contraddistinguendosi per la precisione nell’insegnamento, a volte portato ad eccessiva pignoleria, sebbene compresa dai suoi allievi. Spese tutta la sua vita nell'insegnamento e nella direzione dei giovani. Morì il 1° settembre 1944.

[30] Il convento di S. Onofrio fu tra i primi “luoghi devoti” che il beato Giovanni Vici da Stroncone (?-†1408), Commissario generale dei Frati Minori, fondò nella Provincia di Sant’Angelo, negli anni 1415-1418, destinandolo a convento di ritiro. La sua edificazione viene fatta risalire al 1407. Fu in seguito perfezionato dal beato Tommaso Bellacci da Firenze (1370 ca-1447), ed accolse i religiosi ed i novizi dell’Ordine dei Minori Osservanti. Nel 1594 gli Osservanti lo cedettero ai Riformati, che lo tennero fino all’entrate in vigore della Legge “eversiva”. Esentato dalla soppressione napoleonica del 1809, fu infatti compreso in quella sabauda del 1866. Il 1° febbraio 1883 venne ceduto al Comune di Casacalenda, ad eccezione della chiesa e del noviziato, che lo Stato italiano alienò comunque alla Municipalità il 1° ottobre 1887, con l’obbligo di tenere aperta al pubblico culto, e a proprie spese, la chiesa. Su invito del Comune, i Frati Osservanti vi ritornarono nel 1899, su impulso del Ministro provinciale padre Anselmo da Sassinoro (1830-1896), della Provincia di S. Ferdinando in Molise, che provvide al restauro delle strutture fatiscenti, grazie anche al munifico sostegno del dottor Francesco Nardacchione (1860-1936), la cui salma è tumulata dal 1948 nella chiesa conventuale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il convento è stato ancora una volta restaurato ed ampliato. Negli anni ‘60 fu costruita una nuova ala destinata all’accoglienza di gruppi ecclesiali per esercizi spirituali, ritiri, ecc. Dal 1929 e fino al 1967 fu casa di Noviziato, ripristinata nel 1991. La chiesa è divisa in due navate, ed una balaustrata in pietra scolpita divide la navata laterale dalla cappella absidale. L’altare maggiore, di notevole pregio, è decorato con marmi policromi finissimi «è il primo che si sia veduto di tale lavoro in diocesi», ed è collocato sotto un vasto arco, dietro il quale si svolge il coro che immette nella sagrestia. Notevole è il chiostro, le cui pareti interne presentano nelle lunette corrispondenti agli archi, tracce delle antiche pitture murali. Inagibile a causa del sisma dell’ottobre 2002 per quasi dieci anni, è stato recentemente restaurato e di nuovo aperto al culto, con solenne cerimonia presieduta dal vescovo di Termoli-Larino mons. Gianfranco de Luca, il 3 giugno 2011. Grazie alla fusione subentrata nel 1899, attualmente il convento di S. Onofrio fa parte della Provincia monastica di S. Michele Arcangelo in Puglia (G. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, IV. Il Circondario di Larino, Cava dei Tirreni 1952, pp. 69-71; Anonimo, Nel 550° Anniversario della fondazione del convento “S. Onofrio” a Casacalenda, 1409-1959, s.l.s.d., ds., pp. 47).

[31] Donato Francesco Nardacchione nacque a Jelsi (Campobasso) l’11 maggio 1860, da don Domenicantonio, originario di Cercepiccola, e da donna Teresa Elisabetta Cianciullo, di Jelsi. Ai dieci anni di età si trasferì a Casacalenda, dove il padre era divenuto Cancelliere della Pretura. Completò gli studi ginnasiali al Collegio campobassano “Mario Pagano”, quindi si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Napoli, dove si laureò a pieni voti, avendo come suo maestro il prof. Antonio Cardarelli, di origini molisane. La vocazione monastica gli venne di fatto impedita dai genitori, ma l’esericzio della professione medica costituì per lui un valido strumento per santificarsi. Morì a Casacalenda il 13 novembre 1936. Questo è il ricordo che ne dà il vescovo di Larino mons. Oddo Bernacchia (1924-1960): «Il Dott. Nardacchione, anima evangelicamente francescana, anima che sentiva il cristianesimo nella sua più difficile e più rara applicazione, nella sua vitale attuazione – la carità – passò nel mondo e lasciò la lunga scia delle sue opere sante in un esercizio continuo di dedizione di se stesso al prossimo, dedizione che era ed è espressione di quell’amore intenso di Dio, su cui si basa l’amore disinteressato del prossimo. È la grande legge che il Cristo pose a fondamento della santità e della perfezione e che sola comprende e realizza l’ideale evangelico, l’ideale cristiano. E tutte le opere di carità compiva serenamente, con quella celestiale letizia che è propria dei Santi, con quella umiltà e quel nascondimento, che celava agli occhi degli uomini il benefizio, contento solo di avere acquistato un tesoro dinanzi al Padre Celeste. Oh! Gli esempi di questi uomini veramente grandi! Bisognerebbe metterli in luce e farli conoscere a tutti. Come balzerebbe radiosa la figura del nostro Dott. Nardacchione! Quale insegnamento per tanti, che non sanno trovare conciliabili scienza e fede, scienza e pratica cristiana! Così bisognerebbe rendere onore all’uomo, che dell’amore di Dio e della carità del prossimo fece l’ideale più bello della sua vita» (Anonimo, In memoria di Francesco Nardacchione, medico chirurgo, terziario francescano, Cavaliere di S. Gregorio Magno e della Corona d’Italia, Campobasso 1937, pp. 13-14).

[32] Padre Paolino da Casacalenda, al secolo Francesco di Tomaso, nacque a Casacalenda il 10 aprile 1886. Entrato nel noviziato il 10 agosto 1901, divenne sacerdote l’11 ottobre del 1908. Un mese dopo, ecco il felice incontro con Fra Pio da Pietrelcina, nel convento di Montefusco (Avellino), dove si frequentarono per un paio di settimane (lettera di Padre Pio a padre Paolino del 15 dicembre 1914, in Epist. IV, pp. 65-66). Rettore dello Studio interprovinciale di Chiaravalle Centrale, vicario, lettore, guardiano in diversi conventi, tra i quali quello di San Giovanni Rotondo – ne era in verità presidente, visto l’esiguo numero di frati ospitati –, al cui ufficio venne rieletto il 2 luglio 1916, in sostituzione del padre Serafino Villani da San Marco in Lamis, richiamato alle armi. Fu proprio lui a volere Padre Pio in quel convento garganico, che raggiunse una prima volta – per breve tempo – il 28 luglio 1916 e, definitivamente, il 4 settembre di quell’anno. Era ancora guardiano il 20 settembre 1918, quando Padre Pio ricevette il dono delle stimmate permanenti. Accusato di leggerezza e poca serietà nell’espletamento delle sue mansioni, in ispecie per aver permesso una sorta di mercato intorno alla figura del Padre, verrà trasferito come precettore a Gesualdo (Avellino), per la qual cosa ebbe molto a soffrire nell’anima e nel corpo, mentre il convento passava alle dirette dipendenze della Curia provincializia. Il 4 novembre 1944, in pieno periodo bellico, il Ministro generale dei Cappuccini, il padre belga Donato Wynant da Welle gli conferì l’ufficio di Ministro provinciale dei Cappuccini di Foggia, carica che mantenne fino al 12 agosto 1947 e a cui venne subito rieletto, plebiscitariamente, fino al 25 luglio 1950. In questa veste si attivò per la riapertura del convento di Larino, desiderata anche da Padre Pio, che avvenne il 24 ottobre 1948. Molto attiva la sua presenza anche a Cerignola (Foggia), dove rimase per un ventennio, con vari incarichi, a cavallo del suo Provincialato, prima e dopo l’ultima Guerra. Morì presso la “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo il 31 ottobre 1964. Il suo corpo venne tumulato l’indomani a Cerignola. Il IV volume dell’Epistolario conserva quarantadue lettere scritte da Padre Pio a padre Paolino da Casacalenda, nelle quali traspare lo strettissimo vincolo d’amicizia che li legava. Della sua consuetudine con il futuro Santo, padre Paolino ha invece lasciato un diario, il cui titolo completo è P. Paolino da Casacalenda, ex Provinciale Cappuccino: le mie memorie intorno al Padre Pio da Pietrelcina da conservare nell’Archivio del Convento, dato alle stampe nel 1978.

[33] Alessandro da Ripabottoni, Padre Pio da Pietrelcina. Un Cireneo per tutti cit., pp. 106-107; A. Grimani, op. cit., pp. 57-58. Padre Alessandro riporta la cronologia del padre Raffaele D’Addario da Sant’Elia a Pianisi (1890-1974; vd. infra n. 42), che fu a contatto con Fra Pio proprio in quegli anni.

[34] «Ho fatto tutte le figure, fuorché quella di Pulcinella! …». Così commentava Padre Pio queste sue uscite “disastrose” (Alessandro da Ripabottoni, Sant’Elia a Pianisi cit., p. 180).

[34bis] Padre Paolino da Casacalenda riporta nelle sue Memorie in che modo avvenne il trasferimento provvidenziale di Padre Pio nel convento di San Giovanni Rotondo, ed anche in questa storia ha un ruolo la città di Larino. Leggiamo: «Quasi nessuno ricorda questo fatto che è molto importante nella vita del Padre. Non possono però dimenticarlo che io che fui (sic) strumento nelle mani di Dio di questo grande avvenimento. Dovetti recarmi a Foggia, come ho accennato (vd. infra), per predicare nella festa di Sant’Anna e qui incontrai nuovamente il Padre Pio. Rimasi molto impressionato del suo stato di salute. Oltre la debolezza organica che gli veniva dal fatto che rimetteva sempre quello che mangiava, egli soffriva ancora di più l’eccessivo caldo che non poteva sopportare. … Si vedeva che il Padre soffriva quasi da non trovare refrigerio. Intanto neppure il demonio cessava di tormentarlo. … Per tante ragioni e specialmente per il gran caldo a cui il Padre era condannato a Foggia, ebbi gran desiderio di condurlo con me un po’ a San Giovanni Rotondo, dove il nostro Convento è situato a 600 metri sul livello del mare. Lassù, pensavo tra me, il Padre Pio si sentirà sollevato e non soffrirà tanto come soffre qui a Foggia» (Paolino da Casacalenda, Le mie memorie intorno a Padre Pio, ed. G. Di Flumeri, San Giovanni Rotondo 1978, pp. 61-68). Il motivo per cui padre Paolino si trovava a Foggia era questo: «Essendo anch’io chiamato per la visita militare (l’Italia era in guerra, NdR), mi recai nel mio Distretto di Larino (Campobasso), dove, per mezzo di conoscenze personali, fu meglio riconociuta la malattia, dalla quale ero affetto e perciò, essendo stato riformato, tornai al Convento di San Giovanni. Ciò avvenne nel mese di maggio, come ricordo. È inutile dire che, passando per Foggia, mi fermai volentieri non solo quando andai al Distretto, ma anche nel ritorno» (ibid., p. 54).

[35] Alberindo Grimani, che ha certificato la data del decesso della madre del dottor Nardacchione, deduce che le biografie più accreditate, che fanno iniziare il periodo di studio di Fra Pio a Serracapriola nel mese di ottobre del 1907, contengano un errore, proprio partendo da questa data certa. L’arrivo a Serra del solo Fra Pio andrebbe perciò fatto slittare alla fine del mese di novembre (op. cit., pp. 72, 75). Tuttavia, la testimonianza di padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, che ricorda di aver incontrato i professi diretti a Serra – Fra Pio compreso – nella stazione di Termoli (vd. infra), smentisce questa ricostruzione; per cui sarebbe forse più verosimile non contemplare la presenza dei frati di Sant’Elia al funerale, oppure ritenere che essi vi andarono partendo da Serracapriola.

[36] Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina. Crocifisso senza croce, San Giovanni Rotondo 20078, p. 73.

[37] Questa stranezza è stata ad esempio notata da uno dei suoi più sinceri biografi: «gite scolastiche poco divertenti a dir la verità, perché la pioggia si ricordava di venire sulla terra proprio in quei giorni» (Alessandro da Ripabottoni, Padre Pio da Pietrelcina. Un Cireneo per tutti cit., p. 106).

[38] In una lettera al Ministro generale dell’Ordine, padre Pacifico Carletti da Seggiano, del 13 settembre 1911, il padre Benedetto Nardella rivelò: «Non fatti mai esami di Filosofia. Sebbene l’abbia percorsa» (R. Fabiano, Una biografia di Padre Pio cit., p. 396). Da Peroni abbiamo una notizia che non troviamo altrove: «a metà settembre (del 1907) lo rimandano al paese nativo per una vacanza e lo esonerano degli esami di ammissione al corso di teologia dommatica» (L. Peroni, op. cit., p. 108). Nella relativa nota il Peroni è ancora più preciso: «Fra Pio partì per Pietrelcina giovedì 12 settembre 1907 e vi rimase per circa un mese» (ibid., p. 116, n. 9).

[39] Michele Daniele nacque a San Marco in Lamis (Foggia) il  9 gennaio 1880. Terminati gli studi ginnasiali, entrò nell’Ordine Cappuccino e vestì l’abito a Morcone, il 19 agosto 1897. Inviato nella Provincia Toscana per motivi di studio, vi venne ordinato sacerdote a  San Miniato al Tedesco (Pisa) il 15 marzo 1903. Tornato nella sua religiosa Provincia, si specializzò in lingua francese e greca, quindi ottenne la laurea in filosofia. Richiamato alle armi durante la Grande Guerra, si distinse per il servizio prestato nella Croce Rossa Italiana, tanto da meritare una decorazione. Superiore in vari conventi, fu Ministro provinciale per tre volte: dal 6 agosto 1938 al 12 agosto 1941, quindi riconfermato fino al 4 novembre 1944, e una terza volta dal 24 luglio 1956 al 23 luglio 1959. Nel dicembre 1944, e fino al giugno 1952, ricoprì la carica di Superiore del convento di San Giovanni Rotondo, dove in seguito dimorò dal 1959 sino alla morte, avvenuta il 14 maggio 1963. Fu il fondatore della prima Missione della religiosa Provincia di Foggia in terra d’Africa (Chèren e Bassopiano occidentale, in Eritrea). Ebbe molti discepoli, il più illustre dei quali è stato il Padre Pio da Pietrelcina, che conobbe a Serracapriola nel 1907 e alla cui guida spirituale venne associato, coabitando in questa funzione con il conterraneo padre Benedetto Nardella, fino a quando nel giugno 1922, dopo i divieti del Sant’Uffizio, rimase unico direttore. Fu accanto al futuro Santo con le stimmate nei momenti più importanti della sua giovinezza: dal ritorno a Pietrelcina del 1909, all’ordinazione sacerdotale del 10 agosto 1910, alla sua Prima Messa del 14 agosto, alle estasi e alle vessazioni diaboliche di Venafro dell’ottobre-dicembre 1911, fino al suo rientro nel chiostro, nel convento di S. Anna di Foggia, il 17 febbraio 1916. Di ciò è rimasta traccia nel primo volume dell’Epistolario, che raccoglie ben trecentosettantasette lettere, da lui scritte al suo illustre discepolo. Fu per Padre Pio, al contempo, direttore spirituale e angelo consolatore. Ci ha lasciato un Diario in quattro quaderni, di cui si è saputo solo dopo la sua morte, dato alle stampe nel 1971 (vd. infra n. 60).

[40] Vd. infra n. 58.

[41] Archivio Storico Provinciale dei Cappuccini di Foggia, Tavola delle famiglie, ms., f. 27.

[41bis] La ricostruzione dei fatti presentata da Luigi Peroni è un po’ diversa: «Alla fine di ottobre, fra Pio, dopo una brevissima puntata a S. Elia a Pianisi, per riprendere le sue cose personali, riparte, accompagnato da padre Agostino, alla volta di Serracapriola, al cui corso è stato assegnato» (L. Peroni, op. cit., p. 108). Tuttavia, la testimonianza di padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi (vd. infra), che ricorda di aver incontrato Fra Pio e tutti gli altri alla stazione ferroviaria di Termoli, proprio nel corso di quel trasferimento, sembra darle scarso credito.

[42] Daniele D’Addario, figlio di Teodoro ed Elisabetta Colavita, nacque a Sant’Elia a Pianisi il 17 agosto 1890. Vestì l’abito cappuccino il 9 novembre 1905. Conobbe Fra Pio quando venne a studiare nel suo paese, mentre si trovava in convento in qualità di fratino che frequentava la scuola media. Richiamato alle armi, dovette interrompere gli studi, che riprese, anche su consiglio di Padre Pio, venendo ordinato sacerdote a Montefusco, l’8 settembre 1922. Si trattenne brevemente a San Giovanni Rotondo, per la prima volta, come «supplemento alla quaresima» nel 1924. Poco dopo venne nominato guardiano di quel convento, carica che detenne dal 28 agosto 1928 al 26 agosto 1941; restandovi anche negli anni successivi, con la funzione di vicario ed economo. Rimase accanto al Padre per trentotto anni, come consigliere ed amico, difendendolo sempre dalle accuse, e per questo pagando di persona con l’allontanamento dal convento garganico. Fu uno dei confessori di Padre Pio, dal 1926 al 1944, e l’unico dopo la scomparsa di padre Agostino da San Marco in Lamis, nel 1963. Per incarico delle superiori autorità ecclesiastiche, durante gli anni della seconda persecuzione avviata sotto il pontificato di Giovanni XXIII, e formalmente mai conclusa, sottopose il venerato Confratello ad un rispettoso interrogatorio sull’origine delle sue stimmate (29 marzo e 31 maggio 1966, 20 marzo 1967). “Cacciato” da San Giovanni Rotondo nell’agosto del 1961, dal gennaio 1964 all’agosto dell’anno dopo fu di famiglia anche nel convento di Larino. Della sua consuetudine con il Frate, ha lasciato due memorie scritte, rimaste inedite: un Diario, in cui narra le vicende dal 1943 al 1945 (Accenni su episodi più rilevanti riguardanti la vita del Padre Pio da Pietrelcina, ff 144 + 44 + 10), oltre ad una serie di cinque quadernetti (Brevi cenni riguardanti la vita del Padre Pio e la mia lunga dimora con lui, ff 44), in cui  narra l’infanzia, il noviziato, la sua conoscenza di Padre Pio. Morì il 29 ottobre 1974, nella “Casa Sollievo della Sofferenza”. Riposa a San Giovanni Rotondo, nella cappella dei Frati Cappuccini. Nel trigesimo della morte, i suoi confratelli hanno lasciato questo ricordo: «Eri solido e forte come una quercia nel fisico, ma soprattutto lo eri nella tempesta del carattere e dello spirito: semplice, retto e coscienzioso, austero ed equilibrato. … Padre Pio pregava, intuiva, ideava, ma eri tu a capire l’idea e a concretizzarla, con il tuo spiccato senso pratico ed equilibrio. Perciò ti vediamo sempre accanto a Padre Pio, come suo inseparabile amico e compagno».

[43] Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, Brevi cenni riguardanti la vita del Padre Pio e la mia lunga dimora con lui (manoscritto inedito), ff. 14-15, citato in R. Fabiano, Il convento di S. Elia a Pianisi cit., p. 198.

[44] L’Epistolario del Padre ci racconta di questa precoce e sentita devozione: il 5 ottobre 1901, quattordicenne, scrive al padre Grazio, emigrato in America, scusandosi per aver speso del denaro nel corso del suo viaggio al Santuario della Madonna del Rosario di Pompei, dove s’era recato in carrozza con altri sette compagni di scuola, sotto la guida del maestro Angelo Càccavo: «Circa la lagnanza fatta alla mamma per la mia andata a Pompei, avete mille ragioni; però dovete pensare che l’anno venturo, a Dio piacendo, finiranno tutte le feste ed i divertimenti per me perché abbandonerò questa vita per abbracciare un’altra migliore. È vero che ho sciupato alcune lire, ma ora mi prometto di guadagnarmele con lo studio» (Epist. IV, p. 402). Venti anni dopo, ecco la lettera allo stesso Bartolo Longo (1841-1926), «anima del caro Dio», cui si deve la nascita del Santuario pompeiano (lettera dell’11 novembre 1921, in Epist. IV, pp. 318-319). Tutto l’Epistolario trasuda questa devozione, laddove si raccomandano novene e si mandano immaginette della Madonna di Pompei.

[45] G. Mammarella, Un Vescovo di Larino e le ceneri di Cristoforo Colombo, in «Almanacco del Molise» I (1990), pp. 117-140. Vincenzo di Milia nacque a Calitri (provincia di Principato Ulteriore, ora Avellino) il 28 ottobre 1839. Entrato sedicenne nell’Ordine cappuccino, prese il nome di Bernardino. Ordinato sacerdote il 23 settembre 1864, solo due anni dopo fu costretto a lasciare il chiostro, a motivo della sopressione sabauda, che investì in pieno anche la sua Provincia monastica di Salerno. Come tanti altri frati delle province consorelle, trovò asilo nella Provincia toscana, dove poté continuare la vita spirtuale e lo studio. Dotato di forte e vivace ingegno e vasta cultura, venne, giovanissimo, prescelto ad insegnare teologia e filosofia in vari monasteri del suo Ordine, in Italia e in Francia. Nel 1877, in qualità di segretario e collaboratore di mons. Rocco Cocchia, Delegato apostolico presso le Repubbliche di Santo Domingo, Haiti e Venezuela, ebbe parte al rinvenimento dei veri resti mortali di Cristoforo Colombo, tumulati nella restauranda cattedrale di Santo Domingo, di cui portò in Italia alcune minime reliquie, donate alla Santa Sede e all’Università di Pavia. L’evento superò le frontiere nazionali, come difatti leggiamo in qualche giornale, specie d’Oltralpe, dove fra Bernardino aveva insegnato. Nominato vescovo titolare di Tabraca (Tunisia) il 27 marzo 1884, fra Bernardino di Milia venne consacrato dall’arcivescovo di Port-au-Prince (Haiti) mons. Alexis Jean-Marie Guilloux [Gouillons] (1819-1885), il 10 agosto di quell’anno. Subentrato nelle cariche a mons. Cocchia, nel frattempo divenuto arcivescovo di Otranto, rimase nelle Antille fino al 1890, continuando con successo l’opera diplomatica e sacerdotale presso le Repubbliche di Santo Domingo, Haiti e Venezuela. Il 4 giugno 1891 la Santa Sede lo trasferì al governo della Diocesi di Larino, dove restò per 19 anni fino alla sua morte, avvenuta il 6 aprile 1910. Le sue spoglie mortali vennero tumulate, con gran concorso di popolo, nella Cappella settecentesca di S. Primiano, dove rimasero fino alla traslazione nella Cattedrale di S. Pardo, avvenuta il 26 febbraio 1992, nella felice ricorrenza del Giubileo Colombiano. Di lui sono rimaste diverse Lettere pastorali, Circolari, Decreti, Notificazioni ed Editti, dati alle stampe nel corso del suo lungo e proficuo episcopato [per la cronologia, che differisce da altre fonti, mi sono attenuto alla Hierarchia Catholica, VIII, pp. 334,  543). A pontificatu PII PP. IX (1846) usque ad pontificatum Leonis PP. XIII (1903), R. Ritzler, P. Sefrin (edd.), Patavii 1978, pp. 334,  543].

[46] Cipriano de Meo (ed.), I Cappuccini a Serracapriola (1536-1902), Foggia 2000.

[47] Ibid., pp. 102-104.

[48] Ibid., pp. 128-130.

[49] Ibid., pp. 131-213.

[50] Ibid., pp. 223-297.

[51] Vd. supra n. 1.

[52] Placido da San Marco in Lamis, Cronaca su Padre Pio, scritta dal suo più intimo condiscepolo, p. 3, in Archivio Storico Padre Pio da Pietrelcina, FG, H, XLV. Gli altri religiosi della famiglia conventuale erano i padri Daniele Petitti da Faeto, guardiano; Gioacchino Zollo da Roccabascerana, vicario; Agostino Daniele da San Marco in Lamis, lettore; Bonaventura Villani da San Giovanni Rotondo, lettore; Pio Izzo da Roccabascerana [G. Di Flumeri, Il beato Padre Pio a Serracapriola (ottobre 1907-ottobre 1908), San Giovanni Rotondo 2000, p. 8].

[53] Giuseppe Patrizio, figlio di Salvatore e Maria Teresa di Maggio, nacque a San Giovanni Rotondo il 15 aprile 1885. Vestì l’abito cappuccino il 2 febbraio 1902 e pronunziò i voti solenne il 4 febbraio 1906. Nel 1911 venne inviato nel convento di Sant’Elia a Pianisi, mentre nel novembre dello stesso anno passerà a quello di Vico del Gargano, quindi nel 1913 andrà a Montefusco. In seguito, dal 1925 al 1938, sarà di famiglia nei conventi di Venafro, Gesualdo, Foggia. Il 5 maggio 1959, nella Cronistoria del Convento di San Giovanni Rotondo si legge: «50mo di sacerdozio del rev. P. Leone da San Giovanni Rotondo. Alla “Messa d’oro” del caro padre ha parlato, nella Chiesa affollata, il M.R. P. Michelangelo da Cavallana, che sta predicando il mese di maggio. Al padre Leone i più santi auguri!» (Archivio Storico Padre Pio da Pietrelcina, Cronistoria del convento di San Giovanni Rotondo, II, ms., p. 536). Morirà nel 1963 presso la “Casa Sollievo della Sofferenza”, a 78 anni di età e 61 di vita religiosa.

[54] Vd. supra n. 2.

[55] Francescantonio Bucci, figlio di Nunzio e Maria De Padova, nacque a San Giovanni Rotondo il 7 dicembre 1886. Vestì l’abito cappuccino il 1° maggio 1903 ed emise i voti solenni nel novembre 1905. Non ebbe mai modo di dimorare col Padre Pio nel convento del paese natio, a San Giovanni Rotondo, essendo di famiglia in quelli di Vico del Gargano e Serracapriola, dove tornò nel 1922 come Presidente, nel 1935 come Presidente vicario, catechista dei laici e bibliotecario (Guglielmo da San Giovanni Rotondo, Cenni sulla vita di Padre Pio dal noviziato alla Sacra Eloquenza, CP, XLV, f. 69)

[56] Vd. supra n. 21.

[57] Constitutiones recentiores (1909-1925), II, Roma 1986, 534.

[58] Michele Villani, figlio di Francesco e Maria Viscio, nacque a San Giovanni Rotondo il 1° novembre 1880. Vestì l’abito cappuccino il 14 luglio 1896, mentre professò i voti solenni il 7 settembre 1900. Venne ordinato sacerdote a San Miniato al Tedesco (Pisa) nel 1903, per mano di nons. Pio Alberto Del Corona. Chiamato in milizia il 10 maggio 1916, come cappellano della Croce Rossa Italiana nel 30° Ospedale di Guerra, venne congedato il 27 gennaio 1919 con la medaglia d’argento. Fu promosso allo studio di filosofia nel 1900, e di teologia nel 1902, e infine nominato lettore il 20 ottobre 1907 (Archivio Storico Padre Pio da Pietrelcina, Registro dei chierici, ms., f. 24 r.). Nel 1923 verrà incaricato come Superiore della Missione di O’Higgins (Argentina), per poi passare come missionario nella Provincia di Navarra-Cantabria-Aragón, sempre nel Paese sudamericano. Morì a Buenos Aires (parrocchia Santa María de los Angeles) il 12 ottobre 1933: «Lettore di teologia saggio e dotto. Dotato di sacrificio e di generosità, partì per le missioni in Argentina, O’Higgins e poi a Buenos Aires, ove in dieci anni si attirò tanta stima nei popoli da lui evangelizzati. Ha degnamente onorato la chiesa e la provincia. Fu insegnante, guardiano, direttore dei chierici e definitore (1922). Aveva 52 anni di età e 37 di vita religiosa» [Cipriano de Meo da Serracapriola, Necrologia dei Frati Minori Cappuccini della Provincia Religiosa di Foggia (1530-1968), Foggia 1969, p. 621 s. (12 ottobre)].

[59] G. Di Flumeri, op. cit., p. 12.

[60] Agostino da San Marco in Lamis, Diario, ed. M. Di Vito, San Giovanni Rotondo 20124, p. 274.

[61] Constitutiones recentiores cit., II, 537.

[62] Testimonianza del “Reverendo padre Leone da San Giovanni Rotondo, vicario di San Severo”, in Giovanni da Baggio, Le mie visite a Padre Pio da Pietrelcina, ms. (Archivio Storico Provinciale dei Cappuccini di Firenze), f. 31, riportato da G. Di Flumeri, op. cit., p. 46.

[63] Guglielmo da san Giovanni Rotondo, Cenni sulla vita di Padre Pio dal noviziato alla Sacra Eloquenza, in Archivio Storico Padre Pio da Pietrelcina, sez. II, ds., n. 26, riportato in G. Di Flumeri, op. cit., p. 37.

[64] Archivio Storico Padre Pio da Pietrelcina, Testimonianza di Elvira De Leonardis, FG, P, X, 10, riportata in M. Iafelice, La fraternità del convento dei Cappuccini e il paese di Serracapriola nell’anno di permanenza di Padre Pio: 1907-1908. Tentativi di ricostruzione storica, in «Studi su Padre Pio» 1 (2009), pp. 93-94. La signora ricorda male a proposito del padre Paolino da Casacalenda, che nel 1908 era di famiglia a Montefusco.

[65] G. Di Flumeri, op. cit., pp. 12-13.

[65bis] Vd. supra n. 11.

[66] Il Santuario di Madonna Grande è posto in località Nuova Cliternia, frazione di Campomarino (Campobasso). Ne attesta il culto già il vescovo Tria senior (1724-1741) nella sua opera storiografica (Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani, Roma 1744, pp. 354-355), generato nel XVII sec. dal ritrovamento in una grotta di un dipinto su tavola, raffigurante la Madonna con le mani sul petto, coperta da un mantello blu. Si diede quindi inizio alla costruzione di una chiesa a pianta ottagonale, divenuta meta di pellegrinaggi dai paesi circonvicini nonché da altre località abruzze e pugliesi. È festeggiata il 15 agosto.

[67] Minime reliquie dei SS Primiano e Firmiano, nonché degli altri sei Santi traslati il 28 aprile 1598 nella Cappella del Tesoro dell’Annunziata Maggiore di Napoli, furono collocate «in otto sacchettini di tela color d’oro ben tenuti» nella chiesa arcipetrale di S. Mercurio martire, patrono di Serracapriola. Le reliquie martiriali furono consegnate dai Governatori della Casa dell’Annunziata al Procuratore Cesare di Stasio, a nome dei cittadini di Lesina, i quali però, ritenendo la località lacuale poco sicura, acconsentirono che esse venisserro custodite proprio a Serracapriola, da cui il di Stasio proveniva. Il vescovo di Larino, mons. Tria senior, riporta nelle sue Memorie Storiche il testo dell’intera dichiarazione giurata del di Stasio, rilasciata il  1° aprile 1598, dietro richiesta dell’Arciprete Brasio de Rosis e del vescovo di Larino dell’epoca Girolamo Vela (1591-1611). Altre reliquie dei due Martiri Larinesi sono tuttora conservate nell’altra chiesa parrocchiale serrana, intitolata a S. Maria in Silvis (G.A. Tria, op. cit., pp. 417, 419, 629). Rammentiamo che, a reggere le due chiese di Serracapriola erano, in quell’anno 1908, don Pasquale Iammarino (S. Maria in Silvis) e don Eduardo de Renzis (S. Mercurio) [A. De Luca, Serracapriola: appunti di storia e di statistica, Sansevero 1915, pp. 224-225].

[68] La devozione beneventana alla Madonna della Libera ha origini remote: il 2 luglio del 663 la Vergine operò la “grazia” di liberare la città di Benevento dall’assedio dell’imperatore bizantino Costante II. La Madre di Dio apparve con la croce impressa sul palmo della mano, caratteristica che in seguito sarebbe divenuta il segno distintivo ricorrente nella sua rappresentazione iconografica. A Pietreclina se ne esprime la devozione tre volte l’anno: il 2 luglio appunto, divenuto il giorno della festa liturgica; il 3 dicembre, quando si fa memoria del miracolo della liberazione del paese dall’epidemia di colera avvenuta in quello stesso giorno del 1854; la prima domenica di agosto, invece, la festa assume caratteristiche più popolari, essendo questa data quella della festa paesana vera e propria. Padre Pio, che in alcuni componimenti scolastici ne descrive lo svolgimento, era perciò devotissimo alla Madonna della Libera e la soleva chiamare “la Madunnella nostra”.

[69] La prima pietra della vecchia chiesa della Visitazione, voluta dal vescovo Vincenzo la Rocca (1765-1845), venne posta il 15 agosto 1830, mentre venne inaugurata il 28 luglio 1833. A motivo di problemi statici, tutto il vasto isolato deperì, per finire abbandonato. Acquistato da privati, si dovette attendere il 1907 perché il proprietario Raffaele Prisco restaurasse a suo carico la Chiesa e la aprisse al culto. Essa rimase in mano privata fino a quando la vedova Prisco, signora Adelina Marotta, ne fece pubblica donazione alla Chiesa larinese, con atto stipulato il 20 febbraio 1937 (G. Mammarella, Da vicino e da lontano. Sacro e profano nella ricostruzione di fatti emblematici della storia di Larino e del circondario, Larino 1986, pp. 118-119).

[70] Il 5 luglio 1972, per Decreto della Sacra Congregazione per i Vescovi, la giurisdizione dei comuni di Serracapriola e Chieuti, entrambi in provincia di Foggia, ma ab immemore facenti parte della diocesi di Larino, passò temporaneamente al vescovo di San Severo mons. Angelo Criscito. Gli abitanti dei due comuni manifestarono, in più occasione, il desiderio di conservare i rapporti con la cittadina frentana. Tuttavia, il 1° novembre 1985, la stessa Congregazione decretò la definitiva annessione delle due località pugliesi alla diocesi dauna [G. Mammarella, Vicende della Diocesi di Larino nell’ambito della politica di riforma territoriale dal Concordato del 1818 al 1979, in «Almanacco del Molise» I (1988), pp. 163 ss.].

[71] B. di Milia, “Sacra Visita pastorale e disposizioni pel Solenne Omaggio al Divin Redentore”, Circolare del 5 aprile 1899, in Lettere pastorali, notificazioni ed altri scritti, II, Larino 1902, pp. 100-101.

[72] Dello stesso anno 1908 è una Circolare relativa ai Ricordi sinodali de vita et honestate clericorum (Inventario archivio parrocchiale di santa Maria in Silvis in Serracapriola, ed. M.F. d’Orsi, San Severo s.d., p. 9).

[73] B. di Milia, La quaresima del 1908. La stampa: lettera pastorale al clero e popolo dell’intera diocesi di Larino, Larino 1908.

[74] P. Pio da Pietrelcina, Lavori scolastici, ed. G. Di Flumeri, San Giovanni Rotondo 1993, pp. 353-369, in partic. pp. 362-364.

[75] Epist. IV, pp. 403-404. Michele Forgione, fratello maggiore del Padre, nacque a Pietrelcina il  25 giugno 1882. Sposò Giuseppa Cardone il 12 marzo 1908. Morì a San Giovanni Rotondo il 9 maggio 1967. Ebbe tre figli, l’ultima delle quali è stata Pia (1924-2014), coniugata con Mario Pennelli e vissuta a San Giovanni Rotondo dal 1945 fino alla morte.

[76] Epist. IV, p. 403. In realtà, per un motivo a noi sconosciuto, Fra Pio ricevette gli ordini minori a Benevento solamente il 19 dicembre 1908. Riportiamo il testo integrale della lettera al padre Grazio: «Carissimo padre, rispondo prontissimamente alla vostra cara, rallegrandomi con voi che costà ve la passate tutti bene in salute. Mi piace assai del prossimo sposalizio di mio fratello, e perciò vi auguro buone feste. Sarebbe stato anche mio desiderio se mi fosse stato possibile assistere alla celebrazione di tali nozze; però, sfortuna per me, poiché dovete sapere che in questi giorni sono un po’ occupato a cagione degli esami, che avranno luogo fra giorni, da sostenere davanti al vescovo per quindi ricevere gli ordini minori. Ora vedete benissimo la mia impossibilità. Forse se non ci fosse stata questa circostanza avrei potuto facilmente accontentarvi. Ad ogni modo non v’impensierite che manco io, pensate piuttosto che se Iddio mi aiuterà spunterà quel giorno in cui mi prometto di darvi una consolazione maggiore di quella che potrei apportarvi se mi trovassi presente alla celebrazione di questo sposalizio. Saluto gli amici ed i parenti tutti, specialmente lo zio Alessandro, Angelantonio ed il cugino Cosimo con tutti di casa; ossequio il maestro con la rispettiva famiglia; in fine poi abbracciandovi con la mamma, nonna, sorelle e fratello mi ripeto aff.mo figlio Fra Pio».

[77] Epist. IV, p. 404. Questo il testo integrale: «Carissimi genitori, la pasqua è prossima. Una voce pare che mi parli al cuore col farmi sentire tutta la riconoscenza e la pienezza degli obblighi che ho verso di voi, che foste e siete ognora le persone da me più amate. Intanto io vi auguro una vita lunghissima, adorna di tutte le prosperità e piena di benedizioni celesti e terrene. Questa e non altra sarà la mia preghiera, che in questi giorni innalzerò al risorto Gesù, e sarò felice, se sarà accetta al Signore, il quale ratifichi, con le sue benedizioni, questi miei voti. Quindi voglio sperare che voi non sarete di quei cristiani, i quali fanno consistere tutta la pasqua nel piacere puramente sensuale, perché questo è affatto contrario allo spirito e alla legge di Gesù Cristo; ma piuttosto vi esorto ad avanzarvi sempre più nella via di Dio, ricordando che presto o tardi dobbiamo presentarci al tribunale di Dio. A questo fine, adunque, vi esorto a non tralasciare il precetto pasquale, unico mezzo per la nostra salute. Siete perciò pregati di farmi sapere chi di casa abbia soddisfatto al precetto pasquale. Gradite i saluti di tutta la religiosa famiglia; un abbraccio alla nonna, al maestro, agli zii Angelantonio, Alessandro, Giulio ed Antonio, con le loro rispettive famiglie. Un abbraccio affettuoso a tutte le sorelle, al fratello ed alla cognata. Baciandovi la mano unitamente alla nonna, con tutta l’effusione dell’anima abbiatemi sempre per il vostro figlio. F. Pio».

[78] Così veniva celebrato il Venerdì Santo a Serra: i confratelli della Congrega dei morti e di quella di S. Anna, a due a due, seguiti dal cappellano, in visita ai cosiddetti “sepolcri”, si portavano infine al convento dei Padri Cappuccini. Nella processione figuravano anche personaggi quali Giuseppe di Arimatea, il Cireneo, la Veronica e naturalmente il Cristo che, con una tunica scarlatta e a piedi nudi, avvinghiato da funi, coronato di spine e caricato della Croce, faceva le cosiddette “tre cadute” nei punti prestabiliti del percorso, aiutato dal Cireneo e dalla Veronica, cui dava le sembianze sempre e solamente un soggetto maschile (M. Iafelice, loc. cit., p. 74).

[79] S. Ricci, Padre Pio a Serracapriola, «La Portella» 4 (2009), p. 30.

[80] P. Pio da Pietrelcina, Epist. IV, p. 405.

[81] Salvatore Maria Pannullo nacque a Pietrelcina il 7 gennaio 1849. Divenuto sacerdote nel 1872, conseguì la laurea in Lettere, quindi venne chiamato ad insegnare nel Collegio Giannone di Benevento e nel seminario del capoluogo sannita, dove diresse i futuri sacerdoti fino al 1883. Trasferito nel seminario diocesano di Catanzaro, il 28 agosto 1901 succedette, come parroco di Pietrelcina, a don Giovanni Caporaso. Fu accanto a Francesco Forgione nel corso della maturazione della sua vocazione religiosa, essendogli sempre di consiglio e di conforto come guida, maestro, amico e padre, specialmente nel corso della lunga permanenza nel borgo natìo degli anni 1909-1916. A lui, passeggiando a sera nella zona attuale del convento dei Cappuccini, il giovane Francesco disse: «Sento voci di fratini che cantano». Una volta lontano da Pietrelcina, Padre Pio intratterrà una fitta e commossa corrispondenza epistolare con l’anziano parroco: dieci lettere, degli anni 1916-1923, pubblicate nel IV volume dell’Epistolario. Sottoposto ad intervento agli occhi, non riuscito, morirà cieco il 26 gennaio 1926.

[82] Un primo resoconto del ritorno nella casa natìa si ebbe durante l’anno di noviziato a Morcone. Anche quella volta mandarono a chiamare il padre Grazio: «Se deve morire, deve morire a casa» (L. Patri, Cenni biografici su Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 19553, pp. 27-29). Dopo quella prima volta, diverse altre furono le occasioni per fare ritorno a casa, al fine di ristabilirsi in salute.

[83] S. Ricci, art. cit., p. 30; G. Di Flumeri, op. cit., p. 31. Luigi Peroni colloca questo episodio nell’autunno del 1907, sempre a Serracapriola, riprendendo il racconto di Lorenzo Patri – che però lo inscena a Morcone –, raccolto dalla viva voce del genitore di Fra Pio (vd. nota precedente): «Una volta i frati mi mandarono a chiamare – racconta Zi’ Grazio – Appena giunto, chiesi a un monaco che mi aspettava: Fra Pio che fa? “Eh, Zi’ Grazio, sono quindici giorni che non mangia nulla e noi lo piangiamo, perché dubitiamo possa ancora mettere i piedi per terra: se vuoi portarlo a casa, fa pure, ma tieni a parte le sue posate e i piatti, specialmente se ci sono delle creature (dei bambini)”. Credevano, infatti, che fosse tisico. Se deve morire, deve morire a casa, risposi. Fu spedito allora un telegramma al Provinciale, che ci permise di portarlo a Pietrelcina. Fra Pio era tanto debole, che ci vollero due persone per vestirlo e aiutarlo a camminare. – Come devo fare? – pensavo – Mi muore per via! Prendemmo una carrozza e venne pure un monaco ad accompagnarci alla stazione. Salimmo in treno e prendemmo la prima classe (Zi’ Grazio che andava in America per guadagnare il pane, non guardò a economie in quella occasione)» [L. Peroni, op. cit., p. 109]. A mio modo di vedere, l’episodio non può essere riferito all’anno di noviziato a Morcone – lo dice, abbiamo visto, Lorenzo Patri –, perché, come ammise lo stesso Padre Pio in seguito, le sue malattie ebbero inizio nel periodo in cui si trovava a Sant’Elia a Pianisi, nel corso di una gita a Casacalenda (vd. supra nel testo e n. 33). Esse, poi, si replicarono con una certa frequenza per molti anni.

[84] Alcuni Autori sotengono che la permamenza di Pio Forgione nel convento di Serracapriola sia stata assai più breve, in pratica ridotta a non più di qualche mese: «purtroppo dopo soli due mesi di frequenza del corso di teologia a Serracapriola, fr. Pio agli inizi del 1908 deve essere inviato nuovamente al suo paese per motivi di salute. Si direbbe che la provvidenza divina lo abbia condotto a Serracapriola più per fargli conoscere padre Agostino che per la frequenza del corso di studi» (L. Peroni, op. cit., p. 111). La pensa all’identico modo Gherardo Leone: «A Serracapriola, gli studenti erano non più di sette o otto. Ma la vita di fr. Pio in comunità durò solo un paio di mesi. Come al solito la salute malferma lo costrinse a tornare a Pietrelcina. Vi rimase a lungo, e fu lì che incominciò lo studio della teologia dogmatica» (G. Leone, Padre Pio infanzia e prima giovinezza, San Giovanni Rotondo 1976, p. 153). La Iafelice dubita, a mio modo di vedere giustamente, della fondatezza di queste perentorie affermazioni (M. Iafelice, loc. cit., p. 78). Faccio notare, ad esempio, che in una sua lettera ai genitori (vd. supra) Fra Pio accenna alla ricevuta notizia del «prossimo sposalizio» del fratello Michele, avvenuto il 12 marzo 1908. Se il Frate si fosse trovato a casa, non vi sarebbe stato il motivo di accennare a un evento di cui era diretto testimone.

[85] «J.M.J.F. – S. Marco la Catola, 15  10/1908 – Ven. F. in G. Cristo, in virtù della presente ed a pieno merito di S. Obbedienza vi recherete quanto prima nel nostro Convento di Montefusco ove sotto l’obbedienza di quel P. Guardiano attenderete al vostro benessere morale e scientifico. Benedicendola nel Signore, mi raffermo devoto in G. Cristo. F. Benedetto da S. Marco in Lamis, V.° Ple Cappuccino».

[86] Nacque a Marigliano (Napoli) il 12 ottobre 1840, dal conte Nicola e da Adelaide Sorrentino, dei baroni di Pomigliano. A sette anni fu inviato allo studentato della SS.ma Trinità di Cava dei Tirreni e ivi, il 6 novembre 1849, entrò a far parte della comunità claustrale. Pronunciò i voti monastici il 15 agosto 1859 e venne ordinato sacerdote a Napoli il 19 dicembre 1863, da mons. Tommaso Michele Salzano, arcivescovo di Edessa. Si laureò in Lettere nell’Ateneo partenopeo nel 1865. Completò la sua preparazione, specialmente nel Greco antico, di cui scrisse un dizionario. Nel 1878 venne nominato rettore del seminario di Cava, quindi nel 1894 il papa Leone XIII gli conferì la carica di abate del monastero cavense. Il 9 giugno 1902 venne promosso alla sede arcivescovile metropolitana di Benevento. Grande cura ebbe per la formazione culturale del clero, studiando i problemi della riorganizzazione dei seminari. Dopo circa tredici anni di governo episcopale, alla fine di una predicazione quaresimale, si ammalò gravemente, proprio alla vigilia della sua elevazione alla porpora cardinalizia che papa Benedetto XV aveva in serbo per lui. Nominò il fratello Francesco esecutore testamentario ed erede il capitolo metropolitano di Benevento. Morì a Benevento il 23 aprile 1915.

[87] Fra Pio Forgione ricevette il diaconato nella chiesa conventuale di Morcone, intitolata ai SS Filippo e Giacomo, il 19 luglio 1909, per mano di mons. Benedetto Maria della Camera, vescovo titolare di Termopile (1837-1926).

[88] «Un mese di vita»: questo fu il giudizio del famoso clinico, di origini molisane, il prof. Antonio Cardarelli, già medico personale  di Garibaldi e di Vittorio Emanuele II, docente di patologia medica presso l’Ateneo partenopeo e senatore a vita per meriti scientifici, il quale venne consultato alla fine di ottobre del 1911, allorché Fra Pio venne accompagnato a Napoli dal Ministro provinciale in persona, il padre Benedetto Nardella (A. Grimani, op. cit., pp. 91-93).

[89] G. Di Flumeri, La permanenza di padre Pio a Venafro, San Giovanni Rotondo 1977. Per i fenomeni soprannaturali, è utile leggere il “Primo quaderno (1911-1929)” del Diario redatto dal padre Agostino da San Marco in Lamis (pp. 27-65 dell’ed. cit.) nonché alcune interessanti memorie del padre Guglielmo Bucci da San Giovanni Rotondo, rievocate nei suoi Cenni sulla vita di Padre Pio (vd. supra n. 63; G. Di Flumeri, Il beato Padre Pio a Serracapriola cit., Appendici, III, pp. 86-89). Ricordiamo, a proposito, che nel 1911 la città di Venafro era compresa nella provincia di Campobasso. Solo nel 1970 venne creata la nuova provincia di Isernia, di cui Venafro andò a far parte.

[90] Agostino da San Marco in Lamis, op. cit., p. 277.

[91] «Gli abitanti ancor oggi sono chiamati ‹ pucinari ›, da ‹ Pietra Pulcina › o ‹ Pietra Pucina ›, cioè piccola per essere distinta da ‹ Pietra Maiore ›, cioè più grande, presso il fiume Tammaro, nell’agro di S. Giorgio La Molara, che fu distrutta dal terremoto del 1456» (Fernando Da Riese Pio X, op. cit., p. 36).

[92] Alberindo Grimani sostiene che Padre Pio conosceva quelle Apparizioni (op. cit., p. 41). Ma a me sinceramente pare fuor di dubbio, perché si tratta di Apparizioni mariane notissime anche nel Beneventano. Da Colle Sannita, difatti, nel 1894 verrà il primo simulacro della Vergine, gravemente danneggiato da un incendio nel 1963. Ricordiamo anche i frequenti contatti del futuro Santo, benché successivi ai fatti qui narrati, con il padre Eusebio Notte (n. 1931), nativo di Castelpetroso, addetto alla sua corrispondenza con i Paesi anglofoni dal 1960 al 1965, che di sicuro gli avrà parlato delle Apparizioni della Vergine avvenute nel suo paese. Padre Tarcisio da Cervinara ci ha inoltre tramandato questo ricordo: «Alla Madonna Addolorata Egli si raccomandava ogni mattina quando, indossando i paramenti sacri per la celebrazione della santa Messa, sostava davanti a questa immagine (un quadro posto sull’armadio della vecchia sacrestia della chiesa di San Giovanni Rotondo). Il venerato Padre era molto devoto della Madonna Addolorata. Egli che, stigmatizzato, sentiva nella propria carne le ferite di Cristo, partecipava, nella propria anima, ai dolori della Madre del Crocifisso. La Regina dei martiri fu la sua consolatrice nelle molte sofferenze, fisiche e morali, che lo afflissero durante la vita» (Tarcisio da Cervinara, Padre Pio e la Madonna, San Giovanni Rotondo 1983, p. 16).

[93] Le Apparizioni di Castelpetroso ebbero inzio il 22 marzo 1888, quando la contadina del luogo Fabiana Cicchino (detta Bibiana), trovatasi in località “Cesa tra Santi” di Castelpetroso (all’epoca distretto di Campobasso, ora prov. Isernia), ebbe la visione della Vergine Addolorata nell’atto di presentare il suo Figlio partorito nel dolore (Ap 12,2), offerto al Padre celeste col suo Cuore Immacolato. Dieci giorno dopo la Vergine apparì anche ad un’altra contadina del posto, Serafina Valentino. Il 26 settembre 1888 il vescovo di Bojano, Francesco Macarone Palmieri (1817-1897), assistette anch’egli all’Apparizione della Madre di Dio. La notizia dei fatti prodigiosi si diffuse rapidamente, in particolare grazie a una rivista bolognese “Il Servo di Maria”, di cui era direttore il conte Carlo Acquaderni, che subito si recò sul posto, anche per impetrare la guarigione del figlio dodicenne Augusto, gravemente ammalato di tubercolosi ossea, il quale riacquistò la salute non appena ebbe bevuto un’acqua sgorgata nei pressi del luogo delle Apparizioni. Nel settembre del 1889 arrivò alla Sacra rupe il Sostituto della Segreteria di Stato mons. Giacomo Della Chiesa (il futuro papa Benedetto XV), al fine di avviare le necessarie indagini. Il 28 settembre 1890 venne posta la prima pietra del Santuario, situato più a valle, pensato in stile neo-gotico, su progetto dell’ingegnere bolognese Francesco Gualandi: una pianta radiale, il cui nucleo centrale rappresenta il Cuore di Maria, mentre le sette cappelle laterali, che ora ospitano ammirevoli dipinti del pittore molisano Amedeo Trivisonno (1904-1995), vogliono significare le sette spade, che Gli infliggono i sette dolori. Il simulacro originario della Vergine, in legno e stoffa, venne donato nel 1894 dal popolo di Colle Sannita (Benevento), opera del napoletano Nicola Santillo, gravemente danneggiata da un incendio nel 1963. Restaurato, fu benedetto ed intronizzato tra i ricchi marmi del Trono. I lavori stentarono comunque a decollare, soprattutto per mancanza di fondi. Il 21 settembre 1907 venne benedetta la prima cappella, quella “dei Polacchi”, in onore dei devoti di Cracovia che ne resero possibile l’edificazione. Una Via Matris, che partiva dall’erigendo Santuario e saliva fino al luogo delle Apparizioni, venne benedetta il 27 settembre 1947; lo stesso giorno vi fu consacrata una Cappella in pietra. I lavori della chiesa, posta più a valle, procedettero soprattutto su impulso dell’arcivescovo di Bojano-Campobasso mons. Alberto Carinci (1899-1983), che vi è sepolto, il quale riuscì a portarli finalmente a termine, talché il Santuario della Beata Vergine Addolorata di Castelpetroso venne solennemente consacrato, alla presenza di tutti i vescovi molisani, il 21 settembre 1975. Il 6 dicembre 1973 il papa Polo VI ha proclamato la Vergine Addolorata patrona del Molise. In occasione della sua visita al Santuario, il 19 marzo 1995 il papa Giovanni Paolo II ha voluto omaggiare l’Addolorata di una corona bianca del Rosario, che Ella custodisce nella mano sinistra, dal lato del suo Cuore. Nella cappella a destra dell’altare maggiore, un reliquiario espone alla venerazione dei fedeli una benda che copriva una delle stimmate delle mani di S. Pio (Basilica dell’Addolorata di Castelpetroso, Guida del pellegrino. Fulget in Matre mysterium Crucis, Castelpetroso 2013)

[94] O. Grossi, Vecchietta molisana, in «Il fratozzo» 1 (1958) n. 3, p. 13, riportato in Alessandro da Ripabottoni, Padre Pio racconta e dice, ed. G. Di Flumeri, San Giovanni Rotondo 20002, p. 188.

 

Pubblicato GIOVEDÌ, 31 DICEMBRE 2015

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Commenti: 2
  • #1

    pinomiscione (venerdì, 08 gennaio 2016 21:47)


    Desidero ringraziare la redazione della rivista "Il Calitrano" (www.ilcalitrano.it) per l'immagine fotografica che ritrae fra Bernardino di Milia da Calitri, fresco vescovo di Larino (1891-1910). Un identico ringraziamento va al sig. Michele Perrella, membro della Segreteria Particolare del Vicario Episcopale della Basilica dell'Addolorata di Castelpetroso, per avermi fornito preziose notizie riguardanti l'originario simulacro dell'Addolorata (1894), dono del popolo di Colle Sannita (BN), nonché una bella immagine fotografica dello stesso. Ed infine un grazie al Responsabile della Biblioteca dei PP Cappuccini "Sacro Cuore" di Campobasso

  • #2

    pinomiscione (giovedì, 22 giugno 2017 16:37)


    Un ulteriore ringraziamento va alla sig.ra Michelina La Vigna, di Cercepiccola, per avermi fornito alcune utili informazioni sui genitori del dr. Francesco Nardacchione.

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