Il primo processo nel Foro di Larinum


N.K. BODARESKI

Processo all'apostolo Paolo

(1875)

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na volta eseguito l’arresto a seguito di una formale inquisizione – il Proprio napoletano ci riporta difatti che i Martiri Larinesi furono «delati» (G.A. Tria, Memorie Storiche…, p. 750) –, il diritto penale romano prevedeva la permanenza in carcere soltanto come misura coercitiva in attesa del processo,  non  essendo  contemplata   la  reclu-
 
 

sione come pena; il giurista Domizio Ulpiano († 228 d.C.) a proposito riporta testualmente: «carcere enim ad continendos homines, non ad puniendos haberi debet» (Dig. XLVIII,19,8,9).

 

Difatti il debitore insolvente veniva tenuto recluso finché non si decidesse a saldare il debito, talvolta in un carcer privatus, il cui uso venne proibito, in favore delle carceri pubbliche, solo sul finire del IV secolo [Cod. Theod. IX,11,1 (an. 388); cfr Mt 18,28-30]. Ciò avveniva soprattutto nei primi tempi della Repubblica, epoca in cui era riconosciuto al creditore, generalmente persona più benestante, il diritto di tenere prigioniero, anche in ceppi, e di torturare colui che non avesse onorato i propri debiti.

 

 
 

 

Anche nel diritto penale romano era prevista qualcosa che assomigliava all’attuale libertà provvisoria o agli arresti domiciliari (custodia libera), in cui l’accusato era sottoposto al controllo di un magistrato o di un alto personaggio e poteva godere di una certa libertà o anche rimanere chiuso nella sua casa; si veda ad esempio la condizione in cui fu tenuto l’Apostolo Paolo durante la sua prima prigionia romana (56-58), in cui gli era consentito di ricevere visite e predicare il Vangelo (At 28,16.30; Fil 1,13) nonché di continuare ad esercitare il suo mestiere, che era quello di fabbricatore di tende per l’esercito (At 18,3); anche nel corso della seconda prigionia (63-64) godette di una certa libertà (2Tm 4,11.13).

 

 
 

 

Diverso è il caso in cui la custodia avveniva in un vero e proprio carcer – si parla in questo caso di publica custodia, custodia carceris o più semplicemente custodia –, come ad esempio il regime di semilibertà in cui vennero tenuti Perpetua e i suoi compagni, durante il quale poterono ricevere il Battesimo (Passio Perpetuæ et Felicitatis 3,1-5).

 

Nel caso dei cristiani, però, si tendeva a derogare alla regola generale dilatando i tempi di detenzione, al fine di fiaccare la resistenza dei reclusi ottenendone l’abiura ovvero il sacrificio agli idoli del culto legittimo.

 

Durante la persecuzione di Decio (autunno 249-marzo 251), abbiamo a Roma un certo numero di membri del clero tenuti in carcere per oltre un anno; in una lettera del vescovo Cipriano di Cartagine al prete romano Museo [Mosè], se ne dà ampiamente conto: «nemo hanc dilationis nostræ moram clementiam iudicet, quæ nobis officit, quæ impedimentum gloriæ facit, quæ cælum differt, quæ gloriosum Dei conspectum inhibet» (Epist. 31,5, nella raccolta di Cipriano); queste furono le parole di Museo in risposta al santo Vescovo africano. Il presbitero romano era stato arrestato, subito dopo la morte del papa Fabiano (20 gennaio 250), insieme ad altri chierici che, morto Decio, furono quasi tutti liberati, mentre egli era nel frattempo già deceduto per i tormenti patiti, dopo una detenzione durata 11 mesi e 11 giorni, così come attestato nel Catalogo Liberiano e dallo stesso vescovo di Cartagine (Epist. 27; 28; 31; 37).

 

 
 

 

Passando a ricostruire quello che potrebbe essere avvenuto nella città apula di Larinum a seguito degli editti dioclezianei, se prendiamo per buona l’ipotesi che i tre Martiri – o almeno il più noto Primiano – siano appartenuti al clero locale, in qualità di diaconi o presbiteri, dobbiamo ritenere che il loro arresto sia avvenuto già nel corso della primavera o dell’estate del 303, in conseguenza del II e III editto, che disponeva la reclusione di tutti gli ecclesiastici per obbligarli a sacrificare.

 

Dobbiamo ritenere che questa operazione sia stata certamente effettuata dall’autorità locale, che si sarà servita del distaccamento di polizia – composto da stratores, comandati da un ufficiale di grado superiore – presente nella città. In linea teorica, la detenzione dei cristiani della comunità cittadina era necessaria perché il governatore della provincia si recasse in città – espressamente o di passaggio che fosse – per espletare le ultime e decisive fasi del processo [Martyrium Lugdunensium (V),1,8; Passio Perpetuæ et Felicitatis 2,1; 6,1; Martyrium Pionii 2,3] ovvero che si risolvesse a dare effettiva applicazione agli edicta di persecuzione.
 

In questa circostanza (scil. i vicennalia di Diocleziano del 17 settembre 303) si concesse la tradizionale amnistia per i criminali comuni, ma restava ancora insoluto il problema del clero cristiano imprigionato. Con un terzo editto si ordinò di costringere costoro al sacrificio, dopo di che essi sarebbero stati liberati. […] Alla fine dunque le prigioni furono vuotate.[1]

 

La caratteristica della persecuzione dioclezianea fu proprio quella di aver riguardato, in un numero consistente, gli ecclesiastici. Non infrequente, negli acta, imbattersi in coraggiosi membri del clero che nel corso del processo dichiaravano apertamente la loro qualifica di diaconi o presbiteri, mentre amici e parenti pagani, pur di salvarli, sostenevano a viva voce il loro stato laicale (M. Sordi, I Cristiani e l’Impero Romano, p. 227). Abbiamo poi tutta una serie di chierici, o presunti tali, messi a morte perché si rifiutarono di consegnare le Sacre Scritture (A. Amore, I Martiri di Roma, p. 212, per il caso romano del chierico Timoteo, trucidato in seguito al III editto, quindi deposto sulla Via Ostiense, non lontano dalla basilica di San Paolo, forse a ricordo dell’omonimo e più famoso discepolo dell’Apostolo).

 

 
 

 

Il periodo di detenzione dei nostri Martiri potrebbe essere stato, quindi, relativamente lungo, abbracciando tutto l’autunno e l’inverno tra il 303 e il 304, fino all’epilogo della primavera seguente.

 

Dobbiamo in questo caso ritenere che l’arresto si protrasse parecchio, probabilmente per la circostanza che il corrector aveva posticipato la data del processo, forse perché intimamente contrario alla persecuzione, così come è documentato in alcuni acta a noi noti. Ci è pervenuto, ad esempio, il comportamento in un primo tempo temporeggiatore del proconsole d’Africa Anulino, ancora esitante nel 303 – a Cirta [od. Costantina, Algeria] le azioni furono difatti blande –, ma che si irrigidì l’anno seguente, mandando a morte alcuni cristiani arrestati durante una celebrazione liturgica ad Abitina [od. Chouhoud-el-Batin, Tunisia] e successivamente, in forza del IV editto della primavera, alcuni fedeli che non avevano voluto sacrificare agli dei (Passio Dativi, Saturnini presbyteri et aliorum); vd. anche la Passio – invero dubbia – di Filippo, vescovo di Eraclea [od. Ereğli, Turchia], nella quale il governatore, la cui mogli era cristiana, non aveva provveduto a dare seguito ai primi editti, per applicarli soltanto congiuntamente al IV del 304 (Th. Ruinart, Acta primorum Martyrum, pp. 440 ss.).

 

Della riluttanza dei governatori ci parla Tertulliano, a proposito di Cincio Severo, che a Thysdrus [od. El-Djem, Tunisia], durante un processo dava suggerimenti agli accusati cristiani, proprio per non costringerli a sacrificare (Ad Scap. 4,3). Abbiamo notizia del præfectus Ægypti – che pure era il crudele Clodio Culciano (Eus., Hist. eccl. IX,11,4) –, pronto ad accettare un sacrificio offerto «all’unico Signore», al posto di uno agli dei (Acta Phileæ [textus latinus]; testo greco Papyrus Chester Beatty XV,1,16; vd. anche Eus., De mart. Palæst. X,2.11).

 

Altrove succedeva che un governatore si vantasse di non aver mandato a morte alcun cristiano, essendo sufficiente la tortura per piegarne la resistenza, sicché il persecutore crudele risultava per paradosso il più misericordioso (Lact., Divin. Inst. V,2).

D’altronde ci è noto, per quel che attiene al processo contro Gesù di Nazareth, che il prefetto di Giudea Ponzio Pilato non trovava in lui «alcun motivo di condanna» (Lc 23,4), tanto che lo «voleva rimettere in libertà» (Lc 23,20), ma pressato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani lo condannò, dopo essersi lavato le mani in un catino d’acqua, come segno di una pretesa sua irresponsabilità (Mt 27,24); per contro, Tertulliano sosteneva che «Pilatus est ipse iam pro sua coscientia Christianus» (Apol. 21,24).

 

Peraltro nemmeno possiamo escludere che il corrector Apuliæ et Calabriæ, che in epoca dioclezianea aveva giurisdizione sulla città di Larinum, fosse impegnato nel disbrigo di altre questioni, da lui ritenute più urgenti.

 

 

Il IV editto dell’aprile 304, che obbligava al sacrificio pagano tutti i Cristiani senza eccezione, avrà avuto come conseguenza quella di vedere gran parte della comunità cristiana della città, quella che non era riuscita a fuggire o che non aveva abiurato all’istante, prendere la via del carcere – saranno occorse, immaginiamo, galere assai capienti –, in compagnia dei rappresentanti del clero locale.

  

 
 

 

  Tutta l’ipotesi ricostruttiva andrebbe ovviamente rimodulata se si valutasse diversamente lo status dei nostri tre Santi – considerandoli cioè semplici laici –, di modo che il loro arresto andrebbe collocato subito dopo l’emanazione del IV editto dell’aprile 304, e la condanna a morte sarebbe seguita a breve.

 

Laddove cedevano i vescovi, donne e fanciulle, giovani e ignoranti sopportarono i più atroci tormenti che mente maligna potesse concepire[2]. […] Il cristianesimo era la religione delle persone colte e il male più grande della lunga lotta fu che nella persecuzione dioclezianea la parte più colta della Chiesa fu in gran parte eliminata… il livello della cultura e della società finì in genere con l’abbassarsi.[3] 

 

  Ma – se laici – sorgerebbe spontanea una domanda: cosa ne è stato dei pur necessari capi della comunità cristiana? E perché i loro nomi non ci sono pervenuti? Avranno abiurato tutti? Appare automatico pensare alla più ovvia delle risposte: essi erano i nostri tre Santi, o almeno uno di loro – il più noto e in seguito anche il più venerato – rivestiva tale ruolo: Primiano.

 

 
 

 

 Il procedimento penale aveva inizio con un interrogatorio effettuato dal magistrato municipale, che però non aveva il potere di emettere sentenze, ma solo di preparare la fase istruttoria. Si dava in tal modo una base probatoria al processo vero e proprio, in cui il giudice avrebbe assunto anche la figura di pubblico accusatore.

 

Gli accusati venivano quindi inviati con un elogium, o rapporto informativo, ai governatori, i quali detenevano lo ius gladii ovvero il potere di comminare sentenze di morte.

 

Assai frequenti, negli acta, i casi simili: si veda ad esempio il caso di Policarpo di Smirne che, ricercato dai funzionari locali, a cui spettava l’arresto dei latrones (Dig. XLVIII,3,6), venne condotto davanti al proconsole d’Asia Stazio Quadrato (Martyrium Polycarpi 9,2). Così pure per i martiri di Scilli del 180 che, arrestati dalle autorità locali, furono mandati dal proconsole Saturnino, che risiedeva a Cartagine (Acta  martyrum Scilitanorum 1); come anche avvenne per quelli Thuburbitani del 203, i quali, arrestati nella loro città di Thuburbo minus, furono inviati sempre a Cartagine, che distava 50 chilometri, dove peraltro operava il procuratore Ilariano, in sostituzione del defunto proconsole Minucio Timiniano, il quale di certo aveva ricevuto un mandato speciale direttamente dall’Imperatore (Passio Perpetuæ et Felicitatis 2,1; 6,3). Stesso accadimento, nel marzo del 295, per il milite Massimiliano a Teveste [od. Tebessa, Algeria], ricadente nell’Africa proconsularis, sottoposta al proconsole di Cartagine (Acta Maximiliani 1,1). Analogamente, nel 250 a Smirne, il presbitero Pionio e i suoi compagni non potettero essere condannati dalle autorità cittadine – il νεωκόρος («guardiano del tempio») Polemone –, ma si dovette attendere l’arrivo del proconsole della provincia d’Asia Quintiliano, che risiedeva ad Efeso (Martyrium Pionii 10,4; 15,3; 19,1); stessa cosa per Carpo e compagni, appartenenti alla comunità di Pergamo, che per il loro giudizio attesero l’arrivo del proconsole d’Asia, recatosi in città per un conventus iuridicus (Martyrium Carpi 1).

 

 
 

 

 Secondo il diritto penale romano, il processo poteva essere pubblico, quindi aperto a tutti, o privato, vale a dire tenuto in un secretarium il cui accesso era di solito interdetto alla gente comune. Poteva capitare talvolta che le due abitudini coesistessero.

 

  La casistica è la più varia possibile: i martiri di Cartagine del 203 furono giudicati nel forum: «subito rapti sumus ut audiremur. Et pervenimus ad forum. Rumor statim per vicinas fori partes cucurrit, et factus est populus immensus» (Passio Perpetuæ et Felicitatis 6,1); idem Acta Maximiliani 1,1: «Teveste in foro inducto Fabio Victore una cum Maximiliano et admisso Pompeiano advocato»; i Martiri di Lione furono interrogati «sotto gli occhi dell’intera popolazione»: «ει̉ς τὴν α̉γορὰν ... ε̉ξουσιω̃ν ε̉πὶ παντὸς του̃ πλήθους α̉νακριθέντες» [Martyrium Lugdunensium (V),1,8]; il presbitero Pionio e i suoi compangi, martirizzati a Smirne sotto Decio, vennero interrogati dalle autorità cittadine nella piazza del mercatỏγορά] (Martyrium Pionii 3,4 ss.); idem At 16,19-23: «presero Paolo e Sila e li trascinarono nella piazza principalẻγορά] davanti ai capi della città (scil. di Filippi)»; il martire africano Montano e i suoi compagni furono giudicati, durante la persecuzione valerianea, nel prætorium: «ad prætorium Præsidis admoveri» (Passio Montani et Lucii 12); «Ingressus deinde prætorium» (ibid. 18) [nel secretarium in un altro punto della Passio: «Nam confessus Christum primo secretario, secundo publice, reclamante populo» (ibid. 21)]. Nel pretorio – residenza del procuratore all’interno della fortezza Antonia – si tenne anche il processo nei confronti di Gesù di Nazareth, per mano del governatore di Giudea Ponzio Pilato (Mt 27,27; Mc 15,16; Gv 18,28.33; 19,8). Qui la denominazione dell’edificio stava più che altro a indicare la residenza gerosolimitana del Procuratore romano, giacché egli stanziava ufficialmente a Cesarea Marittima [a ca. 40 chilometri a sud di Haifa, presso od. Binyamina].

 

 
provincia Apulia et Calabria al tempo di Diocleziano
Probabili cofini della "provincia Apulia et Calabria" al tempo della riforma amminisitrativa di Diocleziano (290-293 d.C.) [da Grelle-Volpe, La geografia amministrativa ed economica della Puglia tardoantica, Bari 1994; elaborazione P. Miscione]
 

 

Questa prima fase del procedimento sarà senz’altro da localizzare a Larino, città importante nell’ambito della nuova provincia dioclezianea, anche se pur sempre in posizione subalterna rispetto ad altre realtà urbane più consistenti e poste in posizione geografica più favorevole.

 

La riforma amministrativa dei Tetrarchi, che qualche autore ha significativamente definito come «terremoto amministrativo» e «svolta periodizzante» (A. Giardina, Le due Italie nella forma tarda dell’Impero, pp. 1-30), aveva sensibilmente limitato le antiche autonomie municipali, e in ogni distretto furono creati numerosi officia periferici dell’amministrazione imperiale, subordinando ad essi le istituzioni di autogoverno cittadine, sottoposte a continue interferenze e a capillari controlli, sicché gli amministratori cittadini divennero semplici collaboratori esterni (F. De Martino, Storia della costituzione romana, 52, pp. 496 ss.; A. Giardina, op. cit.; Id., La formazione dell’Italia provinciale, pp. 51-68).

 

  A rafforzare questa ipotesi starebbe pure la posizione estremamente eccentrica di Larinum nell’ambito del territorio della provincia Apulia et Calabria, posta com’era al suo limite settentrionale, quasi al confine con la provincia Campaniæ, talché sarebbe stato più disagevole per il corrector recarvisi apposta, a maggior ragione se consideriamo come caput provinciæ la città di Canusium, distante da Larinum circa 155 chilometri, o un’altra ancor più meridionale, come pure potrebbe essere (si propende tra Beneventum, Æclanum [od. Mirabella Eclano, Avellino], Venusia [od. Venosa, Potenza], Sipontum [presso od. Manfredonia, Foggia] e probabilmente anche Tarentum [od. Taranto], Brundisium [od. Brindisi] ovvero Herdonia [od. Ordona, Foggia]; F. Grelle-G. Volpe, La geografia amministrativa ed economica della Puglia tardoantica, pp. 28 ss.; G. Volpe, Contadini, pastori e mercanti nell’Apulia tardoantica, pp. 91 ss.).

 

Abbiamo notizia che a Larino, come in tutti i municipia, esisteva il tribunale, avente competenza sulle controversie locali (cfr. Cic., Cluent., passim; vd. anche p. 264, n. 22 della trad. it. L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, ed. G. Pugliese, Milano 1972).

 

   L’esistenza di prætoria all’interno delle città, a prescindere dalla sua funzione di sede del governatore provinciale, è assicurata dalle fonti: «domus vero et prætoria et balnea et insulare quantæ?» (Tert., De idolatr. VIII,4); «mittunt ad me in prætorio ipsi christiani [prætorium di Abthugni]» (Acta purgationis Felicis, in Optat. Milev., Opera, ed. C.  Ziwsa : CSEL XXVI, Appendix, p. 199).

  «Les prétoires n’étaient pas seulement les lieux où exerçaient leurs juridiction les gouverneurs provinciaux, mais aussi les édifices destinés à l’administration municipale» (Cl. Lepelley, Ubique res publica. Tertullien témoin méconnu de l’essor des cités africaines à l’époque sévérienne…, p. 417); del chiaro Autore anche Les cités de l’Afrique romaine au Bas-Empire, II, p. 268, n. 16, dove alle pp. 71-72 è menzionato il prætorium di Aradi [od. Bou Arada, Tunisia], che «plutôt qu’une maison destinée à la résidence du proconsul ou du légat dans la cité… était la salle où se tenaient les magistrats de la cité et où ils donnaient leurs audiences» (ma su quest’iscrizione c’è disparità di vedute, in quanto probabilmente si riferiva ad un prætorium del cursus publicus).

 

  D’altro canto non ci sono particolari difficoltà ad ammettere l’esistenza di strutture del cursus publicus per i personaggi di rango – e nelle provinciæ per i governatori –, all’interno delle città collegate dalle viæ dello stesso cursus [C. Corsi, Le strutture di servizio del cursus publicus in Italia, pp. 51, 59, 72 (prætoria e stazioni urbane)].

 

 
Larino area del Foro
L'area del Foro (giallo), orientata quasi esattamente al nord, con i principali assi stradali diversamente orientati [da Caliò-Lepone-Lippolis, Larinum: the development of the forum area, Portsmouth 2011; elaborazione P. Miscione]
 

 

Per lungo tempo si è ritenuto che il prætorium di Larino fosse da ubicare all’interno dell’isolato compreso tra gli slarghi attualmente denominati Largo Pretorio e Piazza dei Frentani (G.A. Tria, op. cit., pp. 146-147; A. Caraba, Delle antichità di Larino, p. 10; G. e A. Magliano, Larino, p. 75; A. Magliano, Brevi Cenni storici..., pp. 9, 19-20; D. Priori, La Frentania, I, p. 94).

 

Tuttavia, alcuni recenti scavi preliminari nel settore Nord-Est del Foro della città romana, identificato in località Piano della Torre, hanno gettato nuova luce sulla questione.

 

 
 

 

La ricerca archeologica, effettuata sin dall’estate 2007 da una équipe coordinata dal prof. Enzo Lippolis, all’epoca docente dell’Università “La Sapienza” di Roma, in sinergia con la Soprintendenza Archeologica del Molise, ha definitivamente chiarito l’esatta ubicazione dell’antico prætorium di Larinum, individuato nellarea del Foro della città antica (L.M. Caliò-A. Lepone-E. Lippolis, Larinum: the development of the forum area, pp. 77-111).

 

 
Planimetria Foro di Larinum
Larino, Piano della Torre: planimetria complessiva del settore est del Foro romano [da Caliò-Lepone-Lippolis, Larinum: the development of the forum area, Portsmouth 2011; elaborazione P. Miscione]
 

 

Questa vasta zona pianeggiante, dove prevalevano gli insediamenti a carattere commerciale e artigianale, divenne sempre più uno spazio per erigervi edifici di pubblica utilità, soprattutto in seguito alla cittadinanza romana concessa dopo la Guerra Sociale (90-89 a.C.); evidentemente questo fondamentale evento costrinse la comunità a conformarsi al sistema politico e amministrativo di Roma. Di questepoca è la delimitazione della piazza del Foro.


Lesteso quartiere pubblico, che occupava unarea di m 50 x 100, venne orientato in modo dissimile rispetto allinsediamento abitativo vero e proprio posto più a monte, i cui tre assi principali vi scendevano in direzione Nord-Ovest Sud-Est (ibid., pp. 94-96).

 

 
 

 

In un edificio «in opera mista di reticolato e laterizi», già «tradizionalmente interpretato come basilica», è stato riconosciuto uno «spazio rappresentativo gestito da un collegio», datato «tra gli ultimi decenni del I e la prima metà del II sec. d.C.»; mentre in una seconda fase, inquadrata alla metà del IV secolo d.C., «In seguito al terremoto del 346 d.C. l’edificio, fu ricostruito – probabilmente, stando a un’iscrizione[4] ivi rinvenuta, da Autonius Iustinianus, primo rector della provincia Samnii – e completamente modificato nell’aspetto, sia planimetrico che architettonico», con una «divisione interna in cinque navate», che «ridefinì l’estensione e la funzione della grande corte centrale», e con «la messa in opera di uno stilobate costruito con blocchi di calcare, reimpiegati da un originario monumento onorario di età augustea», così da renderlo idoneo alla nuova funzione, cioè quella della «gestione della giustizia e all’amministrazione territoriale»[5].

 

 
Planimetria del prætorium di Larinum
Planimetria complessiva del "prætorium" di Larinum e degli edifici limitrofi [da Caliò-Lepone-Lippolis, Larinum: the development of the forum area, Portsmouth 2011; elaborazione P. Miscione]
 

 

L’edificio sembra essere «sopravvissuto ben oltre la tarda antichità», per finire collassato tra il VII e lVIII secolo; lo spazio che occupava sembra essere stato usato come discarica di macerie e rifiuti organici, mentre ciò che ne rimaneva compresi i marmi policromi che lo rivestivano venne adoperato come cava di materiale da costruzione. Una piccola necropoli di tombe a fossa si formò tra le murature superstiti, sia contro la facciata originale delledificio sia tra i cumuli di detriti prodottisi dal crollo  (L.M. Caliò-A. Lepone-E. Lippolis, loc. cit., pp. 99, 106).

  

 
 

 

Si può quindi concludere che, alla metà del IV secolo, il prætorium della città era ubicato nell’area del Foro, e – cosa che più ci riguarda da vicino – una precedente localizzazione è assai verosimilmente da collocare in prossimità della stessa area, benché si ha motivo di credere che un precedente edificio con analoghe funzioni fosse di più modeste pretese. Rimane assodato che «the remains here do not seem to date back further than the end of the 3rd century B.C.» (L.M. Caliò-A. Lepone-E. Lippolis, loc. cit., pp. 93-94).

 

Ad ogni modo, si può escludere, con pressoché assoluta certezza, che tale edificio possa essere ravvisato nell’area compresa tra gli attuali Largo Pretorio e Piazza dei Frentani, così come vorrebbe la tradizione.

 
 
 

 

Possiamo dunque ritenere, con ogni probabilità, che all’interno dell’edificio del prætorium, individuato nell’area forense, sia senz’altro da collocare il giudizio preliminare dei membri della comunità cristiana di Larino

  

   D’altronde, a localizzare il processo ai Martiri Larinesi all’interno del Pretorio cittadino – identificato nell’area a lungo ritenuta tale –  era anche il vescovo La Rocca (1829-1845), come si evince dalla lapide da lui fatta murare all’interno della chiesa della Visitazione, ora declinata col titolo di Beata Maria Vergine delle Grazie (G. Mammarella, Da vicino e da lontano, II, p. 130).

 

È documentata negli acta la morte per tortura anche durante questa prima fase del procedimento penale (Acta sanctorum Trophimi, Sabbatii, Dorimedonis : AA.AA. Sept. VII = BHG2, p. 1853, la morte per tortura di Trofimo durante il primo processo in Antiochia di Pisidia [od. Yalvaç, Turchia]).

 

Ai fini della reclusione temporanea, va certamente collocato nella stessa area forense un ordinario carcer di dimensioni medio-piccole, sufficiente alla detenzione in periodi di normale attività repressiva.

 

Così infatti era prescritto dalla corretta prassi edilizia dettata da Vitruvio (De arch. V,2): «ærarium, carcer, curia foro sunt coniungenda, sed ita uti magnitudo symmetriæ eorum foro respondeant». È noto, ad esempio, che a Roma il Carcere Mamertino sorgeva lungo il Clivio Argentario, non distante dal tempio della Concordia e dagli altri pubblici edifici, quali l’Ærarium, la Curia ed i rostra, dove si amministrava la giustizia.

 

Questa prigione di normale servizio tuttavia, seppur occupata al completo, si sarà dimostrata del tutto insufficiente a contenere una quantità di persone perseguite per il loro credo cristiano in un momento di improvvisa e generalizzata persecuzione, talché per l’ubicazione di galere più capienti dobbiamo rivolgere l’attenzione ad un’altra zona della città romana.

 

 

 

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Th. Ruinart, Acta primorum martyrum sincera et selecta..., Parisiis 1689 (altre edd.: Amstelædami 17132, Amstelædami-Veronæ 17313, Amstelædami 18034; Amstelædami 18595, Parisiis 1859, Ratisbonæ 18593 [rist. 1ª ed. 1689])

M. Sordi, I Cristiani e l’Impero Romano, Milano 20042

Storia del Mondo Antico, edd. S.A. Cook-F.E. Adcock-M.P. Charlesworth-N.H. Baynes, IX. Evoluzione e declino dell’impero romano, Milano 1978, trad. it. [The Cambridge Ancient History, Cambridge University Press, London 1954-1961, XI. The Imperial Peace (X-XIX chapters); XII. The Imperial Crisis and Recovery]

Tertullianus, Ad Scapulam 4,  ed. V. Bulhart : CSEL LXXVI

Tertullianus, Apologeticum 21 : PL I

Tertullianus, De idolatria VIII : CCL II

G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani..., Roma 1744, rist. Isernia 1989

Vitruvius,  De architectura V

G. Volpe, Contadini, pastori e mercanti nell’Apulia tardoantica, Bari 1996

 

 



[1]  Storia del Mondo Antico, edd. S.A. Cook-F.E. Adcock-M.P. Charlesworth-N.H. Baynes, IX: Evoluzione e declino dell’impero romano, Milano 1978, pp. 729-730.

[2]  Storia del Mondo Antico cit., IX, p. 732.

[3]  W.M. Ramsay, Pauline and other Studies, London 1906, p. 115, citato in ibid., IX, p. 736, n. 1.

[4]  L’iscrizione con la dedica onoraria fu rinvenuta nella navata centrale dell’edificio, lungo lo stilobate superstite (vd. nota seguente; vd. anche E. De Felice, Larinum, Firenze 1994, p. 44, n. 201).

[5] Traggo queste notizie, messe tra virgolette e in corsivo, dal “Sommario” della rivista «Fasti Online» – che dal 2003 sostituisce i vecchi «Fasti Archæologici», pubblicati dall’Associazione Internazionale di Archeologia Classica (AIAC) sin dal 1946 – redatto dall’autore degli scavi archeologici, il prof. Lippolis, integrato da altre notizie più recenti dei ricercatori A. Lepone e L.M. Caliò.

 

 

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