La Basilica medievale a tre navate


PETRUS TERMULENSIS (?)

Ingresso del corpo di S. Pardo in Larino

(fine XIV-inizio XV sec.),

particolare della Chiesa

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In antiqua Urbe Larino vetus item fuit Templum S. Primiani Martyris, tribus distinctum navibus cum ædificiis circumpositis: è cujus ruderibus parva nunc ædes constructa visitur, quæ primævam Sanctorum Martyrum memoriam servat sepulchri Longobardis dominantibus opulenta illa erat, ac nobili Monachorum ex Ordine S. Benedicti aucta Cenobio.[1]

 
  uesto ci dice l’abate Pollidoro della Basilica medievale a tre navate, intitolata al nostro Santo. Cresciuta la devozione verso i Martiri Larinesi – soprattutto quando la città venne a trovarsi sulla via di pellegrinaggio verso il Gargano, a seguito dell’Apparizione dell’Arcangelo –, viste le piccole dimensioni della chiesa cimiteriale di IV-V secolo, i monaci benedettini custodi dei Santi Corpi si saranno incaricati di edificarne una assai più grande, a tre navate, annessa al loro cenobio.  
 

In ogni caso, potrebbe ben darsi che sia il monastero sia la Basilica a tre navate siano sorti in seguito a donazioni delle aree interessate, così come sarebbe accaduto più tardi in altri casi, disposte dai proprietari, forse proprio i “Conti” longobardi di Larino.

Citiamo gli esempi di Santa Maria di Casalpiano, in territorio di San Martino in Pensilis, donata nell’858 da Bertefrido all’abate di Montecassino Bertario [G. Doganioni, Presenze Cassinesi nella Frentania Larinate, pp. 173-174; vd. anche G. e A. Magliano, Larino, p. 162 e n. (a); G. Masciotta, Il Molise…, pp. 146-147].

 

L’abate di Fossacesia ci conferma infatti:

 

Longobardi dominantibus opulenta illa (scil. basilica) erat.[2]

 

Quei nuovi dominatori erano certamente preoccupati di dare assetto stabile al loro territorio, e perciò era utile ed anzi necessario valorizzare al meglio proprio le tombe di quei Martiri già diffusamente venerate da secoli nei loro possedimenti. Così facendo, veniva naturalmente incrementato anche il pio pellegrinaggio alla Grotta arcangelica, proprio offrendo protezione ai viandanti penitenti diretti al Gargano, che proprio intorno alla metà del VII secolo era entrato stabilmente nell’orbita longobarda.

 

 

 

 

 

In qualsiasi modo si voglia impostare l’argomento, appare incontrovertibile che la causa determinante del potenziamento del culto dei Martiri Larinesi sia da ricercare nel pellegrinaggio al Santuario garganico di San Michele, enormemente incrementatosi a partire dalla seconda metà del VII secolo, come testimoniato dalle iscrizioni, anche in caratteri runici, rinvenute in esso, tanto da farlo assurgere alla dignità di più importante santuario epifanico dell’Occidente europeo (sulle iscrizioni: G. Otranto-C. Carletti, Il Santuario di S. Michele Arcangelo..., pp. 50, 91 ss.; C. Carletti, Nuove considerazioni e recenti acquisizioni, pp. 173-184; M.G. Arcamone, Una nuova iscrizione runica da Monte Sant’Angelo, pp. 185-189; sull’importanza del Santuario: G. Otranto-C. Carletti, op. cit., p. 37; G. Otranto, Italia meridionale e Puglia paleocristiane, Bari 1991, p. 202).

 

Non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui, prima del dominio longobardo, la piccola Chiesa cimiteriale, eretta almeno un paio di secoli prima, fosse stata sufficiente ai bisogni inerenti il culto e che invece, proprio in un momento di depressione demografica della zona daunio-frentana, qual era quello successivo alle guerre greco-gotiche e ai conflitti tra Longobardi e Bizantini, si avvertisse la necessità di ampliarla. I «loca deserta» di Paolo Diacono (Hist. Lang. V,29) o la «silva densissima que habitacionem tantum prestat ferarum latibulaque latronum» del monaco Giovanni (Chron. Vult. I,111,8-9), sono le espressioni che descrivono il paesaggio altomedievale del Sannio pentro e frentano, rivelatrici di una decisa, anche se non drammatica, crisi demografica.

 

Emerge piuttosto chiaramente che solo il gran movimento di pellegrini diretti al Gargano, soprattutto a maggio e a settembre – e tutti sappiamo in che periodo dell’anno si festeggiano i Martiri Larinesi – possa spiegare l’improvvisa necessità di disporre di una chiesa con ben tre navate e di un annesso, seppur modesto, monastero di Benedettini, i quali fra i loro compiti avrebbero ben potuto avere anche quello di fornire loro assistenza materiale e spirituale.

 

 
 

 

 

Probabilmente questo ampliamento dell’edificio di culto, vista la conformazione del terreno, assai scosceso, determinò la fine, forse graduale, della tumulazione ad sanctos. Fu così che la nuova Basilica e il modesto monastero annesso vennero a trovarsi nella parte più pianeggiante di tutta l’area – «inter murum et muricinum» appunto – mentre la più piccola basilica paleocristiana rimaneva nel suo sito in forte pendenza, poco più oltre, fuori dal vecchio recinto urbano, ma comunque in qualche modo annessa a tutto il sacro complesso.

 

Si sta parlando dell’area in cui sorge l’attuale Cappella di San Primiano e la parte ottocentesca del Cimitero, quella più a monte. Così infatti la descrive il Pietrantonio:

 

… ancora oggi è dato di notare, accanto e nelle adiacenze della cappella stessa di S. Primiano ruderi affioranti di precedenti costruzioni certamente riferibili alla precedente grande chiesa… insieme ad interessanti ruderi non ancora esplorati che potrebbero darci maggiori indicazioni sul monastero benedettino ivi edificato.[3]

 

 


 

 

Non sappiamo con precisione quando i due sacri edifici vennero fondati; un terminus ante quem, pertinente il monastero, si evince dal diploma di donazione del duca di Benevento Romualdo II, che porta la data del 13 aprile 726. Soprattutto non conosciamo, in assenza di scavi archeologici sistematici, difficoltosi anche per la particolarità del luogo, in che epoca venne costruita la grande Basilica a tre navate, annessa al primo modesto cenobio.

 

E però, verificato che nel succitato documento romualdiano non si fa cenno della Chiesa dedicata al martire Primiano, dobbiamo desumere che a quell’epoca essa non fosse stata ancora edificata. Parrebbe perciò accettabile il 726 come terminus post quem per una più precisa delimitazione temporale.

 

Logica vorrebbe che essa sia stata innalzata prima del trafugamento dei Corpi dei martiri Primiano e Firmiano dell’842, perché altrimenti non vi sarebbe stato un valido motivo per farlo. Vista la conformazione del terreno, si deve pensare che essa sorgesse nella parte più pianeggiante del sito, in quell’area cioè dove in seguito venne costruita la Cappella settecentesca che ne prese la funzione.

 

 
 

 

Oltre al già ricordato cenno che ne fa l’abate Pollidoro nel suo Commentarius, anche il vescovo Tria (Memorie Storiche…, pp. 361-362) fa menzione della Basilica altomedievale intitolata a San Primiano e – a suo dire – anche a San Benedetto, definendola genericamente come «antichissima» e comunque «più antica (del Monastero)», erroneamente da lui creduto fondato dal prete Leone nel X secolo (da cui dovremmo arguire che essa fosse più antica rispetto all’ampliamento dello stesso).

 

Pure il Magliano (op. cit., pp. 50, 182, 184), che non poteva sapere dell’esistenza della Basilica paleocristiana, venuta alla luce solo nel 1948, annota dell’«antichissima» basilica a tre navate, eretta nel V secolo, facendo ancora più confusione.

 

Più preciso risulta essere invece il giudizio di uno storico molisano novecentesco:

 

il Monastero badiale di S. Primiano aveva seguito nel tempo la chiesa di S. Primiano, fondata nei primissimi tempi della signoria longobarda. Esso, infatti, era stato costruito nella prima metà del secolo X … [4]

 

 Si riferisce ovviamente alla nostra Chiesa a tre navate e non a quella di IV-V secolo, assai più modesta per dimensioni e mononave.

 

Vediamo cosa ci dicono gli altri storici locali che ebbero ad interessarsi del sacro edificio: se mons. Moffa (Martiri del Molise…, p. 113) si limita a informarci che il monastero benedettino sorse accanto alla basilica paleocristiana – continuando però a confonderla con quella successiva a tre navate –, mons. Ferrara, invece, con più precisione arriva a dire che essa fu «ingrandita a tre navi (secolo IX), quindi arricchita di un Monastero (secolo IX)» [La Diocesi di Trivento, p. 430]. Tuttavia mi pare assai improbabile che si decidesse di ingrandire un edificio di culto legato a tombe venerate proprio nel momento in cui le reliquie martiriali ivi contenute vi venivano asportate. L’ingrandimento venne deciso semmai circa un secolo dopo, nel 945, quando il nostro cenobio passò alle dipendenze dell’Abbazia di Montecassino.

 

Il Mammarella infine (Da vicino e da lontano, p. 125; Larino sacra, II, p. 66), si limita a riportare che il grande tempio a tre navi, con annesso monastero, venne «eretto tra l’VIII e il X secolo» (anticipa al IX nel lavoro più recente).

 

Considerato quanto di impreciso è stato detto da alcuni storici sopra menzionati – il monastero esisteva difatti già nel 726 – risulta ben chiaro che soltanto riscontri oggettivi, desunti dalla ricerca archeologica ovvero da nuove acquisizioni di fonti scritte, potrebbero gettare nuova luce sull’intera vicenda.

 

Quanto alla morfologia che la nostra chiesa poteva avere, non disponiamo purtroppo del benché minimo indizio figurativo, a parte una quantomai dubbia indicazione derivata dal pannello ligneo, un tempo incassato in un confessionale posto sotto il pulpito della Cattedrale di San Pardo, detto «del Vescovo», che riproduce “L’ingresso del corpo di San Pardo in Larino”, attribuito con qualche riserva a un certo Petrus Termulensis (A. Magliano, Brevi Cenni storici…, p. 31, n. 1; 53; per il rilievo vd. anche G.A. Tria, op. cit., p. 307; M.S. Calò Mariani, Due cattedrali del Molise. Termoli e Larino, pp. 86-87, fig. 67a; A. Vitiello, La Cattedrale di Larino in Larino di maggio, pp. 57-58).

 

 

 

 

 

In esso è raffigurato, nell’angolo in alto a destra, un edificio di culto, posto su un poggio dominante una vallata – la Valle del Cigno? –. La datazione del manufatto artistico, oscillante tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, ci fa ritenere che vi sia rappresentata, seppure a grandi linee, proprio la basilica a tre navate dedicata a San Primiano, dalla quale era sceso il sacro corteo ivi rappresentato, composto da un vescovo di cui però allepoca la città era sprovvista e da tre altri chierici. Vi è motivo da pensare che questa raffigurazione, più tarda rispetto ai fatti raccontati di almeno quattro secoli, conservasse proprio un riferimento alla Basilica medievale di San Primiano, il cui priore era, allepoca dei fatti relativi alla translatio, la massima autorità ecclesiastica residente nella città; talché possiamo concludere che il pannello a rilievo volesse ricordare, rappresentando un inesistente vescovo, almeno questo religioso di alto rango, che sovrintendeva al Monastero benedettino e agli attigui edifici annessi, intitolati ai Martiri cittadini.


    Osservando meglio l
edificio sacro, verifichiamo che esso presenta un tetto a capriata, un solo portale d’ingresso ad arco a tutto sesto, sormontato da un rosone o comunque da un oculus, ed inoltre quattro finestre rettangolari poste all’altezza dei matronei. Non presenta alcun transetto; le tre navate terminavano presumibilmente con tre absidi, di cui la centrale era la maggiore. Parrebbe inoltre che nella zona absidale svettasse un campanile a pianta quadrangolare, a più ordini, che non è possibile enumerare, a motivo della cornice del pannello che taglia la riproduzione del sacro edificio.

 

 

 

 

 

Nulla è dato di sapere della ripartizione spaziale interna, se ad es. le tre navate fossero delimitate da pilastri o da colonne, comera conformato il presbiterio, ecc.

 

Queste minime note ci fanno tuttavia ritenere che la nostra Basilica a tre navate, eretta verosimilmente nel corso dell’VIII secolo, poteva presentarsi a grandi linee come altri esempi, anche se posteriori,  dell’attuale territorio molisano e di quello dauno, pervenutici quasi integri, quali ad esempio San Giorgio a Campobasso, Santa Maria della Strada a Matrice, San Nicola a Guglionesi, Santa Maria di Devia a Sannicandro Garganico.

 

 
 

 

Intorno all’842 i Saraceni berberi, provenienti da Taranto, cinsero d’assedio la città e la saccheggiarono, seminando grande strage. I resti mortali di Primiano e Firmiano, che dobbiano ritenere custoditi nella più antica basilica di IV-V secolo, furono trafugati dai Lucerini trasferitisi a Lesina al tempo dell’assedio di Costante II (663). Il corpo di Casto non fu trovato e rimase dov’era sepolto (G.B. Pollidoro, op. cit., pp. 1-73; G.A. Tria, op. cit., pp. 207, 245-246, 744-745 ; G. e A. Magliano, op. cit., p. 156-157; P. Ricci, Fogli abbandonati…, pp. 67-68, 92-93).

 

Si deve ipotizzare  che anche i monaci, custodi dei Sacri Corpi, fuggirono davanti agli aggressori saraceni ovvero che furono massacrati e perciò, se perirono in odium fidei, da considerare martiri anch’essi. Il Magliano (Larino cit., p. 158) però sostiene che la Chiesa di San Primiano fosse ancora in piedi, ma nulla ci dice – né poteva farlo – della sorte toccata ai monaci e al monastero, giacché erroneamente creduto non ancora  eretto.

 

Si fa osservare che i Saraceni mai si sarebbero fatti sfuggire un’ambita preda quale poteva essere un monastero e un’annessa chiesa, soprattutto se posti proprio all’ingresso della città e nemmeno tanto protetti (inter murum et muricinum) [in verità il Pietrantonio (I Benedettini…, p. 145) limita il saccheggio e i danni al solo monastero]. Qualche anno dopo (846) arrivarono persino a saccheggiare la basilica di San Pietro a Roma (G. Musca, L’emirato di Bari, p. 29). Nella regione frentana essi distrussero conventi e chiese, compresa l’abbazia di Santo Stefano in rivo maris (D. Priori, La Frentania, II, p. 79, n. 7); nelle zone interne misero a saccheggio per due volte il monastero di San Vincenzo al Volturno (861 e 881) [G. Musca, op. cit., pp. 66, 130-132], in questa seconda razzia trucidando un gran numero di monaci. Analoga sorte toccò anche ai più famosi monasteri di Montecassino (883) e di San Clemente a Casauria (916).

 

Appare assai probabile che in quel tragico assalto l’intera comunità monastica, custode da almeno un secolo e mezzo dei Sacri Corpi, seppure di ridotte dimensioni, sia stata trucidata.

 

Sul finire del XIII secolo la nostra Chiesa venne anch’essa a far parte dei possedimenti della “Commenda di San Primiano”, sotto la giurisdizione dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, in seguito detti “di Malta” (G.A Tria, op. cit., p. 362;G.e A. Magliano, op. cit., p. 183;P. Ricci, op. cit., p. 59; G. Mammarella, I Santi Martiri Larinesi, p. 20.).

 

 

L’epilogo del sacro edificio altomedievale non fu dei più gloriosi: intorno al 1720 infatti, durante l’episcopato di mons. Carlo Maria Pianetti (1706-1725), venne abbattuto perché pericolante. Al suo posto venne iniziata la costruzione dell’attuale Cappella, ultimata dal vescovo Tria (1726-1740), oggi inclusa nel cimitero comunale (G.A. Tria, op. cit., pp. 361, 363-364, 749; G. e A. Magliano, op. cit., p. 184; A. Magliano, op. cit., pp. 56, 91; G. Mammarella, Larino sacra cit., II, p. 66; Id., I Santi Martiri… cit., p. 39). Il Ferrara (op. cit., p. 430) ritiene che la demolizione sia avvenuta nel 1715, a seguito dei terremoti del 1688 e del 1772 (ma 1712). Il Pietrantonio (I Benedettini… cit., p. 147) sostiene che alcuni locali adiacenti alla Chiesa erano ancora visibili agli inizi del Novecento.

 

Anche il monastero subì, in quel frangente, un’identica sorte. Dei due importanti edifici di culto non ne rimangono che pochissimi resti, affioranti lungo un lato della Cappella completata dal Tria.

 

 

 

Bibliografia:

 

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G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis… , Romæ 1741

D. Priori, La Frentania, II, Lanciano 1959, rist. anast. Lanciano 1980

P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese raccolti in continuazione del Tria, Larino 1913, rist. anast. Larino 1987

G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani, Roma 1744, rist. Isernia 1989

A. Vitiello, La Cattedrale di Larino. Breve descrizione storico-architettonica e artistica, in Larino di maggio, Larino 2007, pp. pp. 52-60

 



[1] G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis… , Romæ 1741, p. 54.

[2] Ibid.

[3] U. Pietrantonio, Considerazioni e Osservazioni su alcune Opere di Storia del Molise recenti e passate, Campobasso 1992, p. 37.

[4] G. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni. Il Circondario di Larino, IV, Cava dei Tirreni 1952, rist. Campobasso 1985, p. 153.

 

 

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