La cura per il sepolcro del martire

 

[da P. Testini, Archeologia Cristiana, Bari 19802, pp. 132-133]

 

 

Nei giorni di festa (anniversario del martire) il consueto apparato si arricchiva di altri doni: ceri dipinti, candelabri, lucerne ardevano presso il sepolcro; serti di fiori e foglie davano una nota festiva al sacro luogo, mentre si spandeva l’odore di liquidi profumati che i fedeli non dimenticavano mai per i loro defunti e per i martiri in particolare, perché li ritraevano santificati dal contatto[1], Dalla consuetudine di santificare i liquidi derivò poi il costume di mettere a contatto delle tombe venerate oggetti di ogni sorta, specie stoffe, considerate come preziose, autentiche reliquie e denominate brandea, palliola, sanctuaria, nomina[2].

Queste reliquie preservarono per lungo tempo i sepolcri dei martiri dalle manomissioni. I pontefici romani infatti, difensori dell’integrità dei sepolcri, alle continue richieste, anche di altissimi personaggi, risposero sempre inviando non parti del corpo, ma reliquie ex contactu. Da S. Leone Magno a Gregorio il Grande la norma fu rigorosamente osservata; quest’ultimo, alla fine del sec. VI, si esprime solennemente in questi termini: «Romanis consuetudo non est, quando sanctorum reliquias dant, ut quicquam tangere præsumant de corpore»[3]. Al contrario, secondo il mos græcorum, gli Orientali non si contentarono di reliquie fittizie e, abusando di una legislazione più elastica della romana, cominciarono già con Gallo (351-54) a traslare il corpo di S. Babila nella nuova chiesa di un sobborgo di Antiochia[4]. […]

Roma, mentre altrove si generalizzava questa mania collettiva, dette un esempio ammirevole di fermezza.

 



[1] Ne parlano S. Paolino di Nola (Carmen XVIII, 35 ss.: CSEL XXX, p. 98) e Prudenzio (Cathemer. X, 169 ss: CSEL LXI, p. 63). Il Liber Pontificalis romano (I, p. 183) ricorda la donazione annua di 900 libbre di oleum pisticum e 100 di balsamo, fatta da Costantino per il sepolcro dei SS. Marcellino e Pietro.

[2] Da S. Gregorio Magno si hanno varie notizie di questa consuetudine: Dialog. II, 38: P.L. LXVI, col. 204; Epist. I, 7, 36: P.L. LXXVII, col. 702. Nella richiesta di Giustiniano per avere da papa Ormisda (519) reliquie di S. Lorenzo si prega di deporre gli oggetti «ad secundam cataractam» (P.L. LXII, col. 474). Sulla efficacia dei sanctuaria, Gregorio Magno racconta che, dubitando alcuni greci del loro valore, papa Leone fece un taglio con le forbici e da quella incisione sgorgò sangue. Cfr. pure la nota seguente.

[3] Così S. Gregorio in risposta alla domanda dell’imperatrice Costantina, moglie di Maurizio, per ottenere la testa o qualche parte del corpo dell’apostolo Paolo da deporre nella nuova chiesa del palazzo imperiale: Ep. lib. IV, 30 (ed. Ewald-Hartmann, p. 264)

[4] Sozomeno, Hist. eccl. V, 19; Gregorio Nazianz., Contra Iulianum I, 25: P.G. XXXV, col. 552.

 

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