“’A róte de San M’chéle”

E.H. POTTHAST

Girotondo

(1910-1915 ca)

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ncora ai tempi della mia infanzia si era soliti intonare una cantilena che accompagnava i girotondi. Le parole erano queste:

 

                  ’A róte de San M’chéle

                  è de zùcchere e de méle,

                  de méle è ’u palazze,

                  vóte ‘i spalle … ’u pazze!

 
 

Si tratta di una canzoncina nota anche in altre località molisane, con qualche minima modifica dovuta alla parlata locale (G. Mascia, Aspetti del culto popolare di San Michele Arcangelo nel Molise, p. 32). I puntini di sospensione al quarto verso stanno per il nome dei bambini – “pazzi” – chiamati a continuare il girotondo uno dopo l’altro, voltando le spalle al centro di esso. Il motivo veniva ripetuto ad libitum. Pare esistesse anche una seconda strofa, che non è stato possibile ricostruire.

 

Va subito detto che il significato del primo verso è differente rispetto a quello che sembrerebbe mostrare, visto che qui «róte» non sta per ruota, quanto piuttosto per grótte, cioè grotta (ibid.). Difatti è conosciuto il fenomeno della velatura della g, che porterebbe a considerare la pronuncia della parola rótte, la quale però non ha alcun significato compiuto (rara sopravvivenza nel vernacolo locale: una grattugia per formaggio, ad esempio, si chiamerà rattacàsce). Si spiega quindi abbastanza facilmente che la parola cui ci si riferiva in principio nella cantilena era proprio grótte. Durante il girotondo, perciò, si voleva significare – almeno in origine – che «la grotta di San Michele è di zucchero e di miele».

 

 
   
 

Appare pacifico, ad ogni modo, che un’eventuale “ruota di San Michele” non troverebbe alcuna giustificazione né nell’agiografia né nell’iconografia, non essendo questo oggetto mai menzionato nel racconto agiografico dell’Apparitio e tanto meno riconosciuto tra i caratteri iconografici tipici del Santo Arcangelo.

 

Assai particolare appare il riferimento a «’u palazze» al terzo verso, che si immagina possa avere anch’esso una struttura a base di miele.

   Ci resta solo da dire che a Larino la basilica di San Michele era ubicata proprio nei sotterranei del Palazzo – a lungo ritenuto, a torto, lantico Pretorio romano – tanto da denominarsi Sant’Angelo a Palazzo (G.A. Tria, Memorie Storiche..., p. 369; G. e A. Magliano, Larino, pp. 184-185)[1], che potremmo identificare, anche se con non pochi dubbi, col primitivo luogo di culto voluto da papa Gelasio.

   

 
 

 

   Questa denominazione lascerebbe intuire che con l’appellativo «’u palazze» si volesse indicare un ben preciso edificio, posto nella città romana abbandonata, pur tuttavia quasi sempre abitato, sin da quando i Gastaldi, poi Conti longobardi di Larino lo elessero a loro dimora, conservando questa prestigiosa funzione almeno fino al XII secolo, benché sotto altri dominatori.

 

Ritengo del tutto fondato che la canzoncina nasconda in realtà un significato più profondo che ci sfugge, come ad esempio potrebbe essere che ci si volesse riferire alla grotta di San Michele, vale a dire all’antica basilica ubicata proprio nel piano inferiore del «Palazzo», entrambi immaginati come fatti di miele, anche se la grotta presenta un ingrediente in più. In questo caso la sua origine sarebbe da riferirsi chiaramente a Larino, e la circostanza che essa fosse conosciuta anche altrove troverebbe piena giustificazione nel considerare che certamente le genti molisane, bambini compresi, avranno fraternizzato, anche nei giochi, durante i faticosi giorni occorrenti a raggiungere la Montagna sacra.

 

Ricordiamo, a sostegno di ciò, che nel dialetto larinese – e credo in pochissimi altri del territorio molisano – entrambe le parole – grotta e ruota – vengono pronunciate con la o chiusa: grótte e róte; concordanza che, col tempo, potrebbe aver fatto confondere i due termini, fino alla sostituzione del primo col secondo, specialmente se posto in bocca a bambini.

 

 
 

 

     Ma potrebbe anche darsi – ed anzi questa parrebbe un’ipotesi più calzante – che la «róte»-grotta stesse ad indicare proprio lo Speco del Gargano, mentre «’u palazze» potrebbe conservare il suo riferimento all’edificio di Larino. In questa seconda ipotesi la canzoncina potrebbe avere una remota origine legata ai ricordi infantili dei pellegrinaggi dalla basilica micaelica di Larino alla Grotta del Gargano che abbiamo visto sono rintracciabili nei versi della cosiddetta Carrese di San Pardo , cui partecipavano anche fanciulli e ragazzi, che li rivisitavano adoperando espressioni che meglio suggestionavano la loro fantasia “gastronomica”.

 

 

Si tratta certamente di aspetti particolari legati al culto e alla devozione riservati all’Arcangelo, che c’inducono a pensare a quale poteva essere la meraviglia dei piccoli pellegrini al momento di addentrarsi all’interno di spazi da fiaba soltanto sognati, quali potevano apparire effettivamente sia la Grotta garganica sia la Basilica larinate, col Palazzo – ancora a inizi Ottocento descritto come imponente (G. e A. Magliano, op. cit., p. 75) – che la sovrastava.

 

 

 

Bibliografia:

 

C. du Fresne Du Cange, Glossarium madiæ et infimæ Latinitatis..., ed. L. Favre, VI, Niort 1886

A. Magliano, Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, Larino 1925, rist. anast. Larino 1986

G. e A. Magliano, Larino. Considerazioni storiche sulla Città di Larino, Campobasso 1895, rist. anast. Larino 2003

G. Mammarella, Larino sacra. La diocesi, la genesi della cattedrale, i SS. Martiri Larinesi, II, San Severo 2000

G. Mascia, Aspetti del culto popolare di San Michele Arcangelo nel Molise. Atti della giornata di studio su San Michele Arcangelo, Riccia 2000, pp. 17-43

J. Murray, A handbook for travellers in Southern Italy, London 18686

G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani…, Roma 1744, rist. Isernia 1989

G. Uggeri, Le stazioni postali romane nella terminologia tardo antica, in Mélanges Raymond Chevalier, Tours 1995, II, pp. 137-144

F. Ughelli, Italia sacra sive de Episcopis Italiæ…, X, Venetiis 1721, rist. anast. Sala Bolognese 1974

 



[1] La denominazione è riscontrabile negli antichi documenti di epoca longobarda, il wualdum sacri palatii, proprietà demaniale dei principi di Benevento fino a Radelchi I (839-851), concessa in perpetuo al suo tesoriere Toto nell’ottobre dell’840: «Radelchis de Wualdo & servis in finibus Larinensibus. In nomine Domini Dei Salvatoris nostri Jesu Christi – Concessimus nos vir gloriosissimus Radelchis Domini providentia Longobardorum gentis Princeps, per rogum Radelcharii dilecti filii nostri tibi Totoni thesaurario nostro filio Sindelperti, integrum Wualdum sacri nostri Palatii qui esse videtur in finibus Larinensibus cum servis ac ancillis in eodem loco residentibus, cum cespitibus omnibusque pertinentiis jam dictorum servorum; hi pertinent ex Gastaldato decimo quinto, & cuncta que ibidem in actu Larinense ex ipso quinto decimo Gastaldato pertinent; in ea videlicet ratione, ut amodo & deinceps per hoc nostrum roboreum præceptum prædicta omnia quæ superius leguntur, tu & hæredes tui integrum habere atq; possidere valeatis, & à nullo ex nostris Judicibus, id est, Comitibus, Gastaldis, vel à quibuscunque gentibus habeatis aliquam requisitionem, sed perpetuis temporibus possideatis» (F. Ughelli, Italia sacra sive de Episcopis Italiæ… , Venetiis 1721, rist. anast. Sala Bolognese 1974, X, col. 470). Il toponimo è riportato anche dalla letteratura odeporica anglosassone [J. Murray, A handbook for travellers in Southern Italy, London 18686, col. 373a: «The existing remains at Larino Vecchio, 1 m. N. of the modern town, on the summit of the hill of Monterone, consist of an amphitheatre, 2 temples, baths, of a building called il Palazzo (possibly the Curia)»].

     Una diversa etimologia del vocabolo palatium rimonta alla terminologia tardoantica della viabilità romana, per indicare mansiones con caratteristiche di particolare pregio (G. Uggeri, Le stazioni postali romane nella terminologia tardo antica, in Mélanges Raymond Chevalier, Tours 1995, II, pp. 137-144, in part. pp. 137-140). I glossari del Latino medievale ci ricordano ancora che col termine palatia si voleva denominare anche le abitazioni e gli ospizi eretti sui cimiteri (C. du Fresne Du Cange, Glossarium madiæ et infimæ Latinitatis..., ed. L. Favre, VI, Niort 1886, ad vocem, col. 106c). In questa ipotesi, si dovrebbe ritenere che il cimitero dell’antica Cattedrale, cui si rifanno alcune più tarde fonti, sia da mettere in relazione con un qualche insediamento monastico sorto nei pressi del nostro edificio (sulla Cattedrale: G. Mammarella, Larino sacra. La diocesi, la genesi della cattedrale, i SS. Martiri Larinesi, II, San Severo 2000, p. 46).

 

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