Il Convento dei Cappuccini di Larino,

la Madre “adottiva”

S. PIO DA PIETRELCINA

prega la  Madonna delle Grazie

(1967)

About

 

Dedicato ai Francescani dell’Immacolata, perseguitati perché discepoli dell’Immacolato …

 


 

erum est, di Mamma ce n’è una sola. Come potrebbe essere il contrario!? Il titolo di questo sito lo dimostra, come pure me lo rammentano i miei ricordi degli anni verdi, quando mi risultò indelebilmente chiaro chi fosse la mia vera Madre …
 


 

 Ma siccome, in questi tempi cupi, non è ancora venuta l’ora del Quarto Dolore di Maria, quando la Madre incontrerà il figlio lungo la sua Via Dolorosa, ho scelto di frequentare una Madre pro tempore o “adottiva” che dir si voglia. Per i miei bisogni spirituali, infatti, preso atto che la Madre vera deve ancora rimanere estranea al figlio partorito nel dolore, scendo con la mia macchina in direzione delle Piane: poco meno di un chilometro verso settentrione, dove una piccola pineta, piantumata dopo l’ultima Guerra, introduce al Convento dei Frati Cappuccini.

 

 

   Il verde paesaggio che circonda il Convento di Larino
 

 

Verso nord, le Piane di Larino e, oltre le basse colline, il mare Adriatico
Verso nord, le Piane di Larino e, oltre le basse colline, il mare Adriatico
   

Ma prima di piegare lungo il lastricato un po’ sconnesso, a motivo delle radici di quei pini frondosi, ecco una Grotta fabbricata ad imitazione di quella di Lourdes, con lImmacolata e Bernadette ai suoi piedi, prima del curvone che abbandona il centro cittadino e s’immette nella strada tortuosa che cala alla pianura. Un segno di croce è d’obbligo, sia che si discenda sia che si venga dal lato opposto. E così faccio sempre, da un po’ di anni a questa parte.


 

 


   La "Grotta di Lourdes" all'ingresso del Convento
 

 

   

In questa zona, detta naturalmente “i Cappuccini” o, più recentemente, “rione Santa Chiara”, a motivo della strada che vi passa nel mezzo, intitolata alla Discepola dellAssisiate, sono depositate delle antiche memorie di famiglia, tramandatemi da mio padre, che al principio degli anni Quaranta venne ad abitare con i suoi in uno di quei “casini” di campagna, ricchi a quei tempi di ogni bendidio, dai quali si godeva una vista spettacolare sulle Piane e dove l’orizzonte era descritto dall’acqua marina, che da Punta Penna, presso Vasto, si allargava ad oriente fino al Gargano, con l’unica interruzione, proprio nel mezzo, della più grande delle Tremiti.

 

 

 

   

Tanto strategica era quella postazione, che durante l’ultima Guerra le bordure della pineta – a quel tempo, mi riportava mio padre, era in verità un querceto – erano servite per posizionarvi delle batterie di cannoni tedesche, che sparavano in direzione della costa, dove ai primi di ottobre del ’43 erano sbarcate le truppe britanniche[1]. Racconta Paolo Gioia, amico fraterno e “compare” di mio padre, nelle sue Memorie dattiloscritte:

 

Nel 1943, ai primi di ottobre, di domenica, alle quattordici … la radio ci avverte che truppe americane, canadesi ed inglesi, si apprestavano ad attaccare Larino per togliere il controllo della piana ai tedeschi. Raccomandava ai civili di restare nelle loro abitazioni assicurando che esse non sarebbero state toccate dal tiro delle artiglierie sia in città sia in campagna, e cominciò il cannoneggiamento. Sentivamo le cannonate tedesche ed alleate, sopra la testa, la paura era enorme […].

 

Messici a letto, la sera, non riuscivamo ad addormentarci e quando, dopo tanto tempo, venne l’alba non avevamo idea di cosa fare. Passò un vicino e ci consigliò di andare alle grotte, distanti circa un chilometro da casa. […] Raggiungemmo le grotte  senza nemmeno chiudere a chiave la porta di casa. Eravamo appena arrivati che riiniziarono i bombardamenti che durarono tutta la giornata. Insieme con noi c’era altra gente, un centinaio di persone circa (tra cui anche mio padre con la sua famiglia, NdR), tutti conoscenti e nei nostri discorsi c’era solo l’argomento – guerra.

 

[…] Dopo tanta paura, il 10 ottobre 1943, i tedeschi abbandonarono Larino di notte ed andarono a formare il fronte Cassino-Ortona, sul quale resistettero per altri sei mesi. […] “Liberati” dagli americani, la prima domenica (era il giorno 15, NdR) andammo al Convento per la Messa. Eravamo in molti ed ognuno aveva le sue esperienze da raccontare in quei lunghi otto giorni. Mai come allora ci ritrovammo tutti uniti ed amici.[2]

 

 

 


   Le truppe anglo-canadesi a Termoli e nelle Piane di Larino
 

 

   

Un posto dunque strategico e carico di affetti. Da questo bordo collinare, che si apriva sull’immenso spazio sottostante, si controllava agevolmente con lo sguardo l’antica strada che scavalcava le basse colline e, lambendo il Monte azzurrino che dominava la veduta a oriente, portava all’antica Siponto …

 

 

I miei primi ricordi, legati a questo luogo ameno, ora un po’ abbrutito da un viadotto che ci passa inopinatamente in mezzo, sono degli anni di scuola, quando la maestra, passata a miglior vita da non molto, ci accompagnava da questi religiosi col saio che m’incutevano timore, forse a motivo delle loro barbe folte. Li chiamavano “’i muòn’ce”, perché nel vernacolo locale non si andava troppo per il sottile né esisteva, credo da molto tempo ormai, la parola “fràte” per designarli, che semmai era adoperata, come adesso, per nominare i fratelli nella carne. Al limite, com’è tuttora, si faceva precedere il titolo di “padre” al nome, vero o preso in prestito che fosse, del religioso con saio e cordiglio.

 

 

 


   Una recita scolastica al Convento (1974)

 

 

 

Uno di questi fu fra Paolo da Sestino, che nel lontano 1535 fondò questo Convento dei Cappuccini di Larino, il primo de facto, come vedremo della Provincia religiosa di Sant’Angelo. In un antico tomo, difatti, leggiamo quanto segue:

 

… Et in Apulia a Fr. Paulo Sestinensi, qui ex Provincia Piceni eo a Ludovico Forosemproniano missus fuerat; hoc tempore Provincia S. Angeli, Larini primo Monasterio extructo, exordium sumit.

Hæc Provincia, propter illustrem Michaëlis Archangeli Apparitionem, quæ in Monte Gargano, qui longe lateque e Sinu Adriatico, usque ad ipsius planitiem se extendit, olim contigit, S. Angeli nuncupatur. Ea vero Provincia, totam Apuliam Dauniam complectitur, quæ ab Aufido Amne usque ad Fiternum diffunditur, magna Agrorum ubertate, rerumque omnium abundantia ita fertilis : ut cum reliquis Italiæ Partibus certare videatur. Urbibus non mediocribus gaudet, Luceria nimirum, Manfredonia, & aliis, inter quas Larinum annumeratur ; a veteri Larino, quod nunc deletum est, duorum milliarium spatio distans. Hic igitur, cum primum hoc anno Monasterium extructum esset, alterum sequenti anno Serræ Capræolæ, ac tertium in Oppido sancti Ioannis Rotundi erectum fuit: ac deinde hæc Provincia in vigintiquinque & amplius Monasteria excreuit.[3]

 

 

Riporto, a beneficio di chi non ha tanta dimestichezza con le lingue morte, lincipit di una storica versione in Italiano:

 

Nella stessa maniera (di altre Province dell’Italia settentrionale) hebbe similmente principio la Provincia di S. Angelo nella Puglia, la quale fu fondata da F. Paolo da Sestino Marchigiano (sic), mandato in quelle parti da F. Lodovico da Fossombrone con ergere il primo Convento a Larino. Si dice questa la Provincia di S. Angelo per l’illustre apparizione di San Michele Arcangelo nel Monte Gargano, il quale dal seno del Mare adriatico giunge fino alla pianura.[4]

 

    Cè chi ha voluto vedere proprio nellantico culto tributato al Debellatore del demonio nella città frentana la vera motivazione di questa primigenia fondazione[5]. Ma noi passiamo oltre a ripercorrere come si svilupparono gli eventi: altre fonti, a noi geograficamente più prossime, vanno provvidenzialmente nel dettaglio e narrano che nel 1530 quel piccolo drappello di frati provenienti dalla Provincia della Marca, su mandato di Ludovico da Fossombrone, Commissario  del novello Ordine dei Cappuccini[6], succeduto al fondatore Matteo da Bascio, si spinse fino ai confini del Regno di Napoli, «per buttar i primi fondamenti della Provincia della Puglia»[7]. Ne facevano parte, oltre a fra Paolo da Sestino, toscano di nascita, e forse a un altro paio di confratelli, fra Sante da Castelluccio Acquaborrana, piccolo comune collinare del Basso-Molise, ora denominato Castelmauro.

 

 
Cappuccini in cammino per fondare la Provincia di Lorena, dall'Atlante Cappuccino di Silvestro da Panicale
Un gruppo di Cappuccini in cammino per fondare una nuova Provincia, stampa dall' "Atlante Cappuccino" di padre Silvestro da Panicale (1632)

  Il fondatore dell'Ordine Cappuccino e il suo successore: Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone  

 

   

Fu proprio frate Sante a proporre di salire al suo paesello[8], dislocato in verità un poco distante dalla direttrice principale che menava ai centri più popolosi, tra cui Larino, e al Gargano. In quel sito daltura, in ogni caso, in quell’anno 1530, venne eretta una piccola casa religiosa – nei fatti, un conventino , accanto ad una preesistente chiesetta intitolata a Santa Maria della Salute, che però ebbe vita breve, pare a motivo delle molestie di una dama locale e per le invidie di un sacerdote secolare del posto, che mal sopportava la presenza di altri religiosi; talché, su consiglio del vescovo di Guardialfiera Morsellino[9] – Marsolino il suo vero cognome –, competente per territorio e larinese di nascita, furono consigliati di dirigersi verso la ben più importante cittadina frentana; e in un podere donato dal fratello di quel Vescovo, tal Adriano Morsellino, posizionato nel luogo ameno che abbiamo già descritto, edificarono, con l’aiuto dei locali, il primo effettivo Convento della Provincia di Sant’Angelo[10], uno dei primi sei d’Italia, non prima di aver ricevuto l’assenso del presule larinese Giacomo Sedati[11], che fu vescovo tra il ’30 e il ’39.

 

 
Luoghi della presenza cappuccina nella Provincia di Sant'Angelo
I luoghi delle prime presenze cappuccine della "provincia di Sant'Angelo" [dalla "Chorographica descriptio provinciarum" di Giovanni da Moncalieri, Torino 1649]
   

L’amenità del sito in cui il nostro Convento sorgeva, che a quell’epoca doveva essere ancor più evidente a motivo del suo completo isolamento, ci è confermata dal padre Girolamo da Napoli, primo storico della Provincia:

 

Trovase questo luogo due miglia in circa discosti alla città et però è remoto da disturbi mondani, et have appresso a sé una bella selva, conforme si usava in quelli primitivi tempi … Luogo secondo la mente del padre san Francesco … Il Montefiore dà la benedizione a che vi sta volentieri.[12]

 

Il drappello di religiosi scacciati da Castelluccio – scrive il suo successore, padre Gabriele da Cerignola –, nell’edificare il nuovo convento, che sarebbe diventato la effettiva “culla”[13]della Provincia di Sant’Angelo, appoggiarono

 

alla chiesina alla Croce dedicata … a piano terra … otto o dieci cellette et officine necessarie di pali, vimini e terraloto, che col tempo poscia s’è andato successivamente più di una volta sollevando, ampliando e modernando in quella forma, ch’anco molta angusta et povera si vede ai giorni nostri.[14]

   

   Vi è solo da aggiungere che la preesistente “chiesina” era quel che rimaneva di un’antica abbazia, servita in passato da eremiti.

 

 

 

Tra il 1530 ed il 1555, scendendo verso le pianure della Puglia e salendo il Gargano, i frati Cappuccini provenienti dal Centro Italia vennero accolti in sei altri luoghi, che formarono una “vicaria” retta inizialmente, e fino al 1539, proprio dal padre Paolo da Sestino, che in quell’anno moriva a Larino, e poi dal padre Giovanni da Rodi.

 

Proprio nel Convento larinese si tenne il primo Capitolo provinciale.

 

 
Provincia cappuccina Sancti Angeli
La "Provincia Sancti Angeli", incisione tratta dalla "Chorographica descriptio provinciarum, et conventuum fratrum minorum S. Francisci Capucinorum", del padre Giovanni da Moncalieri (Torino 1649)
 

  

   La Provincia cappuccina di SantAngelo, così denominata dal 1555, ha conservato sin dalle origini i medesimi confini geografici comprendenti, ecclesiasticamente, gran parte dei territori delle diocesi della regio Beneventana o della metropolia di Benevento e, civilmente e con maggiore determinazione, i territori della regione o provincia decima prima del regno di Napoli, la Capitanata (o Daunia o Puglia Piana) e il Contado del Molise, unito alla prima in foro iudiciali fino al 1816 con “Regia Audientia” in Lucera.

 

La Provincia che, bagnata dal mare Adriatico, aveva come confini naturali a sud il fiume Ofanto e a nord i fiumi Sangro e Trigno, si estese al di là dei suoi territori soltanto marginalmente con il convento di Venafro, conteso dal Molise e dalla Terra di Lavoro, e con quello di Vasto, che apparteneva all’Abruzzo, ma aveva molti interessi al di qua del fiume Trigno, che segnava il limite di provincia civile o, meglio, di regione.[15]

 

 

  Frati Cappuccini intenti alle loro mansioni
 

 

 

  

 Tornando al nostro Convento larinese, un primo ampliamento delle sue strutture si ebbe solamente nel 1630, con laggiunta di altre undici celle e il prolungamento della chiesa, così da portarla alla stessa altezza della nuova fabbrica, ottenendo anche il coro sulla porta dingresso[16]. A metà di quel secolo, seppure vi fosse stata da pochi anni la terribile epidemia di peste che aveva sterminato quasi per intero la popolazione cittadina, il nostro Convento sopravviveva bene. Ce lo riporta il tabulario Salvatore Pinto nel suo “apprezzo” del 1663:

 

Resiedono dieci Padri molto esemplari cioè il Guardiano et altri tre sacerdoti et uno clerico e l’altri Conversi oltre li forestieri che in dies si aggiungono in detto convento, vivono l’elemosina tanto di detta città che delle terre convicine: la loro chiesa ad una nave coverta ad imprici con cappellone in testa di essa, dove è il suo altare maggiore che di continuo vi esiste il SS.mo con decenti lumi: vi è il choro sopra l’ingresso con la sacrestia dove si conservano li apparati per la celebratione.[17]

 

     Ai primi del Settecento, il Ministro generale dei Cappuccini, padre Bernardino da Arezzo, nella sua Relazione ci riporta che il Cenobio larinese continuava ad ospitare nove frati, pur disponendo di ben venti celle. E ci dice ancora:

Vi è parimenti annesso l’Orto per l’erbaggio con un boschetto da far legne ed il tutto resta ad arbitrio della Sede Apostolica non sapendosi che il prefato Morsellino padrone del sito se ne riserbasse il dominio. Sta situato questo Convento un miglio e mezzo lontano dalla Città tra alcune vigne, giardini et oliveti nella via pubblica. Non ha debiti, nè obblighi di messe e non possiede entrate, ma i Frati vivono di ciò che mendicando vien loro compartito per carità di divoti benefattori.[18]

 

 

    Fino al decreto del Ministro generale dell’Ordine, Erardo da Radkersburg, del 1779, il Convento di Larino ha fatto parte della custodia di San Gabriele, una delle tre ripartizioni territoriali che componevano la Provincia di Sant’Angelo. Da quel decreto, venne invece a ricadere nella custodia di San Michele; anche se va fatto rilevare che, essendo esso situato al confine delle tre custodie provinciali – la terza era quella di San Raffaele –, nonché particolarmente adatto al doppio scopo della personale e libera contemplazione e al ritiro penitenziale, imposto dai superiori, questa rigida ripartizione decisa per norma non veniva applicata sempre e comunque[19].

 

 


  Ambienti di un tipico convento di Frati Cappuccini (Francavilla di Sicilia, Messina)
 
 

   

    Passato il Regno di Napoli a Napoleone e ai suoi famigli, sul finire dellestate del 1811 il Convento larinese seguì la sorte di tanti altri, finendo chiuso, a motivo del minimo numero di frati ospitati, inferiore ai dodici richiesti per la sopravvivenza. Con la Restaurazione borbonica, nel 1816 venne riaperto, facendo così in tempo ad ospitare, per sei anni[20], il Servo di Dio padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi (1816-1901), che il vescovo monsignor Vincenzo La Rocca (1829-1845) ordinò sacerdote nella Cattedrale di Larino il 29 marzo 1840, e che a motivo dei suoi doni soprannaturali i Larinesi presero a chiamare il “Monaco santo”. Il Convento venne nuovamente soppresso a seguito della legge cosiddetta “eversiva” del 7 luglio 1866. Come si legge nel Verbale redatto ad hoc, il 20 giugno 1868 esso venne ceduto al Comune di Larino, con lobbligo di corrispondere al Demanio un canone annuo iniziale di 120 lire[21].

    Sempre in quell
anno 1868, come avvenne pure in altri cenobi della disastrata Provincia, a richiesta della popolazione il Convento venne tenuto aperto, con lofficiatura affidata a padre Nicola Maria da Foggia, un frate che celebrava in abito da prete, coadiuvato da fra Rosario da Campolieto e da un terziario[22]. Al bisogno, il nostro Convento ospitò altri frati che avevano giocoforza dismesso il saio, ma rimanevano pur sempre presbiteri[23]. Se ne ricorda la presenza fino al 1888, quando lultimo di questi indomiti dispersi venne autorizzato dalle superiori autorità cappuccine ad abbandonarlo definitivamente.

 

 

   Padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi nel Convento di Larino
 

 

   

Come ricorda il vescovo Tria, la festa della Croce, a cui si deve il titolo portato dal Convento, vi veniva celebrata solennemente:

 

la Chiesa di questo Convento fu prima della di lui fondazione di pertinenza del Capitolo Larinese, sotto il titolo della Madonna della Croce. Quindi è, che celebrandosi la sua festa ogni anno li 3. di Maggio, in segno del suo dominio, il Capitolo Larinese si conferisce in essa processionalmente, e li Religiosi vengono all’incontro, anche processionalmente a riceverlo, ed egli vi solennizza, come in propria Chiesa.[24]

 

In questo contesto si svolgeva pure una significativa processione di ragazzi con i caratteristici “palii”, di cui abbiamo discusso altrove, che collegano perciò questo santo luogo cappuccino ai Martiri cittadini, che quella Croce seguirono fino all’estermo sacrificio. Il 1964 fu l’ultima volta che il Capitolo della Cattedrale presenziò a questa degna cerimonia.

 

 

  La facciata del Convento, com'è cambiata nel corso dei decenni
 


   

    Il Convento ebbe la funzione di parrocchia rurale dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del secolo successivo, anni nei quali lAmministrazione comunale si faceva carico della nomina di un cappellano ivi alloggiato, per la cura danime degli abitanti delle vicine campagne[25]. Anche i pellegrini vi sostavano, nei loro ciclici viaggi penitenziali, diretti al San Michele di Puglia, o anche direzionati verso la costa. Durante le periodiche epidemie di colera venne adoperato come lazzaretto, per finire abbandonato. I suoi locali servirono al bisogno anche come scuola primaria rurale – e questa è cosa almeno accettabile –, mentre a cavallo dell’ultima Guerra si pensò bene di adoperarli come ospizio per i poveri. Solo nel 1947, i superiori dell’Ordine Cappuccino della Provincia di Sant’Angelo, nella persona del Padre Provinciale Paolino da Casacalenda, richiesero al Comune la retrocessione dell’antico Convento, molto danneggiato per mano delle truppe di occupazione. Il Sindaco di allora, il benemerito professor Ugo Pietrantonio, diede ben volentieri il suo assenso; sicché il 14 giugno 1947 si ebbe la deliberazione comunale, con la quale si cedevano gratuitamente le strutture del sacro edificio, mentre il terreno antistante veniva dato in affitto, con un canone simbolico[26].

    Fu così che i Frati Cappuccini fecero il loro ritorno all’antico Convento di Larino, previo risanamento delle strutture fatiscenti, il 24 ottobre 1948, con solenne rito cerimoniale presieduto dal vescovo Oddo Bernacchia (1924-1960).

 

 

 

 Gli artefici della riapertura del Convento:

padre Paolino da Casacalenda e il prof. Ugo Pietrantonio

 

 

   

In verità la presenza dei Francescani a Larino rimonta a secoli addietro:

 

ai primi anni del Trecento risale la fondazione di un Convento[27], non molto distante dalla erigenda Cattedrale. Clemente V, che risiedeva ad Avignone, diede il suo consenso controfirmando, il 7 luglio 1312, la Bolla Sacræ Religionis vestræ merita, con la quale venne data autorizzazione al Ministro dei Frati Minori della Provincia Sancti Angeli di edificarlo. Sappiamo dalle fonti documentarie che nel 1334 il Convento, intitolato a San Francesco,  era già pienamente funzionante ed ospitava alcuni frati. Molti benefici ricevette allorché, nel 1635, divenne Ministro Generale dell’Ordine dei Conventuali il larinese Giovanni Battista Berardicelli, che tenne la carica fino al ’47. Accanto al Convento sorse anche una Chiesa, pur essa intitolata a San Francesco, successivamente decorata all’interno in un magnifico barocco, che i preziosi affreschi settecenteschi della Cupola, del pittore molisano Paolo Gamba, che vi lavorò intorno al 1747, impreziosirono ancor di più. Abbellisce l’abside un magnifico organo a canne, che avremmo tanta voglia di sentire risuonare quanto prima.

 

 


  Convento di S. Francesco (XIV sec.)  

 

   

Soppresso detto Convento nel 1806, durante il Regno murattiano, non venne mai più riaperto, passando invece ad ospitare l’alloggio della gendarmeria, quindi la caserma dei Regi Carabinieri, per finire ceduto a privati cittadini. La Chiesa barocca, per diverso destino, attende di essere riaperta al culto, dopo annosi e complicati restauri.

 

 

 


  Chiesa di S. Francesco (XIV-XVIII sec.)  

 

   

Quando avverrà questo lieto evento, non ci è dato di sapere. Quel giorno avremo certamente la possibilità di dire una prece davanti alla tomba del duca Francesco Carafa, che rimane dietro al coro, il quale morì in modo violento, nei pressi del Convento dei frati Cappuccini posto qualche chilometro più a monte, di cui stiamo raccontando le vicende.

 

Narrano infatti le cronache che il 1° maggio del 1679[28], nei paraggi del Convento dei padri Cappuccini, venne ammazzato a colpi di archibugio detto signore locale, da tal Paolo Cornacchielli e da alcuni “fidi amici”, a motivo delle prepotenze nel governo e delle troppe avances fatte alla sua sposa; talché il marito offeso nell’onore organizzò l’agguato e il Duca ci rimase secco. Alla tragica vicenda s’ispirò anche Dumas padre, nel suo Un Regno insanguinato, altrimenti noto come La Sanfelice, dato alle stampe nel 1864.

 

 

  L'agguato al duca Francesco Carafa  

 

 

 

    Tornando al nostro favellare, abbiamo letto dunque che il Convento dei Frati Cappuccini di Larino fu il primo della Provincia religiosa di Sant’Angelo, mentre il secondo fu quello di Serracapriola (1536)[29], paese di qualche migliaio danime, appollaiato al di qua del fiume Fortore, il cui alto corso segna il confine tra il Molise e la Puglia. Fino al 1985 il suo territorio era compreso in quello della Diocesi di Larino, per finire definitivamente sotto la giurisdizione del presule di San Severo. Durante la peste seicentesca, in questo grosso paese agricolo si trasferirono, per diversi anni, il Vescovo e la sua Curia. Al locale convento, intitolato alla Madonna delle Grazie, bussò e venne accolto un giovane postulante di vent’anni, che in seguito prese il nome di fra Pardo da Larino († Vasto 1626), in onore del Patrono cittadino, il quale da novizio fu testimone di un Miracolo Eucaristico; sicché la sua intera esistenza venne trasformata e il suo debole credere rafforzato, fino a farne un evangelizzatore infaticabile.

 

 
Serracapriola a inizi Novecento
L'abitato di Serracapriola agli inizi del Novecento

  La permanenza di Fra Pio a Serracapriola
 
 

 

In questo convento del nostro territorio diocesano, il giovane Fra Pio da Pietrelcina, novizio francescano, attese ai suoi studi di teologia dall’ottobre 1907 al novembre dell’anno appresso, sotto la guida spirituale del padre Agostino da San Marco in Lamis, che gli rimarrà fraterno amico e direttore danima per tutta la vita. Narra questo frate nel suo Diario, quanto Fra Pio fosse «buono, obbediente, studioso, sebbene malaticcio»[30]. Difatti, proprio nell’estate del 1908 il giovane frate si ammalò, forse a motivo del caldo opprimente:

 

« ... qui si sta un po’ male scriveva il novizio ai carissimi genitori a cagione del caldo che in questi mesi è un po’ eccessivo in questo paese. Non v’impensierite in quanto a ciò, perché sono miserie che l’uomo non può andare esente... ».[31]

 

I Superiori della Provincia di Sant’Angelo si mostrarono molto preoccupati dagli «infiniti affanni» fisici, causati «da una misteriosa malattia» che «galoppava» nel gracile corpo di quel frate che mangiava come un passero. Fu così che convocarono a Serra il padre Grazio Forgione il quale, provenendo da Pietrelcina, venne ospitato in convento. Dopo qualche giorno, consigliati dal medico curante, padre e figlio presero una carrozza traianata da un cavallo e si recarono a Larino, fino alla Stazione ferroviaria, e da qui fecero ritorno al piccolo paese del Beneventano, per una breve vacanza di salute[32].

 

 
Padre Pio giovane a Venafro (1911)
Un giovane Fra Pio da Pietrelcina, in questa fotografia scattata a Napoli, dove si era recato per una visita medica specialistica, poco prima di entrare nel convento di Venafro (19 ottobre 1911)

  I luoghi del passaggio di Fra Pio a Larino, nelle immagini d'epoca
 

 

 

 

Scopro così, solo adesso, che il futuro Santo con  le stimmate percorse, lui ventunenne, ma in senso inverso, quella strada antica che abbiamo più volte ricordato in questo sito, continuandola fino a quella Via Nazionale, un tempo sterrata, che nel frattempo ha mutato nome – ora è la Via Dante –, la quale passa davanti alla mia abitazione attuale. Ne sono sorpreso e lusingato.

 

 

 


Convento dei Cappuccini di Larino nel 1918
Il Convento dei Cappuccini di Larino (1918) [foto Archivio Pilone]
 

 

Passò anche per il Convento di Larino, il giovane Fra Pio? Alcuni ricordi che parrebbero attendibili, riconducibili al già menzionato professor Pietrantonio, ci dicono che effettivamente il giovane professo vi fece sosta, vi è da credere insieme ai suoi giovani confratelli, negli anni compresi tra il 1905 e il 1907, probabilmente in occasione di qualche gita che i Cappuccini erano soliti organizzare al di fuori dei loro chiostri; poiché se è senzaltro vero che il nostro Cenobio francescano era stato ufficialmente dismesso nel lontano 1866, in esso però tempo addietro era vissuto il padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi – il “Monaco santo” –, passato a miglior vita pochi anni prima. Sarebbe stato, quello, anche il felice momento per rivolgere una preghiera alla Madonna della Croce, alla quale il Convento doveva il suo titolo; perché se era risaputo che in esso non c’erano frati, vi era pur sempre attivata una parrocchia rurale, che per il Santo Sacrificio faceva capo a questa piccola chiesa conventuale.

 

È in ogni caso implicito che, almeno dal vagone in transito verso il suo paese natale, abbia potuto ammirare il campanile della Cattedrale di San Pardo. Sempre che, in atto di cortesia – lui coi suoi compagni e qualche precettore –, non abbia trovato il tempo di scendere al Centro storico, per omaggiare il Patrono della Diocesi che li ospitava e forse salutare il vescovo Bernardino di Milia (1891-1910), che era un cappuccino come loro.

 

 

Si parla in questi giorni di un accorpamento del convento serrano con quello larinese, da cui verrebbe a dipendere. Molte le opposizioni dei paesani, e come dar loro torto!?

 

 

  Il convento di San Giovanni Rotondo, come appariva ai primi del Novecento
 
S. Giovanni Rotondo Chiesa Madonna delle Grazie nel Convento dei Cappuccini
La vecchia facciata della Chiesa, intitolata alla Madonna delle Grazie

  Padre Pio a San Giovanni Rotondo
 
 

 

La parte maggioritaria della vita del santo Frate cappuccino, come si sa, venne spesa invece nel più lontano convento di San Giovanni Rotondo, tra le pietre del Gargano, che fu il quarto tra quelli fondati dal piccolo drappello di frati disceso verso la Puglia, in quel lontano 1530. Leggiamo nelle guide, difatti, che il convento garganico, ora meta di pellegrinaggi da tutte le parti del mondo, venne eretto nel 1540[33].

 

 
Convento S. Giovanni Rotondo cella n. 1 di Padre Pio
La cella n. 1, dove Padre Pio visse dal 1943 fino alla morte

  Le stimmate, ricevute permanentemente il 20 settembre 1918
 

 

 

 

Lo visitai per la prima volta nel lontano 1975, con la mia famiglia. Il Frate con le stimmate, che imparai a conoscere da quel giorno, era morto da qualche anno, e nel percorso lungo il quale fummo guidati, che conduceva fino alla sua cella in cui aveva reso lanima a Dio, compresi chi era quell’uomo venerato, che aveva i segni della Passione di Cristo sul proprio corpo: Padre Pio da Pietrelcina “Pietralcina” dicevamo, tratti in inganno dai santini , quell’uomo che portava un nome quasi identico al mio, ma aveva la barba lunga ed era vecchio. La vittima più giovane viveva ancora i suoi ultimi anni innocenti …

 

 

 

 

 

Nondimeno, possiamo cogliere in questo filo rosso che si srotola lungo i secoli, senza sbagliarci troppo, un divino disegno legato alla figura del Frate stigmatizzato, la cui intera esistenza è stata spesa a difesa della fede cattolica fino all’ultimo fiato emesso salendo all’altare della sua estrema Celebrazione Eucaristica, che incoronava un’intera vita, nella quale il Santo era diventato quasi icona vivente di quel Cristo sacrificatosi sulla Croce, per dischiuderci la strada verso il Paradiso.

 

 
Padre Pio e padre Paolino da Casacalenda
Padre Pio, seguito dal Ministro provinciale padre Paolino da Casacalenda (al centro), che si impegnò in prima persona per la riapertura del Convento di Larino
 

 

Scrive il Pietrantonio, ricordando le liete vicende del 1948, riferite alla riapertura del Convento larinese:

 

Era vivo desiderio (levento ricordato) di chi ha seguito le fasi necessarie per riavere, riparare, ristrutturare il convento fino alla sua riapertura: intendo riferirmi qui a Padre Pio, del quale oggi si inaugura il monumento.

 

Padre Pio, allora, pregava non gli uomini per soddisfare un’ambizione umana di religiosi, ma Dio perché illuminasse gli uomini responsabili ad agire nel migliore dei modi. Ed ebbe ragione.[34]

 

Lo stesso Professore ci ha riportato quanto importante fosse stato lo sforzo, anche economico, della Comunità francescana di San Giovanni Rotondo per riattivare il Convento di Larino; e certamente a questo sforzo non dovette essere estraneo Padre Pio da Pietrelcina[35]. Per certo sappiamo, in ogni caso che, lui vivente, il suo primo confessionale garganico pervenne nella piccola chiesa conventuale frentana, probabilmente già allatto del suo ripristino nel 1948.

 

 

Padre Pio durante l'Adorazione eucaristica
 

 

Mi duole assai – debbo confessarlo – che le sue Spoglie mortali, esposte da qualche anno in quella Cripta ricavata nella chiesa-mausoleo progettata da Renzo Piano, ricoperta di mosaici dai colori sgargianti, serviranno a fare da cassa di risonanza al malinteso Anno della Misericordia, bandito dai reggitori della “neo-Chiesa” bergogliana. Potremmo anticipare – se posso dirlo –, che mai ci fu un Mercoledì delle Ceneri tanto avvilente e triste, come quello che si prospetta essere il prossimo 8 febbraio.

 

Come insegnava l’umile Frate francescano, la Misericordia vera mai può separarsi dalla Verità, che esige contrizione quando, peccando, la si calpesta.

 

 
 

 

Siamo stati molto lieti di avere avuto nel corso degli anni, in questo Convento larinese, il più antico della Provincia cappuccina di Sant’Angelo, dal 2003 intitolata anche a Padre Pio, diversi suoi confratelli che lo avevano conosciuto, i quali ci riportavano aneddoti e ricordi. Il primo che va ricordato è padre Raffaele da SantElia a Pianisi da non confondere con lomonimo “Monaco santo” di cui abbiamo detto -, già guardiano a San Giovanni negli anni difficili della prima persecuzione, suo amico e confessore, trasferito in questo nostro Convento in qualità di superiore, dal 16 gennaio 1964 al 23 agosto 1965, poco dopo cioè lultima persecuzione di cui fu vittima il venerato Confratello. Abbiamo avuto poi padre Paolo Covino, cappellano presso lOspedale di Larino dal 1969 al 1973, il quale assistette Padre Pio nella sua Ultima Messa e gli diede lUnzione degli infermi che lo accompagnò nel suo sereno transito. Ne ho un vago ricordo infantile. Era presente, in quella triste occasione, anche il padre Emidio Cappabianca da Macchia Valfortore, allepoca giovane frate e per lungo tempo di famiglia in questo nostro Convento. Ultimo ad aver conosciuto il Santo è stato padre Giorgio Ramolo, da poco scomparso, per il tramite del quale diverse volte ho ricevuto l’assoluzione dai mie peccati. Era il mio confessore preferito. Dio l’abbia in gloria!

 

 

  Padre Raffaele da Sant'Elia a Pianisi (1890-1974) e padre Paolo Covino (1918-2012)
 

 

Padre Giorgio Ramolo
Padre Giorgio Ramolo, già sofferente, accanto al vescovo di Termoli-Larino mons. Gianfranco de Luca
Statua Padre Pio durante la festa di S. Pardo a Larino
La statua di S. Pio, preceduta e seguita dagli altri due Santi dell'Ordine - S. Antonio da Padova e S. Francesco -, durante la festa del Patrono S. Pardo (26 maggio 2012)
 

 

Una semplice statua di legno di pino rosso, raffigurante San Pio da Pietrelcina, opera dello scultore altoatesino Ferdinando Perathoner, che vediamo sovente riprodotta in una infinità di esemplari del tutto simili, è stata posizionata in una cappella a sinistra dell’ingresso del Convento, appositamente ricavata nel 1997, in previsione della sua beatificazione. Al Santo garganico anche un monumento in bronzo di Ruggiero Di Lollo – non pare invero un capolavoro –, che dal 1992 domina la piazza lastricata, circondata da pini e vegetazione folta. Lungo il basamento, si legge questa significativa frase, tratta dal suo Epistolario: “Stretto e legato al Figlio per mezzo di questa Madre”[36]. Difatti, nel gruppo scultoreo, la Madre Addolorata, che compare dietro il Crocifisso, è accompagnata dal Frate del Gargano, che regge un figlio di quella Donna ...

 

 
Ruggiero Di Lollo Monumento a Padre Pio Convento Frati Cappuccini di Larino
R. DI LOLLO, Monumento a Padre Pio, inaugurato il 17 maggio 1992
 

 

I conventi della famiglia cappuccina – quelli di questa Provincia, dico, ma forse il discorso vale anche altrove – si presentano quasi tutti seguendo una ben precisa tipologia costruttiva: la Chiesa ha una facciata bianca rettangolare, con un unico portale molto semplice, sormontato a volte da un arco a tutto sesto, altre concluso da una dritta architrave. Al centro una sola finestra, rettangolare o arcuata anchessa – a tutto sesto o, come nel nostro caso, a sesto acuto , e sopra, nel mezzo, la piccola vela campanaria, sotto il cui arco batte i suoi rintocchi la campana. Il coro per la preghiera comune si trova, nel nostro Convento come pure in altri, sopra l’ingresso della Chiesa. Accanto, il Convento con le sue celle, anticipate dal chiostro, il refettorio, le sale comunitarie e l’orticello, che non manca mai.

 

 
Larino Convento dei Frati Cappuccini veduta dall'alto
Il Convento visto dall'alto: le tegole rossicce appartengono all'edificio costruito negli anni Cinquanta. A sinistra, l'ampio piazzale, col monumento a Padre Pio (1992); a destra, oltre il Giardino col vialetto centrale, il Belvedere circolare (1952)
Larino convento ripreso da un drone
Una suggestiva veduta, ripresa da un drone. Vediamo la facciata del Convento e il quadrato del chiostro. Sullo sfondo, le Piane di Larino e, oltre le basse colline, il Mare Adriatico
Facciata del Convento dei Cappuccini di Larino, dopo il restauro del 2011
La facciata del Convento di Larino, ripristinata nelle antiche forme dopo un recente restauro (2011); a sinistra, vediamo la Cappella appositamente realizzata per ospitare il simulacro di Padre Pio da Pietrelcina, con la campana soprastante

  Il Portale d'ingresso della Chiesa conventuale
 


 

 

L’unico Portale che ci si para davanti agli occhi è semplice, con i suoi stipiti di pietra e l’architrave che regge una lapidaria massima, incisavi nel 1630, che ci dice tutto l’essenziale, anche se non più tanto di moda:

 

LA VERA VITA·PER DAR NOI LA VITA DIE LA SUA VITA SU·LEGNO DI VITA

 

Una mensola che la sovrasta regge a sua volta un bassorilievo, che raffigura la Croce che si innalza sopra un monte, fiancheggiata dai patiboli dei due ladroni, inquadrati di scorcio. Alla sua base le tre lettere TSC, acronimo di Templum Sanctæ Crucis. Trattasi di una simbologia che si rifà al culto della Santa Croce, diffusosi rapidamente per le nostre contrade al tempo delle invasioni saracene e turche, che interessarono massimamente la costa adriatica centro-meridionale, specialmente nei secoli tra il IX e il XVI[37].

 

Secondo il Magliano, ancora ai suoi tempi era possibile leggere, sull’architrave di una finestra, le parole Sanctæ Mariæ det, dalla qual cosa egli ricavava che la primitiva abbazia fosse denominata Santa Maria in finibus Larinentium, come un antico sito abbaziale di cui si sapeva poco[38]. Abbiamo però verificato che una scritta simile NDET MARIA , compare effettivamente alla base di ua finestrella, che in origine doveva trovarsi altrove, la quale ora dà luce alla Cappella dedicata a Padre Pio, posta alla sinistra dellingresso. La frase monca potrebbe significare, a mio modo di vedere, quel che resta di unantifona mariana: Spiritus Sanctus in te descendet Maria, et virtus Altissimi obumbrabit tibi oppure  Spiritus Sanctus in te descendet Maria, ne timeas habebis in utero filium Dei alleluia; o anche potrebbe stare per Respondet Maria, con quel che ne seguirebbe, come ad esempio il passo dei Carmina Burana in cui si rivive la Passione di Cristo: Venias dilectus meus in hortum suum, ut comedat fructus pomorum suorum.

 

 
Larino Convento dei Capuuccini iscrizione monca "NDET MARIA"
L'iscrizione monca "NDET MARIA", posta alla base della finestrella che dà luce alla Cappella dedicata a Padre Pio
Antonio Solario detto lo Zingaro Madonna della Croce nel Convento dei Cappuccini Larino
ANTONIO SOLARIO, detto "LO ZINGARO", Madonna della Croce (inizio XVI sec.)
 

 

Varchiamo dunque la soglia del nostro Convento larinese:

 

la decorazione è sobria, anche se barocca, e le tinte chiare hanno il sopravvento. Subito lo sguardo è portato a muoversi in direzione dell’Altare maggiore, sopra il quale sta una Adorazione dei pastori, attribuita a Francesco Tolentino, attivo nel XVI secolo. Monsignor Tria ci ricorda appunto che «lAltar Maggiore ove si conserva il Venerabile è sotto il titolo della Nascita del Signore»[39]. Ancora più in alto è la piccola tela raffigurante l’Eterno Padre, nel 1949 oggetta di rifacimento per mano del noto pittore molisano Amedeo Trivisonno, il quale ridisegnò anche la pavimentazione attuale e mise mano alle altre tele[40]. La pittura di più nobile fattura, tuttavia, sta sopra l’altare dell’ultima cappella a mancina, dove compare la Madonna della Croce, che riprende il titolo di questo nostro Convento, attribuita al pennello di Antonio Solario detto “lo Zingaro” (1465 ca-1530).

 

    Ancora dal vescovo Tria abbiamo in effetti notizia che i due altari laterali erano dedicati uno a Santa Maria della Pietà, ossia della Croce, dov’è la tela dello Zingaro; l’altro alla Beatissima Vergine delle Grazie[41].

 

 
 

 

Nel sotterraneo della seconda cappella laterale stanno i sepolcri destinati ai frati e ai benefattori, e recano le date 1630 e 1709. Vi riposano tra gli altri anche i resti del fondatore della Provincia, padre Paolo da Sestino, del suo confratello e compagno di missione fra Sante da Castelluccio Acquaborrana, oltreché quelli di un altro santo religioso, padre Antonio Spagnuolo. Nelle nicchie sono esposte diverse statue di Santi francescani, offerte dai devoti dopo la riapertura del Convento: Francesco d’Assisi ovviamente, e naturalmente Antonio da Padova; ma pure Santa Chiara, che dà il nome alla vicina strada, da cui prende nome il Quartiere intero, ed Elisabetta d’Ungheria, che nella storia francescana ha il suo bel posto d’onore. Un Sacro Cuore anticipa una tela moderna – invero una fotografia stampata su tela –, scoperta in occasione della beatificazione del papa Giovanni Paolo II, che lo raffigura sorridente.

 

Per finire, nella Cappella interna si trova un dipinto ad olio firmato da un tale Crescentius o Conscius del 1734, raffigurante la Madonna con SantAnna e Santi Francescani: Antonio da Padova, Felice da Cantalice, Fedele da Sigmaringen.

 

 
Padre Pio celebra la Santa Eucaristia
« Ecco l'Agnello di Dio! »
Padre Pio e l'Agnello
 

 

Anche se si è arrivati, qualche anno fa, alla possibilità concreta della chiusura di questo benemerito Convento, a motivo dello scarso seguito, ultimamente esso è stato invece potenziato, venendo a ricoprire il ruolo di Centro Missionario Provinciale. È guardiano il mio coetaneo padre Franco Gitto[42], di Villa Ricca (Napoli), il quale riveste anche il ruolo di responsabile provinciale per le Missioni. Un giorno gli chiesi di benedire un paio di immagini del Cuore Immacolato di Maria, con cui dialogo spesso. La Messa domenicale vespertina, alla quale partecipo, come pure quelle feriali, le celebra quasi sempre il padre Paolo Donatelli, di Limosano; mentre non si ha ancora notizia certa di chi sostituirà il defunto padre Giorgio, che ricopriva anche l’incarico di cappellano dell’Ospedale.

 

 
Stimmate della Vittima pura e immacolata
« In his signis vincam »
Padre Pio all'ingresso della sua cella
Motto Imitazione di Cristo cella di Padre Pio convento di San Giovanni Rotondo
«La Croce ti aspetta» è scritto sopra la sua cella ...
 

 

Frati cappuccini da queste parti non se ne vedono provenire da decenni. L’ultimo è stato il padre Domenico Gigante, scomparso ottantacinquenne nell’aprile scorso. Venne a dire Messa nel Convento della città d’origine in occasione del cinquantenario della sua ordinazione sacerdotale, quattro anni or sono; ebbi modo di scambiare qualche battuta con lui: conosceva bene i miei nonni materni.

 

In verità, da quasi quarant’anni non c’è nemmeno più un’ordinazione sacerdotale di qualcuno che sia nato in questo posto, in questa piccola città dal nobile passato; mai nessuna in questa parrocchia intitolata alla Madonna delle Grazie, di cui questo Convento è parte integrante.

 

Vengo qui per la Santa Messa nei giorni di precetto o anche nei giorni feriali, quando trovo il tempo. Ed anche se so bene che non è questa la mia vera Casa, perché la Madre vera abita altrove, alla fine della celebrazione me ne risalgo in macchina per far ritorno alla mia casa di mattoni, dove mia madre, come quell’Altra, vive da sola …

 

 

 

Bibliografia:

 

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L. Triggiani, I Conventi dei Cappuccini di Foggia. Storia e Cronaca, San Giovanni Rotondo 1979



[1] Alle ore 2.45 della mattina di domenica 3 ottobre 1943, circa mille uomini della Special Service Brigade, al comando del colonnello Durnford-Slater, mettono silenziosamente piede sulla spiaggia, a ovest del Borgo antico di Termoli, avviandosi poi a raggiungere gli ingressi della città per presidiarli. Le uniche difficoltà che i commandos della Royal Marine britannica devono superare sono costituite della risalita del costone tufaceo della ferrovia, reso scivoloso dalla pioggia caduta pressoché ininterrottamente dal 25 settembre, fino al momento dello sbarco, e dalla presenza di una folta vegetazione. Inizia così l’ “operazione Devon”, più nota come la “Battaglia di Termoli”. Qualche giorno dopo lo sbarco le truppe inglesi, tra le quali c’erano anche soldati irlandesi, neozelandesi e indiani (colonie britanniche) avanzarono anche nei paesi limitrofi, costringendo i Tedeschi ad arretrare verso l’alto Molise (A. Smargiassi, La battaglia di Termoli. Ottobre 1943, Rocca San Giovanni 2009, rist. Rocca San Giovanni 2011).

[2] P. Gioia, Paolo racconta …, Montreal 1989, pp. 59-61.

[3] Z. Boverio, Annales seu Sacræ Historiæ Ordinis Minorum S. Francisci qui Capucinorum nuncupantur, I, Lugduni 1632, p. 198.

[4] Annali dell’Ordine de’ Frati Minori Cappuccini, composti dal Molto Reverendo Padre Zacaria Boverio da Saluzzo Diffinitore Generale dell’istesso Ordine. E tradotti nell’Italiano da Fra Benedetto Sanbenedetti da Milano Predicatore cappuccino, I, Torino 1641, p. 300.

[5] G. Mammarella, Il convento dei Cappuccini a Larino, in Da vicino e da lontano. Sacro e profano nella ricostruzione di fatti emblematici della storia molisana e delle aree limitrofe, II, Campobasso 2009, p. 27.

[6] LOrdine dei Frati Minori Cappuccini, che appartiene alla famiglia dei Frati Minori Francescani, è una delle grandi riforme nate in seno all’Osservanza. La nascita ufficiale si data al 3 luglio 1528, con la bolla papale Religionis zelus, emanata da Clemente VII. L’Ordine dei Cappuccini, che all’inizio si erano chiamati “Frati minori della vita eremitica”, deve il suo nome al cappuccio caratteristico del loro abito (in origine relativamente piccolo rispetto a quello degli Osservanti e dei Conventuali), che li contraddistingue ancora oggi dagli altri Frati Minori.

[7] Gabriele da Cerignola, Memoria della Fondatione di questa nostra Provincia de’ Capuccini  di S. Angelo e de’ suoi luoghi con il catalago di tutti li Vicari seu Ministri provinciali che l’hanno governata, ms. E 24, ff. 13-19, in Archivio Provinciale dei Cappuccini Foggia.

[8] «(Frate Sante da Castelluccio Acquaborrana) piuttosto ispirato da Dio che spinto da humano affetto, volle passare per la sua Patria Castelluccio. Ed essendo accarezzato non solo da parenti insieme con i suoi compagni ma anche da quel popolo ben visti, col permesso del vescovo venne fondato un piccolo convento» (Gabriele da Cerignola, op. cit., f. 14).

[9] Marco Antonio Marsolino, cognominazione corrottasi in “Morsellino”, larinese di nascita, da canonico della Cattedrale frentana venne promosso il 27 agosto 1533 alla cattedra vescovile di Guardialfiera, la cui diocesi sorse nell’XI secolo, per volere del papa Alessandro II (1061-1073), probabilmente in atto di riconoscenza per la buona accoglienza ricevuta da parte della popolazione locale dal suo predecessore Leone IX (1049-1054), durante il suo passaggio in quelle terre alla volta della Puglia, dove venne sopraffatto dai Normanni di Umfredo d’Altavilla a Civitate (18 giugno 1053). All’inizio del XIX secolo la diocesi si estendeva entro le terre, comprese nel “Contado di Molise”, di Guardialfiera, Acquaviva, Castelbottaccio, Castelluccio, Civitacampomarano, Lupara, Lucito e Palata. La diocesi guardiese venne soppressa  col Concordato tra papa Pio VII e Ferdinando I delle Due Sicilie, mediante la promulgazione della bolla De utiliori del 28 giugno 1818. Il suo territorio venne annesso alla diocesi di Termoli.

[10] Bernardino da Arezzo, Relazione dello stato de’ Conventi de’ Cappuccini della Provincia di S. Angelo (compilata tra il 1703 e il 1716), in T. Pedio, Le comunità dei Frati Minori Cappuccini nella Provincia di Sant’Angelo nella prima metà del Settecento, in I Francescani in Capitanata. Atti del convegno, Bari 1982, pp. 124-125; G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani,  Roma 1744, pp. 259-260; G. e A. Magliano, Larino. Considerazioni storiche sulla Città di Larino, Campobasso 1895, rist. anast. Larino 2003, pp. 215, 257; A. Magliano, Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, Larino 1925, rist. anast. Larino 1986, pp. 57-58; L. Triggiani, I Conventi dei Cappuccini di Foggia. Storia e Cronaca, San Giovanni Rotondo 1979, pp. 31-34.

[11] Giacomo Sedati, nativo di Riccia (allepoca Contado di Molise), apparteneva probabilmente allOrdine dei Benedettini, e in un loro monastero, situato allinterno dellarchidiocesi di Benevento svolgeva quasi certamente la sua missione quando, il 28 marzo 1530, venne eletto vescovo di Larino. Cinque anni dopo, come ricordato, accordò il permesso a fra Paolo da Sestino e ai suoi confratelli, per fondare nella sua Diocesi il Convento dei Cappuccini. Negli ultimi anni si ritirò, per motivi di salute, in un monastero di Pozzuoli, per finirvi i suoi giorni nel 1539 (G. Mammarella, Larino sacra. Cronotassi iconografia ed araldica dellepiscopato larinese, Campobasso 1993, pp. 33-34).

[12] Girolamo da Napoli, Cronichetta dei Frati minori Cappuccini della Provincia di Sant’Angelo di Puglia 1530-1615, edd. M. Iasenzaniro, R. Borraccino, Foggia 1990, ff. 149v, 526. Girolamo da Montefiore, nominato nella citazione, fu Vicario generale dellOrdine e in seguito Ministro generale (1575-1581).

[13] «Il convento di Larino … è non solo la vera culla della provincia, ma anche il suo centro spirituale ideale. Pur nella verità di una tale affermazione, per necessità di gestione ed amministrazione, il convento di Larino mai ha goduto di una situazione di privilegio, ma ha conservato lo status di semplice convento, veramente, in questo caso, di primus inter pares, primo tra eguali» [R. Borraccino, Un percorso di santità. Il Servo di Dio P. Raffaele da S. Elia a Pianisi cappuccino (1816-1901), Foggia 2006, p. 51].

[14] Gabriele da Cerignola, op. cit., f. 4.

[15] Si prendono queste notizie dal sito ufficiale della Provincia  cappuccina di Sant’Angelo e Padre Pio (verifichiamo che al momento la pagina è purtroppo inesistente, e mai ripristinata nel nuovo sito della Provincia).

[16] L. Triggiani, op. cit., p. 32.

[17] G. e A. Magliano, op. cit., p. 215.
    [18] Bernardino da Arezzo, op. cit., p. 125.

[19] R. Borraccino, op. cit., pp. 51-52.

[20] La consolidata tradizione che vorrebbe padre Raffaele a Larino per un così lungo tempo risale alla biografia di padre Aurelio da Sant’Elia a Pianisi (Ignorato. Vita del P. Raffaele da S. Elia a Pianisi Cappuccino, Foggia 1936; riedito a Firenze nel 1942). Anche in questa seconda edizione il padre Aurelio difatti ribadisce: «P. Raffaele stette a Larino quasi sei anni, giacché nel 1847, per una disgrazia di famiglia, si andò a rilevarlo a Serracapriola, ove da poco era stato stabilito dall’obbedienza» (p. 152). Tuttavia, secondo padre Rosario Borraccino, profondo conoscitore della biografia del Servo di Dio, «la supposizione di una permanenza del P. Raffaele, dalla sua ordinazione fino al 1847, a Larino» non è ravvisabile da una più attenta lettura delle fonti: «a Larino giunse nel novembre del 1839 e vi rimase almeno fino al settembre del 1840». Il suo soggiorno nel convento di Larino si ridurrebbe pertanto a una decina di mesi. Successivamente, tra l’autunno del 1840 e l’autunno del 1842, gli venne concesso di trasferirsi nel seminario di Benevento, al fine di completare la sua preparazione teologica. Subito dopo lo troviamo di famiglia nel convento di Torremaggiore, dove completò il settennio di studi e dove rimase verosimilmente fino al 1846 inoltrato [R. Borraccino, Il Servo di Dio Padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi: ieri e oggi, in «Il Monaco Santo» 1 (marzo 2011), pp. 7-11].

[21] U. Pietrantonio, Il Convento dei Cappuccini di Larino nella storia passata e recente. Testo dell’intervento tenuto in occasione dell’inaugurazione del Monumento a Padre Pio (Larino, 17 maggio 1992), «Il Ponte» 50 (1998), p. 31; G. Mammarella, Il convento dei Cappuccini a Larino cit., p. 28.

[22]  C. de Meo (ed.), I Cappuccini a Serracapriola (1536-1902), Foggia 2000, p. 128.
 
   [23] Il 28 maggio 1886, in una Procura speciale redatta dal notaio Giuseppe Occhionero di Ururi, compare «il sig. Giovanni Solimina, del sig. Raffaele, di professione sacerdote ex Cappuccino, nato in Anzano (Avellino) e domiciliato nel Monistero dei Cappuccini di Larino», cioè il p. Geremia da Anzano (n. 1840) [C. de Meo, op. cit., p. 181]. Il 25 settembre 1886, in un identico Atto, compare «Marino Giuseppe fu Leonardo, di professione sacerdote Cappuccino, nato in Savignano di Puglia (Avellino) e domiciliato nel Monistero dei Cappuccini di Larino», cioè il p. Francesco da Savignano (n. 1838)  [ibid., p. 187]. Il 1° ottobre 1886, in uno Strumento di compravendita redatto dal notaio Vincenzo Bucci di Foggia, ritroviamo entrambi gli «ex Cappuccini, sacerdoti» (ibid., pp. 169-171).

[24] G.A. Tria, op. cit., pp. 259-260.

[25] G. Mammarella, Il convento dei Cappuccini a Larino cit., p. 29.

[26] U. Pietrantonio, art. cit., p. 31. La stessa fonte, che per il particolare ruolo – rivestiva allepoca la carica di Sindaco – dispone di notizie di prima mano, chiarisce nel dettaglio che «il terreno antistante veniva ceduto in affitto per 29 anni con un canone simbolico ma con la condizione esplicita che il fabbricato ritornasse ad essere destinato esclusivamente a Convento. Veniva fatto, inoltre, obbligo all’Ordine Cappuccino di accollarsi tutte le spese occorrenti per rendere funzionale il Convento. La deliberazione comunale incontrò l’opposizione di una sparuta minoranza che fece ritardare solo di qualche settimana la piena validità della deliberazione del 14.6.1947» (ibid.).

[27] Come si è detto, gà nel 1334 il Convento di S. Francesco di Larino è da ritenere funzionante, come risulta da un accenno fattovi da fra Paolino da Venezia. Nel 1654, in conseguenza di ciò che era disposto nella bolla Ut in Parvis, del 10 febbraio 1654, e fino al 1730, fu messo alle dipendenze della Cattedra episcopale larinese. Agli inizi del XVIII secolo vi sorse anche un ginnasio di III classe. La chiesa aveva un soffitto di legno dorato, fatto realizzare dal Ministro generale dei Minori Conventuali Giovanni Battista Berardicelli (1565 ca-1656), larinese di nascita, al quale era dedicata anche una lapide, la cui dicitura monsignor Tria riporta per intero nella sua opera monumentale. Il soffitto fu sostituito da una volta, che è quella attuale, nel 1747 affrescata dal noto pittore di Ripabottoni Paolo Gamba (1712-1782); l’affresco riproduce una luminosa Incoronazione della Beata Vergine Maria, mentre ai quattro pennacchi stanno i quattro Evangelisti, e in S. Luca dovremmo forse vedere, come pare era solito fare, l’autoritratto dell’artista. Al suo pennello vanno ricondotti anche la Cacciata dei mercanti dal Tempio – che in verità abbiamo visto di recente custodita all’interno del vicino Museo Diocesano “G.A. Tria” – e la Via Crucis, esposte lungo le pareti dell’unica navata. All’epoca del vescovo Tria senior (1726-1740), oltre all’Altare maggiore, ne esistevano altri sei laterali, dedicati a S. Antonio da Padova, con la sua statua, all’Immacolata Concezione – ornati con decorazioni a stucchi e oro zecchino –, a S. Nicola vescovo di Mira, alla vergine e martire siracusana Lucia, al SS.mo Crocifisso e alla Madonna degli Angeli, detta della “Porziuncola”. Nell’abside troviamo l’organo, la cui mostra venne decorata nel 1752 da Modesto Pallante di Oratino. In quest’epoca venne pure rinnovata la facciata, con un portale in pietra sormontato dallo stemma francescano. Da quel che riporta il Magliano, nella chiesa era ospitato un pregevole crocifisso ligneo, probabilmente risalente al XIV secolo. In sagrestia si conservava qualche mobile finemente intagliato nonché due dipinti di buona fattura raffiguranti S. Andrea e S. Giuda Taddeo. Ancora il Magliano ci fa sapere che le campane alloggiate nella sommità della torre campanaria nel 1806 vennero fuse, come avvenne in tante altre parti, dalla soldataglia francese, per farne cannoni. Nel 1929 la chiesa fu dichiarata edificio monumentale, a motivo dei pregevoli dipinti del Gamba (G.A. Tria, op. cit., pp. 256-258; G. e A. Magliano, op. cit., pp. 214, 255; A. Magliano, op. cit., p. 54; G. Mammarella, I Francescani a Larino, in Da vicino e da lontano. Sacro e profano nella ricostruzione di fatti emblematici della storia di Larino e del circondario, Larino 1986, pp. 51-56; Città di Larino, guida edita dal Comune di Larino, Termoli 2008, pp. 27-29).

[28] Brevi cenni in G.A. Tria, op. cit., pp. 150, 599-600; mentre più particolareggiato è il resoconto dei fatti in G. e A. Magliano, op. cit., pp. 266-268; vd. anche A. Magliano, op. cit., p. 105; G.O. de Gennaro, La congiura larinate del 1679 che affrancò definitivamente la municipalità dai feudatari. L’anacronismo del Dumas (Antichi documenti negli archivi larinesi), in «Samnium» 1 (gennaio-aprile 1952), pp. 18-23.

[29] Bernardino da Arezzo, op. cit., pp. 138-139; L. Triggiani, op. cit., pp. 35-38; L. Ciannilli, Stelle di prima grandezza nel convento dei Cappuccini di Serracapriola, Foggia 1999.

[30] Agostino da San Marco in Lamis, Diario, ed. M. Di Vito, San Giovanni Rotondo 20124, p. 274.

[31] P. Pio da pietrelcina, lettera s.l.s.d. (ma del luglio-agosto 1908), in Epist. IV, p. 405. Riportiamo il testo integrale: «Carissimi genitori, negli altri infiniti miei affanni, mi affligge grandemente la vostra infermità, giusto come appresi dalla vostra lettera ultimamente ricevuta. Spero però che presentemente voi state assai meglio di prima. Ad ogni modo, se non vi riesce d’'incomodo accertatemene con una risposta. Vi raccomando, abbiate cura di conservarvi in salute. Anche qui si sta un po’ male, a cagione del caldo che in questi mesi è un po’ eccessivo in questo paese. Non v’impensierite in quanto a ciò, perché sono miserie da cui l’uomo non può andare esente. Inoltre vi auguro di fare una buona festa. Siete pregati di salutarmi il maestro, i parenti e gli amici tutti, ed in modo speciale lo zio Agostino, Angelantonio, Alessandro con le loro rispettive famiglie. In fine abbracciandovi assieme alla nonna, mi dico vostro figlio, P. Pio». Annotiamo che questa lettera, che non porta una data, è certamente antecedente la buona festa di Pietrelcina, di cui parla Fra Pio, cioè la Madonna della Libera, che si tiene nei giorni 3, 4 e 5 agosto dellanno.

[32] S. Ricci, Padre Pio a Serracapriola, «La Portella» 4 (2009), p. 30; L. Peroni, Padre Pio da Pietrelcina, Roma 1991, p. 109.

[33] Bernardino da Arezzo, op. cit., pp. 119-121; L. Triggiani, op. cit., pp. 39-50.

[34] U. Pietrantonio, art. cit., p. 31.
  [35] «(Dopo la deliberazione comunale del 14 giugno 1947) cominciò subito lopera di consolidamento e di ristrutturazione, di restauro della Chiesa con larga profusione di mezzi offerti precipuamente dalla Comunità monastica di S. Giovanni Rotondo» ( U. Pietrantonio, art. cit., p. 31); in altre parole, con un contributo di chi di quella comunità era, anche dal punto di vista della disponibilità di mezzi finanziari, magna pars: Padre Pio da Pietrelcina. Difatti, in un suo sintetico appunto, Alberindo Grimani ricorda che il suo Padrino di battesimo, il succitato prof. Ugo Pietrantonio, allorquando nel 1947 i Cappuccini di SantAngelo domandarono la retrocessione del Convento di Larino, «su richiesta di Padre Paolino da Casacalenda … chiese aiuto a Padre Pio per il restauro».

[36] Riportiamo un ampio brano della lettera di Padre Pio a padre Agostino da San Marco in Lamis, del 6 maggio 1913, in cui compare la significativa espressione: «Ecco finalmente ritornato il mese della bella Mammina. Quante belle cose vorrei dirvi, se mi fosse concesso dalla mia povera condizione, perché potreste capire qualche cosa del mio stato abituale! Mi sforzerò per quanto mi verrà concesso. Questa cara Mammina seguita a prestarmi premurosamente le sue materne cure, specialmente in questo mese. Le di lei cure verso di me toccano la ricercatezza. Soltanto allorché le faccio cenno a quella grazia, che voi già sapete, il suo celeste volto si contrae tutto; si rattrista e con solennità mi rinnova il divieto. Che cosa ho io fatto per aver meritato tanta squisitezza? La mia condotta non è stata forse una smentita continua, non dico di suo figlio, ma anche al nome istesso di cristiano? Eppure questa tenerissima Madre nella sua grande misericordia, sapienza e bontà ha voluto punirmi in un modo assai eccelso col versare nel mio cuore tali e tante grazie, che quando mi trovo alla presenza sua ed a quella di Gesù sono costretto ad esclamare: “Dove sono, dove mi trovo? Chi è che mi sta vicino?”. Mi sento tutto bruciare senza fuoco; mi sento stretto e legato al Figlio per mezzo di questa Madre, senza neanche vedere le catene che tanto stretto mi tengono; mille fiamme mi consumano; sento di morire continuamente e pur sempre vivo» (Epist. I, p. 201-202).

[37] N. Stelluti, Preparativi per il Giubileo al Convento dei Cappuccini. Intervista a Padre Emidio Cappabianca, «Il Larinate» 2 (2000), p. 10.

[38] A. Magliano, op. cit., pp. 57-58.

[39] G.A. Tria, op. cit., p. 260.

[40] La tela dell’Eterno Padre venne nuovamente restaurata nel 1962, allorquando anche i locali del Convento furono sottoposti a migliorie e rifacimenti. Autore del restauro fu il pittore bolognese Francesco Guerra (1927-2012), che nel 1968 mise mano anche al dipinto della Madonna della Croce, opera di Antonio Solario, detto “lo Zingaro” (Città di Larino cit., p. 56).

[41] G.A. Tria, op. cit., p. 260.

[42] Il 21 luglio 2017 è stata resa pubblica, dal nuovo Ministro provinciale padre Maurizio Placentino, la nuova famiglia del Convento: il nuovo guardiano è padre Francesco Loreto, nato a San Severo (Foggia) l’8 febbraio 1974. Vicario e cappellano dell’Ospedale è padre Gerardo Saldutto, già di famiglia a Larino alcuni anni fa, coadiuvato in questo incarico da padre Luigi Maria Di Fiore.

 

Pubblicato DOMENICA, 6 SETTEMBRE 2015

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