I cognomina:

Primianus, Firmianus, Castus

STELE DI PRIMIANO

Mazarelas [Galicia, Spagna]

(350 d.C. ca)

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  obbiamo ritenere, come appare piuttosto chiaramente, che i tre nomi – Primiano, Firmiano e Casto – siano dei cognomina singula, visto che nel III-IV secolo già era andato scemando l’uso dei tria nomina come pure quello dei duo nomina, poiché era venuta meno la loro funzione distintiva individuale, anche in conseguenza della cittadinanza romana estesa ormai a tutti i cittadini dell’Impero (la constitutio Antoniniana – il c.d. editto di Caracalla – è del 212 d.C.).  
 

     Ne risultò che il cognomen, nel frattempo divenuto ereditario, fu l’unico sempre usato; Firmiano era, ad esempio, il cognomen del coevo apologista cristiano Lattanzio (250-325 ca.): Lucius Cæcilius Firmianus Lactantius. Ricordiamo inoltre il celebre primate donatista Primianus, vescovo di Cartagine dal 393, poi deposto e a lungo in conflitto col suo diacono Massimiano, che per un certo periodo lo sostituì nella carica.

 

    Lepigrafia e gli studi prosopografici ci riportano poi i casi di Marcus Ulpius Primianus, præfectus Ægypti nel terzo anno del regno di Severo (dall11 aprile 195 al 25 febbraio 196) [CIL VIII,9045] nonché quello, assai poco encomiabile, di Ti. Jiulius Euenus Primianus, prima servo e poi factotum dell’imperatore Tiberio, da questi incaricato di organizzare orge e baccanali, rimasto famoso per l’accuratezza che impiegava in tale poco onorevole mansione.

  

   Per finire, ricordiamo la stele funeraria pagana rinvenuta in Galizia, che menziona un certo Primiano Vitales (al dativo), che così recita:

 

d(ism(anibus) s(acrum) / primiano / vitales (sic) an(norum) / lxxvv tetulu(m) (sic) filio [s]u[o] feci(t) / ... [1]

 

 
 

 

   Primianus deriva dal cognomen Primus , che in origine stava ad indicare lordine di nascita, così come Priscianus deriva da Priscus (R. Cagnat, Cours d'Épigraphie Latine, p. 67). Quel che si può dire, vista la estrema varietà circa il modo di trasmettere i cognomina da un membro ad un altro allinterno di una famiglia, è che certamente il nostro Primianus avrà avuto un padre, un nonno o un bisavolo il cui cognomen era Primus ovvero una madre che si chiamava Prima. Considerate le consuetudini e le regole piuttosto variabili, è più probabile che il nostro Primianus non sia stato il primogenito, che in quel caso avrebbe dovuto prendere il cognomen di Primus, quanto piuttosto il secondo o terzogenito (ibid., pp. 66-70).

 

   Stesse regole valgono per i nomi degli altri due Martiri: Firmianus e Castus, anche se per questultimo le cose si complicano alquanto.

 

   Secondo Kajanto, il cognomen Primianus appare nel Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL) riferito a ben 48 soggetti, una sola volta a un individuo di sesso femminile (Primiana) [CIL VIII, Afr. Lat.]. In ambito cristiano abbiamo, in questa raccolta epigrafica, 6 persone che portano questo nome (I. Kajanto, The Latin Cognomina, p. 291).

   

 
 

 

   Chiarito che i nomi dei tre Martiri a noi pervenuti sono dei cognomina, possiamo affermare che non si hanno elementi sufficienti per sostenere che essi si riferiscano a persone appartenenti alla stessa famiglia, ed anzi parrebbe il contrario. Rileviamo, tuttavia, che la tradizione della loro fratellanza carnale, consolidatasi – a torto o a ragione – nel corso dei secoli, è rilevata dagli storici seriori, quali il Pollidoro, che definisce i tre Martiri «fratres germani» (Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi…, p. 53).

 

Si potrebbe ritenere, credo con un qualche fondamento, che il rapporto di fratellanza fra i tre sia stato creato in epoca successiva, così da legare le biografie di personaggi che in vita non avevano avuto stretti rapporti e forse erano anche di provenienza diversa, ma che avevano trovato sepoltura nello stesso luogo. Del resto la scienza agiografica ci relaziona del fatto che poteva capitare, nel caso di deposizioni di reliquie in uno stesso luogo, che formassero «dei gruppi artificiali, nei quali si trovavano messi insieme molti santi, che non – avevano – avuto mai fra loro altre relazioni» (H. Delehaye, Le leggende agiografiche, p. 376).

 

Nemmeno il comune dies natalis – almeno per Primiano e Firmiano – o la comune sepoltura possono essere ritenuti, in definitiva, elementi a favore del legame di sangue tra i tre Santi. Difatti sappiamo che altrove ciò non è vero: citiamo soltanto il caso romano di Fabiano e Sebastiano nel cimitero ad catacumbas sulla Via Appia, entrambi ricordati il 20 gennaio, che non erano affatto fratelli (A. Amore, I Martiri di Roma, p. 47; ivi altri casi riportati).

 

D’altronde neanche si può dire con certezza che il dies natalis dei nostri Primiano e Firmiano sia da individuare nel 15 maggio per entrambi, essendo anche qui notorio che poteva accadere che esso finisse per accomunare martiri deposti nello stesso cimitero, come ad esempio ancora a Roma il caso dei martiri Gordiano ed Epimaco, entrambi festeggiati il 9 e 10 maggio, deposti nel cimitero sulla Via Latina a loro intitolato (ibid., p. 121).

 

 
 

 

     La presunta fratellanza carnale rientrerebbe in quella sterminata casistica di generi letterari che l’agiografia definisce col nome di “leggende cicliche” in cui, intorno ad un personaggio principale – che nel nostro caso sarebbe chiaramente Primiano, quasi sicuramente larinate, e in seguito il più venerato –, ne vengono aggregati altri, fra i quali l’agiografo intreccia rapporti di parentela o di vicinanza (V. Saxer, Santi e culto dei santi nei martirologi, pp. 71 ss.).

 

 Le stesse modalità del martirio di Casto, posticipato secondo la tradizione di un giorno potrebbero, in una seconda ipotesi, stare a significare l’eco agiografica dell’assimilazione successiva di una figura estranea al contesto larinate, che la pietà popolare avrebbe però a mano a mano ricondotto alle vicende storiche legate a Primiano e Firmiano. Un San Casto d’Apulia è ricordato difatti dal Martirologio Gerolimiano, probabilmente di origine africana (Mart. Hier. Codd. B, E, W, D; F. Lanzoni, Le Diocesi d’Italia…, p. 267).

 

    Pertanto si potrebbe congetturare che le sue spoglie, così come capitò altrove in Apulia e in altre località, vi siano state portate a seguito della diaspora dei cristiani d’Africa, occupata dai Vandali ariani nel V secolo, che molte influenze avrebbe apportato al nascente culto martiriale della provincia (G. Schiraldi, La diocesi di Lucera, p. 256; F. Lanzoni, op. cit., II, pp. 1093-1103).

 

 

 

 

Un caso che potrebbe essere analogo al nostro ci viene presentato nella Catacomba di Panfilo sulla Via Salaria vetus a Roma, dove le reliquie dell’omonimo martire, giuntevi dall’Africa agli inizi del V secolo, vennero deposte in una nicchia ricavata di un altare a blocco [E. Josi, Il cimitero di Panfilo, RAC 1 (1924), pp. 42-53].

 

   Si veda anche la vicenda delle reliquie del martire Epimaco, identificato col martire africano giustiziato sotto Decio (Eus., Hist. eccl. VI,41), le quali, secondo alcune tarde fonti, dalla originaria Alessandria d’Egitto sarebbero state deposte nel cimitero romano sulla Via Latina, intitolato anche al martire Gordiano (A. Amore, op. cit., p. 122). Controverso invece il caso di Ottato, vescovo di Vesceræ [od. Biskra, Algeria], i cui resti mortali, stando al De Rossi, furono deposte il 27 novembre di un anno imprecisato, ma comunque intorno al 440, nella “Cripta dei Papi” del cimitero di Callisto sulla Via Appia, provenienti dall’Africa, dove il presule sarebbe morto (La Roma sotterranea cristiana descritta ed illustrata, II, Roma 1867, pp. 221-225); il padre Amore sostiene invece che in realtà Ottato morì a Roma, scacciato o fuggito in seguito all’invasione vandalica dell’Africa (op. cit., p. 178).

 


 

 

L’azione anticattolica nelle province africane, già iniziata sotto Genserico (428-477), venne inasprita in modo più fanaticamente aggressivo dal re Unerico (477-484), con massacri, confische di beni ecclesiastici e deportazioni di massa (Vict. Vit., Historia persecutionis Africanæ provinciæ; Ch. Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955).

 

Le reliquie di San Casto potrebbero essere state quindi deposte, a cura di quei nuovi cittadini fuggiaschi, nella basilica cimiteriale dedicata ai Santi Primiano e Firmiano – che dobbiamo presumere edificata da non molti anni, ma le cui tombe erano venerate da oltre un secolo – e pertanto ad esse assimilate e unite, in un loculo attiguo.

 

La lapide comune, forse di poco successiva a questa sistemazione, che ricorda il loro martirio sotto Diocleziano, parrebbe non escludere che anche Casto sia stato fra le vittime africane di quella persecuzione; tuttavia il Delehaye assicura che egli in verità patì il martirio sotto Settimio Severo (Les origines du culte des martyrs, p. 431 e nn. 4 e 5; sul martire: Cypr., De lapsis 13,21-28 : CSEL III/2, pp. 246-247; Aug., Serm. 285 : PL XXXVIII, coll. 1293-1297).

 

 
 

 

Verrebbe meglio spiegato in ogni caso, proprio partendo da questo presupposto, il mancato trafugamento delle sue reliquie nell’842, che non ebbe luogo proprio perché deposte in posizione forse difficilmente accessibile (in un loculo catacombale?) ovvero perché del suo più tardo culto poco si sapeva nelle città limitrofe. A rafforzare questa ipotetica ricostruzione è anche la considerazione che in nessuna delle due Vite di San Pardo (X-XIII secolo) è mai menzionato un martire di nome Casto, ed anzi in entrambe si parla esplicitamente di abitanti di Lesina che «tulerunt duo Corpora SS. Primiani, & Firmiani ibi quiescientium» (Vita brevior 3; Vita prolixior IX), mentre, al contrario, mai è detto qualcosa del tipo: «ma non trovarono le reliquie di San Casto, che quindi rimasero a Larino»; sicché dovremmo presumere che egli non fosse noto ai due compilatori ovvero del tutto irrilevante, la sua figura, nell’economia del racconto agiografico.

 

Tutto ciò ci porterebbe a giustificare anche la mancata indicazione del dies natalis sulla loro lapide, proprio perché sconosciuto quello relativo a Casto. Resterebbe tuttavia intatta, in questa ipotetica ricostruzione, tutta la valenza cultuale della tradizione, che nei secoli successivi avrebbe comunque supplito dove la storia si era arresa.

 

   La ricostruzione presentata rende possibile un aggancio anche alla tradizione triventina di San Casto, ritenuto – credo senza alcun fondamento serio – evangelizzatore di quel territorio, nonché con quella della località di Acquaviva, presso San Vincenzo al Volturno (S. Moffa, art. cit., pp. 106-107). In pratica, si potrebbe trattare di una coeva o successiva ripartizione di reliquie africane fra le tre diverse comunità che venerano un omonimo martire.

 

 

 

 

Tornando allonomastica cristiana, si riportano di seguito alcune genuine considerazioni sui nomi dei Santi Martiri Larinesi fatte da un uomo di Chiesa, anche se esse appaiono dettate da un impeto chiaramente generato dal sentimento religioso, più che da valutazioni tecniche:

 

I loro nomi di origine latina hanno un chiaro significato: Primiano, il primo di una serie, il figlio primogenito, atteso e desiderato;  Firmiano, indica fermezza, stabilità, dirittura e Casto contrassegna l’illibatezza dell’animo lontano da sollecitudini malvage. Non figurano da soli, ma in compagnia e formano per virtù d’amore a Cristo un’unità di famiglia e di martirio come viventi simboli della fraternità fra cristiani, il cui legame di sangue ribadisce il legame spirituale tra gli uomini, una delle fondamentali caratteristiche del messaggio evangelico in quanto tutti figli di un unico medesimo Padre.[2]

 

   Quella proposta da monsignor Moffa mi pare una visione fin troppo romantica, visto che spesso i cristiani portavano nomi profani – il fratello maggiore di Sant’Ambrogio, ad esempio, si chiamava Satirus –, di origine mitologicaHermes, Hercules, Eros, Aphrodisia –; ancora nel 533 abbiamo Mercurius che, divenuto vescovo di Roma, mutò il proprio nome in Ioannes II, primo della serie a farlo. Abbiamo devoti cristiani che portano nomi di animaliUrsus, Formicula, Leopardus – e addirittura di umiliazioneAsellus, Onager, Pannosus, cioè “Straccione” – o ancor peggio vituperevoliLascivus, Calumniosus, Luxuriosus, Stercorius –. Solo in Africa abbiamo una certa prevalenza di nomi a carattere religioso: Quodvultdeus, Habetdeus, Deogratias.

 

Più tecnico di quello del Moffa è il giudizio di un addetto ai lavori:

 

Luso comune e prevalente di un solo nome nelle iscrizioni cristiane potrebbe far pensare allesistenza di unonomastica cristiana fin dalle origini. Ciò non è vero o lo è soltanto in minima parte. Almeno fino al IV secolo non si può sostenere che si fosse formata unonomastica propria di cristiani, tuttavia vi sono elementi per supporre che talvolta si soleva dare al battezzato un nome cristiano, che il neofita assumeva poi come vero nome.[3]

 

    Un esempio per tutti: «Nomine paterno Balsamus dicor, spirituali vero nomine, quod in baptismo accepi, Petrus dicor» [Acta Balsami 1 (datati al 311); sull’onomastica cristiana vd. anche L. Hertling-E. Kirschbaum, Le catacombe romane e i loro martiri, pp. 187-188; A. Ferrua, I nomi degli antichi cristiani, pp. 492-498; V. Fiocchi Nicolai-F. Bisconti-D. Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma, pp. 155-159].

 

 

 

Bibliografia:

 

A. Amore, I Martiri di Roma, Roma 1975

Augustinus,  Sermones, 285 : PL XXXVIII

R. Cagnat, Cours d'Épigraphie Latine, Paris 19144

Ch. Courtois, Les Vandales et lAfrique, Paris 1955

Cyprianus, De lapsis 13, ed. G. Hartel : CSEL III/1

H. Delehaye, Le leggende agiografiche, Firenze 1910, rist. Sala Bolognese 1983, trad. it [Les légendes hagiographiques, Bruxelles 19684]

H. Delehaye,  Les origines du culte des martyrs, Bruxelles 1912

G.B. De Rossi, La Roma sotterranea cristiana descritta ed illustrata, II, Roma 1867

Eusebius Cæsariensis,  Historia ecclesiastica VI : PG XX

V. Fiocchi Nicolai-F. Bisconti-D. Mazzoleni, Le catacombe cristiane di Roma. Origini, sviluppo, apparati decorativi, documentazione epigrafica, Regensburg 20022

L. Hertling-E. Kirschbaum, Le catacombe romane e i loro martiri, Roma 1949, rist. anast. Roma 1996, trad. it. [Die römischen katacomben und ihre Martyrer, Wien 1950]

E. Josi, Il cimitero di Panfilo, in «Rivista di Archeologia Cristiana» 1 (1924), pp. 15-119

I. Kajanto, The Latin Cognomina, Helsinki 1965

F. Lanzoni, Le Diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604). Studio critico, 2 tt., Faenza 19272, rist. anast. Modena 1980

Martyrologium Hieronymianum (ed. diplomatica) : AA.SS. Nov. II/1, edd. G.B. De Rossi-L. Duchesne, pp. 1-195, Bruxellis 1894, rist. Bruxellis 1987; (ed. critica con commentario perpetuo) : AA.SS. Nov. II/2, edd. H. Quentin-H. Delehaye, Bruxelles 1931

S. Moffa, Martiri del Molise delle primitive comunità cristiane, in «Almanacco del Molise 1989», II, pp. 105-114

Prolixior Vita S. Pardi Episcopi. Auctore Radoyno Levita Ecclesiæ Larinen. (Codice ms. di Bovino) : AA.SS. Mai VI, pp. 371-373; G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis…, Romæ 1741, pp. 6-18; G.A. Tria, Memorie Storiche Civili, ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani…, Roma 1744, rist. Isernia 1989, pp. 753-758 (pp. 634-638 dell’ed. del 1744)

PIR1Prosopographia Imperii Romani, sæc. I.II.III, edd. E. Kebbs-H. Dessau-P.V. Rohden, II, Berolini 1897-1898

G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis, Commentario, et Animadversionibus Criticis..., Romæ 1741

V. Saxer, Santi e culto dei santi nei martirologi, Spoleto 2001

G. Schiraldi, La diocesi di Lucera: genesi ed evoluzione della presenza cristiana, in «La Capitanata» 20 (2006), pp. 253-266

P. Testini, Archeologia Cristiana, Bari 19802

Victor Vitensis, Historia persecutionis Africanæ provinciæ, in S. Costanza (ed.), Vittore di Vita. Storia della persecuzione vandalica in Africa, Roma 1981

Vita Brevior S. Pardi Episcopi et Confessoris. Auctore Anonymo (Cod. Vat. Lat. n. 5834, fol. 132) : G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis…, Romæ 1741, pp. 1-5; G.A. Tria, Memorie Storiche Civili, ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani…, Roma 1744, rist. Isernia 1989, pp. 751-753 (pp. 632-633 dell’ed. del 1744)

 

 

  ________________________

   [1] [Consacrato agli dei Mani, Primiano Vitale, di anni 75, dedicò questa iscrizione a suo figlio].

  [2]  S. Moffa, Martiri del Molise delle primitive comunità cristiane, in «Almanacco del Molise 1989», II, p. 112. 

   [3]  P. Testini, Archeologia Cristiana, Bari 19802, p. 369.

 

 

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