Lo stemma della Città di Larino

STEMMA DI LARINO

Fontana Nuova

(1879)

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a tradizione dice che lo stemma della Città deriva da uno dei suoi antichi nomi[1], Alarinum, menzionato nei documenti ufficiali dopo l’XI secolo. Di questo avviso è il Tria, che così si esprime in proposito:

 

Vogliono i Paesani,  che la  Città antica si appellasse Larino […]  e che

poi  colla  sua    distruzione,  edificatosi   il  nuovo Larino  non   molto

 
 

discosto dall’antico, prendesse l’appellazione di Alarino dalla forma, che tiene questa nuova Città, fatta in figura d’un Ala, e che per questa medesima ragione la Città faccia nel corpo delle sue Armi un’Ala[2]

 

e più oltre:

 

… pensano que’ Abitatori, che l’Università prendesse il corpo di sua impresa, o siano Armi, un Ala in campo oscuro, e vogliono, che per tal cagione, talvolta si appelli Alarino per Larino…[3]

 

È facilmente verificabile, però, che anche l’antico abitato aveva una siffatta forma (G. e A. Magliano, Larino, p. 17; A. Magliano, Brevi Cenni storici..., p. 7), del resto piuttosto comune a quelle città[4] che si estendevano sulla cresta di un colle ad andamento longitudinale. Il Magliano, difatti, commenta questa interpretazione oramai consolidatasi nel tempo con un laconico «sembra» (A. Magliano, op. cit., pp. 7-8, n. 2). Il Fraccacreta  sostiene appunto che l’abitato si svolgeva «come un’ala verso il Biferno… ond’è un’ala il suo stemma» ( Teatro Topografico Storico-Poetico della Capitanata, III, p. 225). Il Masciotta ritiene invece che non sia stata la forma dell’abitato ad aver dato vita all’emblema, quanto piuttosto l’onomatopeia “Ala-ri-num”, nome prevalso durante tutto il XIV secolo (Il Molise dalle origini ai nostri giorni, p. 12). Non ci dice, però, per quale motivo la città prese questa denominazione.

 

A parer mio, la questione può essere facilmente chiarita se si prenda in esame in che modo esordì il Tria:

 

Vogliono i Paesani… ; pensano que’ Abitatori…

 

In tutta franchezza, non credo che essi abbiano avuto voce in capitolo nel momento in cui si dovette scegliere l’emblema cittadino. A mio avviso, dunque, l’emblema della Città non può essere superficialmente catalogato tra i cosiddetti stemmi parlanti, vale a dire quelli in cui una figura richiama il nome della città stessa, come parrebbe essere, a prima vista, nel nostro caso.

 

 
 

 

Gli stemmi[5] fecero la loro comparsa nell’XI secolo, durante le Crociate, e servirono a  distinguere i combattenti in Terra Santa, di nazioni, etnie e lingue diverse, i quali adoperarono un ben specifico segno proprio per poter combattere sotto la stessa armatura. Passarono quindi ad essere usati in tutte le guerre e nei tornei. L’uso di sigilli contribuì a farli diffondere rapidamente anche  fra i non combattenti, per cui furono in un primo tempo adottati dalle donne, le quali prediligevano scudi a forma di losanga – «in armonia col sesso di cui difendevano l’onore» (G. Santi Mazzini, Araldica, p. 54) – adoperati per ricamarvi le loro armi. Più tardi, nel XIII secolo, furono adottati dagli ecclesiastici (specialmente vescovi), dai borghesi, dagli artigiani e infine, nel XIV secolo, dalle abbazie e dai contadini; infatti, contrariamente a quanto si pensi, essi non furono mai riservati alla nobiltà, quanto piuttosto estesi a tutte le classi sociali, specialmente a partire dall’età comunale.

 

    Il primo segno distintivo fu la croce, di colore diverso a seconda della nazionalità di chi l’aveva nel proprio stemma. In seguito i motivi si moltiplicarono, suggeriti da gesta, meriti particolari, vanti di famiglia ecc. Col tempo i segni distintivi divennero ereditari, fino ad essere adottati da stati, regioni, comuni e confraternite religiose. Solo più tardi venne posto un freno all’arbitrio nella ideazione e adozione degli stemmi, sicché solo il sovrano, il principe o il feudatario poteva concederlo. Sovrintendevano alla composizione degli stemmi gli araldi, che col tempo codificarono il significato di colori, simboli e figure, talvolta derivati dai cognomi. I Comuni medievali assunsero stemmi appena ebbero conseguito un certo grado di autonomia, una personalità giuridica e un assetto politico-amministrativo piuttosto definito. L’impiego degli stemmi si consolidò a partire dal XII secolo (sullAraldica più propriamente comunale cfr. G. Bascapè-M. Del Piazzo, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medievale e moderna, pp. 239 ss.).

 

 
 

 

Lo stemma della città di Larino lo si può definire in linguaggio araldico – blasonare, come si usa dire –, nel modo seguente [si parla di quello che sfilava, fono a qualche anno fa, nelle manifestazioni ufficiali, in dotazione al Corpo dei Vigili Urbani, raffigurato nellimmagine qui sopra, anche se un po scolorito dallusura del tempo]:

“d’azzurro, al semivolo sinistro abbassato d’argento, ornato di corona murale merlata alla guelfa, caricata di tre torri, il tutto d’oro”.

 

Vediamo di esplicitare meglio questo linguaggio un po’ astruso:

 

tipo: stemma di comunità simbolico (in quanto si rifà a particolari fatti storici o leggendari);

scudo: sagomato in campo pieno (di un solo colore);

colore: azzurro;

 

figura naturale: semivolo (una sola ala [fr. Demivol]) di sinistra (quando è di destra, non si indica),

.    abbassato (con l’estremità diretta verso la punta dello scudo);

metallo: argento;

 

ornamenti:

timbro: corona murale con merlatura alla guelfa, caricata – cioè comprensiva – di tre torri (ma tutta la corona ne ha cinque, di cui due non visibili);

metallo: oro.

 


 

 

    In altre versioni lo scudo è italiano  o ancile, cioè ellittico; l’ala è di destra e piegata (con le punte rivolte verso il fianco dello scudo); a volte la corona murale merlata alla guelfa ha cinque torri (otto in totale, di cui tre non visibili); altre ancora lo scudo è a cartoccio o a testa di cavallo, con due nastri come sostegni. Esiste ancora una versione, assai elaborata, adoperata tra il 1960 e il 1964 dal barone Giuseppe Orazio De Gennaro nella sua veste di Sindaco, in cui compaiono, come supporti allo scudo ancile, due angeli tenenti, con palme come contrassegni, sostenuti da un’impresa con motto S.P.Q.L. (Senatus PopulusQue Larinatium), inciso su un cornicione (N. Stelluti, Arma e colori nello Stemma di Larino, pp. 15-16).

 


 

 

Da menzionare pure il fatto che alcune descrizioni dello stemma ce lo riportano semplicemente – senza ricorrere alle astrusità dell’araldica – come «un Ala (sic) dritta in mezzo alle onde» (P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese..., p. 45)[6], che parrebbe corrispondere a quello raffigurato in un dipinto del pittore Francesco Antonio Borzillo (Napoli 1661/1663-Larino 1721), raffigurante la Madonna delle Grazie (1699)[7], esposto lungo la parete della navata destra della Cattedrale di San Pardo. Avremmo potuto dire che in questo caso l’ala è spiegata[8]; cioè con la punta indirizzata al capo dello scudo  –, ma qui essa appare semplicemente capovolta, tanto che il volo, vista la presenza del mare, dà l’impressione piuttosto di essere un’immersione, così da conferire alla raffigurazione un aspetto alquanto sinistro – sembrerebbe difatti un annegamento[9] vero e proprio della creatura alata –, tale da lasciare intendere una vera e propria mutazione di stemma, che in Araldica altro non vuol rappresentare se non una damnatio memoriæ, resa evidente da un cambiamento dello status quo ante[10]. Per di più la raffigurazione presa in esame cambia notevolmente la blasonatura anzidetta, vista la chiara presenza del mare mosso.

 

    Rileviamo che questa raffigurazione non conforme è tuttavia presente in diversi esemplari, tra cui uno recentemente rinvenuto, collocabile allepoca dei rifacimenti tardobarocchi allinterno della Cattedrale cittadina, effettuati su impulso del vescovo Tria, in cui lala appare immersa nellacqua addirittura per una buona metà.

 

 
 

 

   Esiste poi un terzo tipo di stemma civico, che Stelluti in un suo studio araldico definisce anomalo o incerto, in cui compare a volta unala sinistra spiegata, altra unala destra spiegata, con la punta verso il centro del capo dello scudo (N. Stelluti, art. cit., pp. 21-22).

 

 

 


Passiamo ora a interpretare il significato dei metalli e dei colori:

 

innanzi tutto lo scudo d’azzurro vuole rappresentare nella simbologia nascosta il «distacco dai valori mondani e dell’ascesa dell’anima verso Dio» (G. Santi Mazzini, op. cit., p. 69), mentre in Araldica si richiama al cielo, alla santità, al desiderio di elevazione e alla fede (G. Bascapè-M. Del Piazzo, op. cit., p. 184), ma anche alla più generica fedeltà, a castità, devozione e giustizia, nonché a bellezza, nobiltà, fortezza, vigilanza, vittoria, perseveranza, ricchezza, amor di patria, buon augurio, fama gloriosa (G. Santi Mazzini, op. cit., p. 69); unito all’argento – com’è in qualche modo la nostra ala – vuole indicare vittoria (ibid.). 


D’azzurro era il mantello di San Martino di Tours, che lo divise con un mendicante. L’episodio spinse Clodoveo, primo re franco convertito, a scegliere proprio l’azzurro per le proprie insegne, che divennero per questo motivo quelle dei Re di Francia, con l’aggiunta dei tre gigli d’oro (ibid.).

 

Abbiamo poi, come figura, un semivolo – cioè un’ala – d’argento. Questo metallo rappresenta la luce lunare, «fredda e pura come acqua cristallina» (ibid., p. 66). Sta a simboleggiare virtù quali la «purezza, l’innocenza, l’umiltà, la verità, la temperanza, la speranza, ed esprime clemenza, gentilezza, sincerità, concordia, vittoria, eloquenza» (ibid.). Simbolo di preziosità e virtù elette, spesso rappresentò il popolo, in contrapposizione al rosso della classe nobiliare (G. Bascapè-M. Del Piazzo, op. cit., p. 184).


L’oro è presente nella corona murale. Metallo «immune da ogni ossidazione, fu allegoria dell’onore, della virtù, del merito» (ibid.); esso vuole inoltre significare «la fede, la clemenza, la giustizia, la carità, la temperanza, nonché nobiltà, splendore, gloria, felicità, amore, ricchezza, liberalità, sapienza, costanza, dominio, sovranità, magnanimità» (G. Santi Mazzini, op. cit., p. 65). Ricordiamo che la corona muralis rappresenta ciò che è rimasto in Araldica delle corone onorifiche romane, date, in questo caso, come ricompense al valor militare, a chi avesse per primo scalato le mura di una città assediata (ibid., p. 469). Il loro uso è sopravvissuto appunto nell’Araldica civica. Tuttavia una corona sta sempre a significare che chi la porta «ha il capo cinto superiore e perfetto, perché compiuto» (ibid.).

 

 

 

 

Passando all’interpretazione della figura, cioè l’ala d’argento, senza il corpo del volatile, l’Araldica la considera come un segno di instabilità e di «confidenza nella divina protezione» (G. Di Crollalanza, Enciclopedia Araldico-Cavalleresca, pp. 533-534), soprattutto se spiegata. Nel nostro caso notiamo invece che l’ala è abbassata, vale a dire in posizione di riposo: chi la porta non si è ancora levato in volo, non ha ancora le sue ali ben spiegate; è in attesa, e pur tuttavia essa è sufficientemente distesa per dare protezione[11] e ne  possiamo apprezzare il disegno ben definito del piumaggio.

 

Il metallo dell’ala è l’argento, smalto non certo presente al naturale nei comuni volatili, cosicché viene facile pensare a qualche altra creatura che disponga di ali, che con queste rifletta la luce, ed anzi che le stesse ali siano fatte di luce. Appare automatico pensare a una creatura celeste, a un angelo di Dio, che distende la sua ala sulla Città e le concede la sua protezione. Con ciò, non si vuole sostenere che scientemente si sia voluto esplicitare, anche iconograficamente, questa protezione, ma piuttosto che la Provvidenza abbia indotto gli uomini a questa scelta.

 

Il significato dell’Angelo – rivestito di un corpo che non ha, spesso nell’atto di calpestare il drago satanico o Satana stesso – è fin troppo ovvio: l’«ardente amore per Dio» (G. Santi Mazzini, op. cit., p. 461). Ma questo non è esattamente il nostro caso, visto che dell’Angelo apparirebbe soltanto un’ala. Tuttavia è ben conosciuto il fatto che le ali spiegate, nell’Araldica più propriamente ecclesiastica, «sono generalmente l’attributo di San Michele Arcangelo» (G. Zamagni, Il valore del Simbolo. Stemmi, simboli, insegne e imprese degli Ordini religiosi, delle Congregazioni e degli altri Istituti di perfezione, p. 23). Ma qui, comparendovene una soltanto,  peraltro ancora abbassata, emerge chiaramente come sia necessaria in ogni caso l’altra ala[12] per consentire all’Arcangelo di librarsi in volo.

 

Significativa, mi pare, l’osservazione che due tra le più antiche raffigurazioni dell’emblema cittadino – 1523 e 1532 – siano presenti all’interno della Cattedrale, avvalorando una sua origine nell’ambito ecclesiastico, per cui trova ulteriore conferma la lettura proposta in riferimento all’Arcangelo Michele.

 

Accenniamo anche ai due angeli tenenti, i quali in Araldica sono tra i più nobili tra i supporti, al pari dei re (G. Santi Mazzini, op. cit., p. 514).

 

Il campo azzurro dello scudo, su un piano più figurativo, sta ad indicare la forte correlazione con gli elementi naturali, l’acqua e l’aria: una lucente ala d’argento, che si accinge a volare, a planare sul mare.

 
 

 

Queste descritte sono tutte peculiarità che rendono ancora più verosimile la mia lettura del significato recondito dell’emblema,  – che per me è qualcosa di molto più concreto, e che va oltre una valutazione tecnicamente araldica – come riferimento al culto micaelico e alla protezione[13] accordata alla città e alla Chiesa di Larino dall’Arcangelo Michele nonché all’antico pellegrinaggio dalla Città dei Martiri verso l’attuale golfo di Manfredonia – dal sangue all’acqua –; poiché dobbiamo ritenere che Dio non disdegni affatto di servirsi persino dell’Araldica per portare alla luce i suoi disegni. Chi crede sa difatti che ogni manifestazione umana è plasmata dallo Spirito, in previsione di imperscrutabili disegni del Creatore, che noi, più modestamente, ci accontenteremo di cogliere solo di riflesso. Rafforza questa mia idea proprio l’esemplare dello stemma con gli angeli e le palme, che compendia tutto il nostro discorso.

 

Ma l’ala, bisogna pur ricordarlo, è abbassata, è in attesa: non è ancora venuto il tempo di spiccare il volo.

 

Ora, in quel tempo …

 

O eccelso Capo degli Arcangeli e degli Angeli, per il tuo meraviglioso servizio in favore della salvezza del genere uma­no, ricevi da noi un canto di lode e di ringraziamento; e tu, ripie­no della forza di Dio, coprici con le tue ali da tutti i nemici visibili e invisibili, affinché al Signore da te glorificato e che ti glorifica, sempre cantiamo: «Alleluia!».[14]

 
 

Bibliografia:

 

G. Bascapè-M. Del Piazzo, Insegne e simboli. Araldica pubblica e privata medievale e moderna, Roma 1983, rist. Roma 1999

M.S. Calò Mariani, Due cattedrali del Molise Termoli e Larino, fotografie di M. Carrieri, Roma 1979

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F. Coarelli-A. La Regina, Abruzzo Molise, Guide archeologiche Laterza, Roma-Bari 19932, pp. 309-312

G. Colonna, Pallanum, una città dei Frentani, «Archeologia Classica» 7 (1955), pp. 164-178

Dante, Paradiso XVI

E. Dupré Theseider, Sugli stemmi delle città comunali italiane, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, Firenze 1966, pp. 311-348

E. De Felice, Larinum, Firenze 1994

E. De Felice, Larinum: spazio urbano e territorio. Evidenze archeologiche alla luce della Pro Cluentio, in Pro Cluentio, di Marco Tullio Cicerone. Atti del Convegno Nazionale, Larino 1997, pp. 141-146

G. di Crollalanza, Enciclopedia Araldico-Cavalleresca. Prontuario nobiliare, Bologna 1999

A. Faustoferri-V. Scarci, Monte Pallano, il territorio, l’insediamento, le mura, Soprintendenza per i beni archeologici dellAbruzzo, Chieti 2002

M. Fraccacreta, Teatro Topografico Storico-Poetico della Capitanata, e degli altri luoghi più memorabili, e limitrofi della Puglia…, III, Napoli 1834, rist. anast. Sala Bolognese 1976

M. Gioielli (ed.), Madonne, santi e pastori. Culti e feste lungo i tratturi del Molise, Campobasso 2000

Inno Akathistos a San Michele Arcangelo (dalla liturgia bizantina), guida 25.

A. Magliano, Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, Larino 1925, Larino 1986

G. Mammarella, Larino sacra. Cronotassi, iconografia ed araldica dell’Episcopato larinese, I, Campobasso 1993

G. Mammarella, Da vicino e da lontano. Sacro e profano nella ricostruzione di fatti emblematici della storia molisana e delle aree limitrofe, II, Campobasso 2009

G. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni. Il Circondario di Larino, IV, Cava dei Tirreni 1952, rist. Campobasso 1985

P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese raccolti in continuazione del Tria, Larino 1913, rist. anast. a cura del Lions Club di Larino, Larino 1987

G. Santi Mazzini, Araldica. Storia, linguaggio, simboli e significati dei blasoni e delle armi, Milano 2003

N. Stelluti, Arma e colori nello Stemma di Larino, «Il ponte» 18 (1991), pp. 15-23

G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani…, Roma 1744, rist. Isernia 1989

G. Villani, Cronica VI

A. Vitiello, La Cattedrale di Larino. Breve descrizione storico-architettonica e artistica, in Larino di maggio, Larino 2007, pp. 52-60

G. Zamagni, Il valore del Simbolo. Stemmi, simboli, insegne e imprese degli Ordini religiosi, delle Congregazioni e degli altri Istituti di Perfezione, Cesena 2003­

 

 

[1] Difatti, un’incisione apposta su una formella della porta bronzea della Cattedrale di Benevento, che elenca le diverse diocesi sue suffraganee, menziona la città frentana con la dizione “Alarino” (A. Magliano, Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, Larino 1925, rist. anast. Larino 1986, p. 38; Guida Città di Larino, Termoli 2001, pp. 11-12; l’immagine della formella è riprodotta in G. Mammarella, Larino sacra. Cronotassi, iconografia ed araldica dell’Episcopato larinese, I, Campobasso 1993, p. 75). Così il Tria: «Quanto ai nomi diversi, è certo, che appresso prescelti Scrittori de’ più antichi Larino in latino si appella Larinum, Populi Larinatum, Larinates: da altri poi, Arenula, Arena, Arino: inoltre, Alarino, Laurino, Lariano, Larnia, e non manca chi confonda Larino con Lirino» (Memorie Storiche Civili, ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino… , Roma 1744, rist. Isernia 1989, p. 118); difatti ancora oggi, in alcune parlate dei paesi limitrofi, tali antiche denominazioni sembrano trovare un’eco, come ad es. in quella di Guardialfiera, la quale volge al femminile il nome della città, denominandola «’a Rîn’», come a dire «la Rina»; da cui deriva che, per andarvi, si va «n’a Rîn’», ossia «nella Rina». Anche nella lingua croata, che si parla nel vicino paese di Acquaviva Collecroce, il nome della città frentana è declinato in un modo non dissimile: «Maja je još di su te (i)z Larina, / otvorita bačve, točita vina!» (Maggio è ancora da quelli di Larino, | aprite le botti, spillate il vino!).

[2] Ibid., p. 121.

[3]  Ibid., p. 247.

[4] La cinta muraria dell’antica città romana misurava circa 5 km e delimitava un’area di 90 ettari, di cui poco più di un terzo (336.000 m²) risulta, allo stato attuale delle conoscenze, effettivamente urbanizzata, ma comunque tale da farla primeggiare sugli altri centri frentani; il perimetro urbano, che richiama la figura di un’ala, era paragonabile, per forma e dimensione, a quello frentano di Pallanum [tra le od. Bomba e Tornareccio, prov. Chieti] {cfr. E. De Felice, Larinum, Firenze 1994, p. 43, n. 199; Id., Larinum: spazio urbano e territorio. Evidenze archeologiche alla luce della Pro Cluentio, in Pro Cluentio, di M. T. Cicerone. Atti del Convegno Nazionale, Larino 1997, p. 143; su Pallanum brevi notizie in F. Coarelli-A. La Regina, Abruzzo Molise, Guide archeologiche Laterza, Roma-Bari 19932, pp. 309-312; più addentro: G. Colonna, Pallanum, una città dei Frentani, «Archeologia Classica» 7 (1955), pp. 164-178; A. Faustoferri-V. Scarci, Monte Pallano, il territorio, l’insediamento, le mura, Chieti 2002}.

[5] Consultabili, per un’introduzione generale alla materia, i testi indicati in queste pagine.

[6] Il Magliano (Brevi Cenni cit., pp. 7-8, n. 2), parla di «un’ala dritta sulle onde del mare», che è cosa un po’ diversa, la quale a giudizio di alcuni stava a rappresentare «il mantenersi della vitalità cittadina nelle tempeste».

[7] La tela (cm 207 x 153) raffigura la Vergine con Bambino, incoronata da due angeli, mentre ai lati sono ritratti i SS martiri Lorenzo e Primiano (a sinistra) e Nicola di Bari e Antonio da Padova (a destra). Il dipinto svolse per quasi due secoli la funzione di pala nell’altare di S. Rocco, già dedicato alla Madonna delle Grazie – che era il secondo a destra, dopo quello di S. Pardo –, eretto molto probabilmente dopo la terribile pestilenza del 1656; esso era posto sotto il patronato del Comune che pagava un censo annuo, e venne «tolto or non sono molti anni» (A. Magliano, op. cit., p. 50), cioè nel 1837, dopo che la città aveva superata unaltra calamità, vale a dire il colera che imperversò in quell'anno, si ritenne grazie allintercessione del Santo di Montepllier, cui venne dedicato il nuovo altare, ornato di una bella statua dello scultore campobassano Paolo Saverio Di Zinno [1718-1781] (G. Mammarella, Da vicino e da lontano, II, Larino 2009, p. 143 e fig. di p. 146). L’emblema raffigurato nella tela è accompagnato da un cartiglio con l’iscrizione «Stefano Salvetti restaurò. Questo quadro fu fatto [...] sotto il governo di Francesco Sorella e Giovan Giacomo Coriolano» (M.S. Calò Mariani, Due cattedrali del Molise Termoli e Larino, Roma 1979, p. 88, 103, n. 281 bis); secondo il Mammarella, invece, liscrizione è leggermente diversa: «Questo quadro fece fare [...] Giuseppe Sorella - Franc. Ant. Borzillo che la dipinto e Gia(n) Gia(como) Coriolano [...]» (Da vicino e da lontano cit., II, p. 145; il disegno dello Stelluti (supra) avvalora questultima dicitura; per alcune brevi note su questa ed altre tele «radicalmente restaurate nell’ultimo Ottocento», cfr. A. Vitiello, La Cattedrale di Larino. Breve descrizione storico-architettonica e artistica, in., Larino di maggio, Larino 2007, p. 58). Il restauro del Salvetti – autore anche di un dipinto dei SS Martiri Larinesi (1906), copia di una dispersa tela più grande, attualmente custodito nella Sagrestia della Cattedrale, commissionato dal vescovo Giampaolo (1859-1888), fu portato a termine nel 1885 [nel 1895 secondo il Mammarella (Da vicino e da lontano cit., II, p. 143)]. Non è chiaro se anche lo stemma sia stato dipinto in epoca coeva all’iscrizione, vale a dire a restauro ultimato, e una verifica andrebbe fatta de visu – cosa ardua a compiersi per un normale visitatore, vista la posizione della tela ovvero consultando materiale d’archivio. Lo Stelluti asserisce che a dipingerlo fu il Borzillo [N. Stelluti, Arma e colori nello Stemma di Larino, «Il ponte» 18 (1991), pp. 19-20]. L’annotazione della Calò Mariani (p. 103, n. 281 bis) – «… è dipinto lo stemma di Larino accompagnato dall’iscrizione: “Stefano Salvetti…”» – parrebbe sottintendere che a dipingere lo stemma fu il restauratore. Il Tria, limitandosi a riportare che l’altare era «formato … con le arme della città» (G.A. Tria, op. cit., p. 305), nulla ci dice del dipinto. Assai significativo, in ogni caso, il fatto che un emblema non conforme, con l’ala capovolta, si mostri su una tela raffigurante la Madonna delle Grazie, proprio all’interno della Cattedrale cittadina, per di più dipinta da uno dei Borzillo, che tanta parte ebbe nelledificazione di una Cappella in onore di S. Michele, eretta accanto ad una loro residenza di campagna.

[8] Che si tratti di una raffigurazione non conforme fa fede l’antico bollo dell’Università o Comune (A. Magliano, op. cit., p. 8, n. 2).

[9] «Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. Ma la terra venne in soccorso alla donna: aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca» (Ap 12,15).

[10] E. Dupré Theseider, Sugli stemmi delle città comunali italiane, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, Firenze 1966, pp. 311-348, citato in G. Bascapè-M. Del Piazzo, op. cit., pp. 247-248. Si fa l’esempio della Firenze del 1251, che con la cacciata dei ghibellini arrivò a invertire i colori rosso e bianco dello scudo e dei gigli dell’emblema, così come ci riporta Giovanni Villani (Cronica VI,43): «quei del Primo popolo si mutarono l’arme del Comune di Firenze, e, dove anticamente si portava il campo rosso e ‘l giglio bianco, sì feciono per contrario il campo bianco e ‘l giglio rosso, e i ghibellini si ritennero la prima insegna». Più tardi lo stesso Dante (Par. XVI,153-154) ci descrive per di più l’uso di mettere capovolto il giglio bianco ghibellino sull’asta dello stendardo – caso, quindi, del tutto simile al nostro –, a motivo della faziosa damnatio: «non era ad asta mai posto a ritroso, | né per division fatto vermiglio». Il Magliano (Brevi Cenni cit., p. 8, n. 2) liquida sbrigativamente il capovolgimento dell’ala come «evidente errore».

[11] Non appaia fuori luogo questo riferimento: «Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio» (Sal 91,3s).

[12] In cosa consista l’altra ala, non sarà difficile comprenderlo.

[13] Diverse sono le città che hanno l’Arcangelo Michele come loro patrono, in Italia e in altri paesi europei: Jena, Andernach, Colmar, Caserta, Cuneo, Alghero, Albenga, Vasto, ecc; in Molise: Acquaviva Collecroce, Baranello, Campolieto, Monteroduni, Pesche, Ripalimosani, Sant’Angelo del Pesco, Sant’Elena Sannita [M. Gioielli (ed.), Madonne, santi e pastori. Culti e feste lungo i tratturi del Molise, Campobasso 2000, p. 28, n. 52]. Da un punto di vista formale, non lo è di Larino né della Diocesi; ma sarebbe assai singolare che l’Arcangelo si disinteressasse della Chiesa di Cristo che vive nella città in cui sorse il primo luogo di culto consacrato da mano umana, a lui intitolato, dopo la sua Apparizione sul monte Gargano. Tuttavia, in questo nostro caso più che unico, sarebbe l’Arcangelo stesso ad aver scelto una comunità cristiana da proteggere con le sue ali.

[14] Inno Akathistos a San Michele Arcangelo (dalla liturgia bizantina), guida 25.

 

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Commenti: 1
  • #1

    pinomiscione (mercoledì, 22 luglio 2015 20:00)



    Ringrazio il dr Napoleone Stelluti per avermi messo a disposizione un suo studio araldico sullo stemma di Larino.

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