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i dirà: cosa c’entra Larino con Fátima? Apparentemente nulla, se non fosse che sul finire del V secolo il Vicario di Cristo dell’epoca, il papa San Gelasio I, volle che in questa Diocesi fosse consacrato il più antico luogo di culto micaelico dell’intera Cristianità, dopo l’Apparizione terrena dell’Arcangelo sul monte Gargano.
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Alla luce della Sacra Scrittura, questa precisa volontà del Capo visibile
della Chiesa assume un valore di una rilevanza unica, che nessun’altra Chiesa particolare al mondo può vantare. Si tratta, in definitiva, della scelta di questa terra marginale da
parte del Cielo, quale rifugio nel deserto verso il quale, nel tempo della persecuzione finale portata alla Chiesa
Cattolica Apostolica Romana, la vera Chiesa sarebbe fuggita, sotto gli assalti del drago: la donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva
preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni (Ap 12,6).
Una città piccola anche allora, posta in un territorio che ai giorni nostri appare ancora più isolato di quanto fosse in quell’età tardoantica, nella quale la consacrazione della piccola basilica micaelica avvenne. Una città dove, al tempo dell’ultima persecuzione prima della Pace, il sangue di alcuni giovani locali era stato versato affinché venissero infranti gli idoli dei tempi pre-cristiani.
In questa realtà apparentemente marginale, nei nostri sventurati giorni in cui stiamo vivendo i tempi anticipati dal veggente di Patmos, quelli del signum magnum e di ciò che segue, in questa terra benedetta dal Cielo la vera Chiesa di Cristo ha trovato un sicuro ricovero, sotto la protezione celeste del Custos Ecclesiæ, l’Arcangelo San Michele, mentre il resto della sua discendenza dovrà patire gli assalti del demonio.
Per molti, ed io fra questi, quei giorni terribili sono alle porte: il tradimento di molti consacrati, specie delle alte gerarchie cattoliche, che sono quelle stelle del cielo precipitate sulla terra dalla coda del drago (Ap 12,4), sta producendo una crescente persecuzione dei Cristiani in tutti i continenti, rivelatrice del più grande peccato che dei pastori possano commettere – l’apostasia –, che è oramai sotto i nostri occhi. Essa, per le drammatiche dimensioni che sta assumendo, appare essere in verità quella grande apostasia predetta da San Paolo, frutto avvelenato del mysterium iniquitatis che anticipa l’avvento del figlio della perdizione (2Ts 2,3 ss).
Quale sia l’obiettivo dell’avversario è presto detto: vanificare la morte in Croce del Salvatore del mondo, sbarrare la strada verso la salvezza, da Lui disserrata mediante il suo sangue innocente versato sul Golgotha, sopprimere perciò la Santa Messa cattolica, eliminare dalla faccia della terra la Santa Eucaristia. Si tratta, in definitiva, di quello che le Scritture denominano abominio devastante, quel periodo luttuoso e carico d’angoscia, della durata di tre anni e mezzo, durante il quale cesseranno il sacrificio e l’offerta (Dn 9,27), verrà introdotto un culto idolatrico di matrice satanica, e per castigo divino varie nazioni saranno annientate, così come predisse la Vergine Maria in terra portoghese.
Per precisa volontà del Cielo, di cui si è fatta mediatrice la Vergine Madre, questo peccato inaudito della gerarchia cattolica esige una riparazione. Vedremo meglio quale dovrà essere l’inevitabile contrappeso, necessario a porre un rimedio insuperabile al grave tradimento del Signore, che si va consumando sotto i nostri occhi.
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“SI PRÆSENS SCRIPTUM PLENE VIDEBIS, TEMPORA NOSTRÆ LOCATIONIS HABEBIS + A.D. MCCCXVIIII. ULTIMO JULII IN CHRISTO PONTIFICATUS DOMINI NOSTRI JOHANNIS PP. XXII. ANNO III. REGNORUM SERENISSIMI REGIS ROBERTIS ANNO XI. SUB PRÆSULATU RAONIS DE COMESTABULO HUJUS CIVITATIS OMNIBUS MEMORIA FUIT”.
Questo si legge sopra l’architrave del Portale della Cattedrale di Larino: il 31 luglio 1319, sotto il Pontificato di Giovanni XXII, mentre era Re di Napoli Roberto d’Angiò e vescovo della città Raone de’ Comestabulo, la Cattedrale venne solennemente consacrata e aperta al culto. Gli «antichi suoi Titolari», come riferisce il Tria, sono la Beatissima Vergine dell’Assunta e San Pardo vescovo (Memorie Storiche ..., p. 210). |
Il visitatore forestiero arrivato per la prima volta nel Centro storico medievale, posto qualche chilometro più a valle dell’antico sito della città frentana e poi romana, riurbanizzato da circa un secolo, s’imbatterebbe d’un tratto in un edificio piuttosto imponente, che non si attenderebbe di trovare in uno slargo angusto, denominato con una certa forzatura “piazza Duomo”; tanto che trovare un punto di osservazione che consenta agevolmente di racchiuderne con lo sguardo per intero la facciata risulta essere impresa assai difficoltosa. |
La facciata della Cattedrale, restaurata ancora una volta di recente, è fabbricata in pietra di Apricena. Suo magister è ritenuto il lancianese Francesco Perrini (o Petrini), che nella sua città natale fu artefice del portale della coeva facciata della Chiesa di Santa Maria Maggiore, assai simile a quello larinese. |
F. PERRINI, Portale (1317). Lanciano, Chiesa di Santa Maria Maggiore; Autoritratto del Perrini,
scolpito su uno stipite della Cattedrale di Larino (1319 ca) [foto F. Valente] |
Si compone la nostra, al pari di tante altre chiese del vicino Abruzzo, quali ad esempio Santa Maria di Collemaggio, di due ordini separati da una cornice marcapiano, terminanti con un coronamento orizzontale. Nella parte inferiore si allarga un imponente Portale strombato con timpano, nel quale si susseguono archivolti scalati e stipiti, decorati con una molteplicità di colonnine tortili e figure, specie di animali; la parte superiore, più leggera, è dominata invece da un elegante Rosone a tredici raggi, incorniciato da un archivolto su colonnine pensili, mentre ai lati stanno due ariose bifore, pur esse inquadrate da timpani poggianti su colonnine laterali. |
Il Portale ogivale si restringe verso la lunetta, nella quale compare una Crocifissione dal soggetto non propriamente comune: il Cristo è inchiodato a una Croce a Y, alla cui base sta, come spesso accade, un teschio umano – simulacro del Progenitore decaduto a vita mortale, a motivo della disobbedienza al Creatore –, mentre un angelo cala dall’alto e Lo incorona Re dell’Universo. Ai suoi lati, immobili e massicci nelle loro forme squadrate ancora romaniche, stanno i due Dolenti: la Madre mostra il suo strazio portando la mano sinistra al volto, mentre la destra regge il panneggio; il Discepolo amato assiste alla scena a mani giunte. |
Entriamo anche noi nella scena della Passione del Dio-uomo:
Hanno innalzato il suo patibolo tra due malviventi, di cui in questa Passione cittadina non abbiamo traccia, ed uno solo lo ha riconosciuto quale uomo-Dio, mentre quelli che passavano lo hanno insultato e beffeggiato: «Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!».
«Tutto è compiuto!». Siamo arrivati troppo, troppo tardi. Lo hanno schernito, lo hanno irriso: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Ma quelli che assistevano non hanno inteso cosa volesse dire. Gli hanno dato da bere aceto, a Lui che aveva sete: «Vediamo se viene Elia a farlo scendere». |
«Tutto è compiuto!». È troppo tardi anche per ascoltare le parole che danno senso a questa scena di pietra in cui ci siamo intromessi. L’ora preannunciata a Cana di Galilea è arrivata, sopra questo Calvario larinese scolpito in cima a una porta di una Cattedrale. Quegli occhi ora serrati inesorabilmente hanno già veduto la sua Madre e, accanto a Lei, il Discepolo prediletto, colui che nella Cena si era chinato sul suo petto per ascoltarne i più intimi pensieri: «Signore, chi è?». «Chi mangia il mio Pane a tradimento»: il peccato è quello …
«Tutto è compiuto!». Come a Cana, ha chiamato la Madre che lo ha partorito nella carne “Donna”, perché Ella doveva divenire Madre di quel Discepolo e, in lui, di ogni uomo. Siamo arrivati troppo tardi anche per riconoscerci nell’abbraccio tra la Madre e il nuovo figlio che L’ha presa tra le sue cose più intime, nella sua stessa vita. Ma ecco, dal gesto compunto di Maria, che porta al volto la sua mano sinistra, dov’è il suo Cuore Immacolato, ci avviciniamo a comprendere quale sia stato il suo smisurato tormento nel vedere il Figlio mandato a morte come un malfattore. «E anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». Si sarà ricordata, la Madre di Dio, Lei che serbava tutto nel suo Cuore, di quelle parole del vecchio Simeone, quando portò quel Figlio neonato, ora già morto, in quella stessa Città Santa dove veniva messo in Croce. |
Crocifissione: i due Dolenti [da Calò Mariani, Due Cattedrali del Molise. Termoli e Larino,
Roma 1979] |
«Tutto è compiuto!». Il dolore di Maria, che si svela dai suoi occhi sbarrati, dev’essere stato incommensurabile, ma forse è troppo tardi anche per rendercene conto pienamente; e comunque, assistendo da vicino a questa scena indurita nella pietra, intendiamo che la Madre Addolorata ha messo al mondo, nel suo strazio, un nuovo figlio, che ora Le sta di fronte. È il figlio amato dal Figlio inchiodato alla Croce. «Ecce Mater tua». Sono le parole che, quasi a memento dei visitatori in ritardo come noi, sono riprodotte nello stemma episcopale del Palazzo attiguo alla Cattedrale, dove un tempo risiedeva il Vescovo, che in questa Chiesa particolare è il padre.
Il figlio invece, quello partorito nel dolore dalla Madre Immacolata, così com’è detto nel testo apocalittico che parla di lui, ora ha le mani giunte e prega. E in quel figlio, ognuno di noi si riconosce; ed io in particolare, pietrificato dallo spasimo per fatti antichi e attualissimi, vedo coi miei occhi, come quel figlio amato, quella mia Madre che mi ha generato alla fede cristiana.
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«Tutto è compiuto!». Sono entrato in questa dura e sfigurata scena larinese troppo tardi, eppure è questo il tempo che il Padre ha deciso. Questa è la mia Madre! Non posso che volerLe bene. È la Donna che vedo davanti a me, Colei che mi ha partorito, seppure nella debolezza umana, affinché il Corpo offeso del Cristo trovasse una riparazione nel figlio.
Il nostro Salvatore, anche in questa lunetta frentana, ha gli occhi chiusi, perché Egli è già spirato, ed è ormai tardi per trovare in quel capo reclinato su una spalla un qualche sospiro vitale. «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». «Tutto è compiuto!». Il costato è già stato squarciato dalla lancia, e dalla piaga apertasi in quella carne fin troppo oltraggiata sono fuoriusciti sangue e acqua. Questi sono i frutti nuovi che, anche in questa massiccia Crocifissione tardo-romanica, sono germogliati dal nuovo albero della vita che è la Croce. In essi è la salvezza, in essi la strada che conduce al Paradiso. |
Nella lunetta della Cattedrale larinese siamo entrati troppo in ritardo per essere testimoni oculari del compimento di queste divine Parole, eppure noi sappiamo che esse sono state dette e vissute fino in fondo. Ma ecco, alzando lo sguardo, possiamo invece essere diretti spettatori dell’unica scena che si fissa attraverso le nostre pupille: un angelo di Dio cala dal Cielo e cinge con una corona regale il capo del Cristo, mentre ha già provveduto a sfilarGli quella di spine, che i soldati gli avevano schiacciato sul capo, percuotendolo: «Salve, re dei Giudei!». È incoronato il Re dell’Universo; lo sconfitto ha vinto, ha lavato nel suo sangue il peccato del primo Adamo, sul cui cranio s’innalza il suo Trono; e ha trionfato per sempre, mediante il suo completo Sacrificio fino all’ultimo respiro. |
La Cattedrale di Larino racconta tutto questo. Racconta la storia della salvezza fino alla fine dei tempi. Torniamo a guardare verso l’alto:
il Portale termina con un timpano, sotto il quale compare un Agnello crucifero con nimbo, inserito all’interno di una corona di foglie. Nella Scrittura, come si è detto più volte in questo sito, l’agnello condotto al macello è il Servo sofferente del Deutero-Isaia, che offre se stesso in sacrificio di riparazione (Is 53,7.10). La Visione di Fátima, che si connota per il suo specifico significato apocalittico, rappresenta questo Pastore che si fa agnello[1], dando la sua vita per le pecore (Gv 10,11), che è il Vescovo vestito di Bianco.
Quest’uomo perseguitato e sofferente guida il gregge, perseguitato anch’esso, fino alla Patria celeste. Conduce una moltitudine di salvati, uomini e donne di varie classi e posizioni – dice la Visione –, per mezzo del suo sangue innocente, sigillo di certa salvezza, come al tempo del primo Esodo, versato dal calice che egli beve e che dà da bere agli altri (cfr Mc 10,39), nel quale essi trovano il sostentamento per il combattimento spirituale. Li guida alle fonti delle acque della vita, acque limpidissime, anzi immacolate, che il suo estremo Sacrificio fin sopra il Monte ha reso tali. È il suo sangue divenuto acqua, che attualizza il segno di Cana; il sangue dello Sposo che redime la sua Sposa per mezzo del suo Martirio, che rinnova quello della Croce, nel quale i redenti laveranno le loro vesti rendendole candide (Ap 7,14). |
«Ecce Agnus Dei, qui tollit peccatum mundi» (Gv 1,29). Il Portale della Cattedrale di Larino racconta tutto questo. Guardiamolo ancora:
esso difatti è adornato di animali, leoni stilofori a livello degli stipiti e, al di sopra
delle cornici che continuano l’architrave della porta, due grifi, uno per lato. In quello di destra, dalla parte cioè dov’è raffigurato il Discepolo amato dal Cristo, il figlio
spirituale della Donna, è ancora possibile ammirare, pressoché integro, un grifone che afferra con gli artigli un agnello e lo solleva verso l’alto. Come è stato opportunamente
osservato, in questo punto del Portale è dunque rappresentato l’inizio dell’ascesa dell’Agnello sacrificato (F. Valente).
Il Sacrificio è quello rappresentato nella lunetta, quello che abbiamo descritto e in cui siamo entrati, seppure in ritardo, ma in tempo utile a che ci rendessimo compartecipi della Passione del nostro Salvatore. È il Sacrificio che si rende attuale, per consegna di Lui, sopra ogni altare dell’intero mondo e fino alla fine dei tempi.
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Sulla cuspide dello pseudo-protiro che incornicia l’unica porta che immette nella Cattedrale larinese, compare ancora un terzo grifone, anch’esso dal manto loricato, che quasi sembra strappare dal suolo tutta quanta la mirabile composizione in pietra posta in basso, per sollevarla al Cielo.
Poco più oltre, infatti, la doppia cornice marcapiano, che ripete ad libitum i motivi vegetali, ci conduce a contemplare il compimento escatologico di questo epilogo terreno: tra due bifore che lasciano intravedere il cielo, si apre il Rosone a tredici raggi. La circonferenza, “linea infinita”, senza inizio e senza fine, è figura dell’incommensurabile mistero di Dio; e i raggi, che fanno di quel circolo una ruota, suggeriscono invece l’idea del movimento eterno, che trova in Cristo il centro della storia della salvezza, il fulcro del fluire del tempo degli uomini. |
I raggi sono tredici, a significare l’uomo-Dio e i suoi dodici Apostoli, come anche le dodici tribù di Giacobbe che Egli è chiamato a restaurare (cfr Is 49,6). Da questa figura simbolica circolare penetra la luce all’interno del tempio cristiano. Ed allora comprendiamo che il Rosone rappresenta in definitiva la Gerusalemme celeste, la Sposa dell’Agnello. Egli difatti è raffigurato, ancora una volta crucifero e nimbato, in corrispondenza del raggio centrale. Il sacrificio di riparazione cui si sottopone e il permanere in Lui dello Spirito Santo, ne fanno la vera Luce: Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra (Is 49,6).
Agnello crucifero, unica figura dell’intera
composizione ripetuta due volte, a significare la centralità di essa. Agnello crucifero, centro e vertice nella facciata della nostra Cattedrale (F.
Valente). |
Agnello parusiaco immacolato, ai cui lati troviamo scolpiti nella pietra i simboli dei quattro Evangelisti, perché Egli è il Verbo incarnato, che dà compimento alla Scrittura, nel Quadriforme Evangelo[2]: a sinistra di Lui troviamo un giovane uomo, alato come tutte le altre figure, perché Egli è nato da Donna, ed è uomo dei dolori; più in alto il leone, perché Egli è regale come questo animale, leone della tribù di Giuda, che aprendo i sigilli determina gli avvenimenti escatologici; alla sua destra, il vitello, perché Egli è Vittima sacrificale e Sacerdote, come il vitello immolato nello Yom kippùr dal sommo sacerdote; ed in ultimo l’aquila, perché Egli vede dall’alto, lì dove gli uomini segnati dalla colpa originale non possono arrivare, perché solo su di Lui si posa permanentemente lo Spirito di Dio, consentendoGli di avere una visione spirituale e teologica delle realtà terrene, rivolta verso l’Assoluto. L’aquila, infine, trattiene fra gli artigli un cartiglio che mostra l’annuncio della verità ultima su di Lui, così come predetto dal Battista: «Ecce Agnus Dei». |
I simboli dei quattro Evangelisti [foto F. Valente] |
Un uomo vestito con abiti episcopali, identificato come San Pardo, conclude verso la sommità le figure pietrificate della Cattedrale di Larino, intitolata alla Madre di Dio Assunta in Cielo e a quel suo figlio Vescovo. Un Vescovo, che possiede in pienezza il ministero sacerdotale ordinato, discacciato dalla sua primitiva sede, ricapitola la scena, prima di salire, ancora più in alto, verso la Croce … |
La Cattedrale di Larino racconta tutto questo, perché il vero significato di un edificio sacro – quello voluto dal Cielo – non si conclude nelle mere intenzioni di committenti ed artefici, ed anzi molte volte sfugge loro. Queste sacre pietre, difatti, vivificate dallo Spirito, abbracciano l’eternità, parlando a tutte le generazioni, almeno fino a quando esse saranno in piedi, se non oltre.
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La Facciata della Cattedrale di Larino ci anticipa dunque la Visione apocalittica di Fátima, così come la conosciamo attraverso le parole consegnate dalla Vergine Maria alla veggente sopravvissuta fin quasi ai nostri giorni. Parole eterne pensate dal Creatore fin dalla Prima disobbedienza al suo Verbo: la Madre della Chiesa offre in sacrificio di riparazione, col suo Cuore Immacolato, il figlio spirituale, affidatoLe sotto la Croce dal Figlio generato nella carne. L’Agnello sacrificato, Servo sofferente, viene sollevato al Cielo, mentre svela – Lui che è il Logos fatto carne – il significato più profondo e risolutivo dell’intera Creazione: nel suo sangue in cui è la salvezza, generato dal Padre, si celebrano le Nozze di Lui con la Chiesa, sua eterna Sposa, cui darà una veste di lino puro e splendente (Ap 19,8).
Dall’alto, ancora e sempre, sopravviene un angelo di Dio che gli strappa la corona acuminata e lo investe della dignità regale: eterno Re dell’universo mondo.
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Lo Spirito e la Sposa dicono: «Vieni!» Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita. Colui che attesta queste cose dice: «Sì, vengo presto!». Amen.
(Ap 22,17.20).
Bibliografia:
M.S. Calò Mariani (ed.), Due cattedrali del Molise. Termoli e Larino, fotografie di M. Carrieri, Roma 1979
Irenæus Lugdunensis, Adversus hæreses III : PG VII
Paulinus Nolanus, Epistolæ, 42 : PL LXI F. Valente, L’agnello Crucifero, centro e vertice nella facciata della Cattedrale di Larino (sito web, post dell’8 febbraio 2009) F. Valente, Il Tetramorfo nella facciata della Cattedrale di Larino (sito web, post del 7 maggio 2009) F. Valente, Potrebbe essere del magister Francesco Perrini un piccolo ritratto sulla facciata della cattedrale di Larino? (sito web, post del 14 febbraio 2015)
[1] Paul. Nol., Epist. 42 : PL LXI, col. 380: (Christus) agnus et pastor reget nos in secula; qui nos de lupis oves fecit; earumque nunc ovium pastor est ad custodiam, pro quibus fuit agnus in victimam. [2] Iren. Lugd., Adversus hæreses III,11,8 : PG VII, col. 889: Τετράμορφα τὰ ζῶα, τετράμορφον καὶ τὸ Εὐαγγέλιου, καὶ ἡ πραγματεία τοῦ Κυρίου. Quadriformia animalia et quadriforme Evangelium et quadriformis dispositio Domini.
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Pubblicato MERCOLEDÌ, 12 AGOSTO 2015
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pinomiscione (giovedì, 13 agosto 2015 00:08)
Specifichiamo che con Decreto Apostolico del 30 settembre 1986, l'antica Diocesi di Larino scomparve come entità autonoma, per andare a formare, unitamente a quella di Termoli, la nuova Diocesi di Termoli-Larino. Pertanto, quella che noi Larinesi continuiamo a chiamare "Cattedrale" è in realtà la CONCATTEDRALE della nuova realtà diocesana basso-molisana. La Cattedrale di Termoli è dedicata a Santa Maria della Purificazione.
Ricordiamo inoltre che, con Breve pontificio del 13 luglio 1928, la Cattedrale di Larino è stata insignita del titolo di BASILICA MINORE.
pinomiscione (mercoledì, 30 settembre 2015 16:13)
Il mio ringraziamento va a tutti i validi fotografi che hanno messo in Rete le loro immagini, senza le quali descrivere, anche solo dal punto di vista teologico, la Cattedrale di Larino, sarebbe stata impresa assai ardua.