Gli oggetti di venerazione

 

[da J. Sumption, Monaci santuari pellegrini. La religione del Medioevo, Roma 1981, pp. 31-32]

 

 

Gran parte delle reliquie venerate dai primi cristiani non erano reliquie corporali ma semplici memento, oggetti che erano stati in contatto con il santo o la sua tomba. I pellegrini accostavano pezzi di stoffa o di carta alla tomba del santo e poi li consideravano reliquie del santo loro personali. Cirillo di Gerusalemme aveva osservato che fazzoletti e panni operavano miracoli dopo aver toccato il corpo dei martiri. Era abitudine dei romani dividersi il sudario dei papi e la pratica andò avanti finché non fu abolita da Gregrio I[1]. Agli occhi della gente semplice questi brandea, come venivano chiamati, godevano di altrettanta stima del corpo stesso e talvolta anche di più. Un singolare resoconto sulla tomba di san Pietro, scritto da Gregorio di Tours, fa pensare che idee del tutto prosaiche prevalessero circa il modo in cui i brandea s’impregnavano di santità. «Colui che vuol pregare sulla tomba, - dice Gregorio, - apre la grata che la circonda e mette la testa vicino all’urna attraverso una piccola apertura. Lì prega per tutti i suoi bisogni e, se le sue richieste sono giuste, le preghiere verranno esaudite. Se desidera portar via dalla tomba una reliquia, deve soppesare con cura un pezzo di stoffa e appenderlo quindi all’interno della tomba. Poi prega ardentemente e se la sua fede è abbastanza forte, la stoffa, una volta rimossa dalla tomba, si troverà ad essere così piena della grazia divina che sarà molto più pesante di prima. In tal modo saprà che le sue preghiere sono state esaudite»[2]. […]

Sebbene i brandea non potessero competere con le reliquie corporali che circolavano sempre più numerose dopo il VII secolo, la loro popolarità non svanì mai del tutto e l’usanza di raccoglierli sopravvisse fino in epoche abbastanza moderne.



[1]  Cirillo Di Gerusalemme, Catechesis, XVIII, 16, XIX, 7, in PG, XXXIII, 1071; Gregorio I, Reg., V, 57, vol. I, p. 364; e Dialogi, II, 38, in PL, LXVI, 204.

[2] Gregorio Di Tours, In gloria martyrum, XXVII, pp. 503-504.

 

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