Le Idi di Maggio dell’anno 304

L. ALMA-TADEMA

Primavera

(1894)

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Martiales quidam Larini appellabantur, ministri publici Martis atque ei deo veteribus institutis religionibusque Larinatium consecrati. Quorum cum satis magnus numeros esset, cumque item ut in Sicilia permulti Venerii sunt, sic illi Larini in Martis familia numerarentur, repente.[1]

 
  uesto ci dice Cicerone riguardo alla principale festività pagana della Larinum del I secolo a.C.. Il grande oratore ci riporta che questi Martiales erano schiavi consacrati a quel dio – ma possiamo ritenere che in realtà fungessero da schiavi dell’intera comunità –, cui un controverso processo tenutosi a Roma intorno all’82 a.C., voleva concedere la cittadinanza romana in funzione  del primo  censimento  (census)  del   munici-
 
 

pium, tenutosi nell’86-85 a.C., così come previsto dalla lex Plautia Papiria dell’89 a.C., con cui si era concluso il bellum sociale (Cic., Cluent. 15,43-44). La controversia, che vide contrapposti Aulo Cluenzio Abito, a nome e per conto del municipium, e Stazio Abbio Oppianico – fautore della loro libertà (adsertor libertatis), probabilmente per ragioni meno nobili di quanto potrebbe sembrare –, si sarebbe conclusa, tra tentativi di avvelenamento incrociati, con la morte per veleno di quest’ultimo (72 a.C.).

 

   Di come andarono le cose in quel processo poco sappiamo, ma è assai verosimile, da quel che lascia trasparire Cicerone, che la cittadinanza romana rimase ancora a lungo un obiettivo remoto. Quel che è certo è che quei pubblici servitori dell’idolo pagano avrebbero prestato i loro servigi per molto tempo ancora e continuativamente fino all’epoca in cui vissero nella città di Larinum Primiano e i suoi “fratelli” di fede, negli anni a cavallo tra la fine del III e l’inizio del IV secolo (sulla vicenda Ph. Moreau, I Martiales di Larinum e le difficoltà d’integrazione nella città romana, in Pro Cluentio, di Marco Tullio Cicerone, pp. 129-140).

 
 
 

   

   Ebbene, possiamo pensare che i responsabili della comunità cristiana della città si siano posti il gravoso compito di portare la Buona Novella anche tra coloro i quali si erano consacrati al dio della guerra, ed anzi possiamo dare per altamente probabile che proprio al successo dell’evangelizzazione di almeno qualcuno di questi soggetti sia stato legato il buon esito o il completo fallimento della penetrazione del credo cristiano in tutti gli strati della società cittadina.

 

Tuttavia, quel che non  venne consentito ad Oppianico dai maggiorenti della Larinum del I sec. a.C., relativamente al loro status giuridico di liberi cittadini, con la conseguenza che questi trovò la morte, men che meno sarebbe stato concesso riguardo al loro status “spirituale” di rinnegatori di una credenza, falsa eppure quella ufficiale dello Stato; tanto che possiamo pensare che un’uguale sorte sarebbe stata riservata a chi avesse avuto l’ardire di portare il messaggio cristiano tra i servi consacrati al dio Marte, che all’epoca dell’Arpinate erano «magnus numeros», al fine di liberarli dalla soggezione a un falso nume.

 

Da quel che ci dice Cicerone, possiamo ritenere che questa comunità rappresentava una sorta di “proprietà divina”: «res sacræ sunt quæ diis superis consecratæ sunt» (Gaius, Institutes 2,4).

 

Delle loro pratiche ci riferisce il Magliano, rifacendosi a quel che avveniva a Roma nel caso dei sacerdoti Salii che, in numero di dodici, prestavano servizio allo stesso dio:

 

Detti sacerdoti avean costume di cantare sulle prime un’antica canzone, detta saliace carmen, e dopo le cerimonie un gran festino avea luogo tra loro, onde saliaces epulæ e saliaces dape, passaron in proverbio di un lauto pranzo.

Avevano un lor capo præsul detto, o magister saliorum, che nelle funzioni precedeva tutti gli altri, ed incominciava la danza: tutti i suoi passi ed attitudini imitavano gli altri. Collegium saliorum dicevasi il corpo intiero.
      […]

Gli offrivano in sacrificio il verro, l’ariete, il toro e gli eran sacri la gramigna, il gallo e l’avvoltoio.[2]

 

Sulla scia del Tria (Memorie Storiche…, p. 168), il Magliano arriva addirittura a ipotizzare sacrifici umani offerti al dio della guerra:

 

In Larino però abbiamo ragione di temere che i sacrifizi fossero più barbari, e che a quel Nume più volte si sacrificassero fanciulletti nati nell’anno, come più volte fu seguito nei prossimi Abruzzi.[3]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 [2] Magliano 1895, pp. 50-51.


 

 

Alla luce di queste barbare usanze, che certamente nei secoli a venire si sarebbero indebolite alquanto, possiamo ritenere quale fosse la premura dei responsabili della comunità cristiana di Larino nel portare il credo cristiano tra le loro fila. Possiamo presumere che almeno qualcuno di quei ministri publici abbia recepito positivamente il messaggio evangelico.

Il deflagrare della persecuzione diocelzianea avrebbe dato la stura alla repressione.

 

Detto tutto ciò, per quale ragione i nostri Martiri Larinesi andarono incontro alla morte proprio il 15 maggio?

 

Ebbene, da un prezioso documento pervenutoci quasi integro, il cosiddetto Calendario di Furio Dioniso Filocalo[4] del 354 d.C., che riporta minuziosamente le feste pagane previste nel corso di tutto l’anno solare, abbiamo notizia che quattro giorni prima delle Idi di maggio (12 maggio) si celebravano i Ludi Martialici:

 

iv id·mai

martialici·cm·xxiiii

 

 Normalmente, le feste di un solo giorno si celebravano con ludi circenses, nei quali si tenevano 24 corse di aurighi, che nel nostro Calendario ritroviamo indicate con la cifra CM XXIIII.

 
 
 

 

L’occasione di questa ricorrenza era legata alla dedicazione al dio Marte di un’edicola provvisoria, eretta in Campidoglio nel 20 a.C. (Fasti Maffeiani, in CIL I, p. 305; Ovid., Fast. V,597); il 1° agosto era poi celebrata la dedicazione del tempio di Marte Ultore, fatta da Augusto nel 2 a.C. nel Foro cha da lui prendeva nome, per ricordare la “vendetta” per l’uccisione di Cesare, consumata con la vittoria di Filippi (Dio Cass., Hist. Rom. 54,8; CIL I,393).

 

Sempre Augusto offrì poi, in occasione di questultima ricorrenza, due venationes, la prima con 260 leoni nel Circo Massimo, la seconda con 26 coccodrilli nel Circo Flaminio appositamente attrezzato con un bacino idrico (Dio Cass., Hist. Rom. 55,10,7-8; G. Ville, La gladiature en Occident des origines à la mort de Dioclétien, Rome, 1981, pp. 112, nn. 74-75, cfr. pp. 104-105, n. 60.).

 

Questi giochi erano celebrati ogni anno dai consoli (Dio Cass., Hist. Rom. 56,46; 60,5). Ai senatori era concesso il privilegio di contrattare i cavalli occorrenti (ibid. 55,10). Una naumachia era data in occasione della dedicazione del tempio (Vell. Paterc., Hist. Rom. II,100,2), ed inoltre si potevano tenere ludi sevirales, con evoluzioni a cavallo di sei giri completi del circo, alla cui testa era ognuno dei sevir (ibid.). Occasionalmente si poteva tenere una venatio (Dion. Cass., Hist. Rom. 56,27).

 

 
 

  

Patrizia Sabbatini Tumolesi sottolinea che le leggi che disciplinavano la celebrazione degli spettacoli organizzati dai magistrati municipali potevano variare da una città all’altra, ed anche subire cambiamenti all’interno di una comunità a causa del passaggio del tempo (Gladiatorum paria. Annunci di spettacoli gladiatori a Pompei, pp. 129-130). Questo rende praticamente impossibile stabilire un modello fisso per spiegare come venivano organizzati questi tipi di giochi, come ad esempio a quali divinità venivano offerti, il costo minimo, la durata, ecc. Tuttavia, tenteremo ugualmente di ricostruire quel che avvenne a Larinum nel maggio del 304:

 

le città romane celebravano, in giorni fissi dell’anno, ludi ufficiali comparabili – benché su scala minore – a quelli di Roma. Responsabili della loro organizzazione erano i magistrati in carica, i quali li finanziavano in gran parte. Questo obbligo formava parte dei munera civilia o publica, una serie di doveri municipali ai quali erano soggetti tutti i cittadini di una civitas. L’amministrazione di quest’ultima istituiva un servizio che ne coinvolgeva tutti i membri, secondo i propri mezzi e il rango sociale di ognuno. Detti munera, ben definiti dalla legislazione imperiale, si dividevano in patrimonialia – cioè oneri finanziari – e personalia – ovvero prestazioni gratuite di servizio –. Gli oneri che integravano i munera personalia potevano suddividersi a loro volta in altri, a seconda che fossero legati all’amministrazione imperiale o a quella municipale. L’obbligo di organizzare giochi era previsto in quest’ultimo caso (Cl. Lepelley, Les cités de l’Afrique romaine au Bas-Émpire, I, Paris 1979, pp. 206-207).

 

I magistrati municipali che incontriamo nelle fonti basso-imperiali sono fondamentalmente gli stessi che governavano le città nell’Alto Impero. Claude Lepelley segnala, come principale differenza, «la disparition du quinquennalat, l’intégration de la curatelle dans la carrière local, la disminution de la puissance des duumvirs face au curateur et aux principales». A incaricarsi dell’organizzazione dei giochi erano i duumvirs e gli ediles [La carrière municipale dans l’Afrique romaine sous l’Émpire tardif, «Ktèma» 6 (1981), p. 346].

 

Tuttavia, in epoca basso-imperiale, i decurioni erano sottoposti agli iudices – cioè i governatori provinciali ovvero altri alti funzionari dell’amministrazione imperiale – i quali non solo detenevano il potere effettivo in quest’epoca, ma commettevano veri e propri abusi in materia di spettacoli, provocando la conseguente rovina dei municipes (D.R. French, Christian emperors and pagan spectacles. The secularization of the ludi, A.D. 382-525, Berkeley 1985, pp. 91-94). Ciò in ragione del fatto che i ludi assicuravano popolarità a buon mercato e potevano dare l’illusione di ricreare, nella città caput provinciæ, il lusso della corte imperiale. Nella loro funzione di presidenti dei giochi, questi soggetti assumevano  il ruolo che era di prerogativa del princeps. Essi, in pratica, erano gli incaricati di ricevere le acclamazioni che il popolo dirigeva al sovrano. Apparire davanti ai provinciali durante gli spettacoli era uno dei principali mezzi per ottenere il favore popolare, cosa che avrebbe garantito ai governatori di una provincia future promozioni (J.A. Jiménez Sánchez, Poder Imperial y espectáculos en Occidente durante la Antigüedad Tardía, p. 419, n. 27).

 

Da ciò derivava la loro pretesa di organizzarli quanto più fosse possibile, usurpando questa funzione anche nei casi di numerose feste municipali.

 

 
 

 

Alcune costituzioni imperiali, anche se successive, ci mostrano quale fosse il clima che gravitava intorno ai ludi: il 19 settembre del 364, una costituzione di Valentiniano I e Valente, promulgata ad Aquilea e diretta ad Artemio, corrector Lucaniæ et Brittiorum, fissava quali dovessero essere i doveri del governatore della provincia, ed in pratica lo esentava dall’organizzazione dei giochi:

 

absit autem, ut iudex popularitati et spectaculorum editionibus mancipatus plus ludicris curæ tribuat quam seriis actibus (Cod. Theod. I,16,9).

 

 Evidentemente, come emerge dalla lettura del testo, non saranno stati rari i casi in cui tali soggetti venivano meno alle loro funzioni a causa dei giochi pubblici, con il fine di ottenere il favore del popolo.

 

Una seconda costituzione, promulgata a Treviri dagli imperatori Valentiniano I, Valente e Graziano, del 25 aprile 372, diretta al prefetto del pretorio Probo – capo dell’amministrazione imperiale in tutta la perfettura d’Italia – stabilisce che gli spettacoli obbligatori che si dovevano tenere nei municipia – organizzati quindi da magistrati e sacerdoti locali – non fossero sotto il controllo degli iudices ovvero dei gubernatores provinciarum; alla fine si dispone che si arrivi finanche a trasferire ad altra città un ludus organizzato da una civitas che ne aveva in effetti il titolo:

 

magistratus et sacerdotiorum editiones, quæ aut in civitatibus aut certe in his debent exigi, quas delegit antiquitas, non in potestate iudicum sint, qui plerumque, dum popularem plausum alienis spoliationibus aucupantur, ea, quæ in conpetenti loco sollers diligentia præparavit, ad alteram urbem transferri præcipiunt, sed in eorum arbitrio maneant, quorum expensis ac sumptibus procurandæ sunt (Cod. Theod. XV,5,1).

 

Altre costituzioni successive ripropongono i veri e propri abusi dei governatori provinciali in materia di giochi, come ad esempio la pretesa di ricevere premi in oro durante gli stessi:

 

sive iudices sive privati, nihil penitus auri præmio dandum esse cognoscent, quod solis licet consulibus (Cod. Theod. XV,5,2)

 

Si impediva inoltre che la loro dispendiosa organizzazione portasse alla rovina i municipes (Cod. Theod. XV,9,2); si vietava che igli iudices asportassero da una città o da una provincia carri e aurighi, con il conseguente danno sia alle risorse delle civitates sia alle feste delle altre città [Cod. Theod. XV,5,3 (= C. Iust. XI,41,5)].

Di fatto, i magistrati finanziavano i giochi, ma gli iudices li organizzavano nella maniera che reputavano più conveniente.

 
 
 

 

Abbiamo notizia dalle fonti storiche che si celebravano giochi in onore della divinità protettrice ufficiale della città, dobbiamo ritenere per mano degli ediles (A. Piganiol, Recherches sur le jeux romains, Strasbourg 1923, p. 147; J.P.V.D. Balsdon, Life and leisure in ancient Rome, London 1969, p. 330; M. Turcan, Tertullien. Les spectacles, Paris 1986, p. 141).

 

… no había una legislación uniforme y universal, sino más bien una tradición consuetudinaria […]. En cada municipio había una tradición local, con frecuencia distinta de la de los otros, y esa tradición  parece se la preferida y cumplida por los magistratos.[5]

 

Per Larinum sappiamo ovviamente che questa divinità era il dio Marte[6].

 

Abbiamo pertanto elementi sufficenti a che si possa tentare una ricostruzione circa il modo effettivo in cui si svolsero gli avvenimenti relativi a Primiano, Firmiano, Casto e tutti gli altri:

 

la comunità cristiana di Larinum, cui sovrintendeva almeno uno dei nostri Santi – probabilmente Primiano – sarà stata travolta in pieno dalla persecuzione dioclezianea, anche e soprattutto perché la sua opera di apostolato mirava a fare proseliti tra gli schiavi pubblici del dio Marte, da sempre divinità ufficiale della civitas. I magistrati municipali vollero perciò che le esecuzioni capitali si tenessero nei giorni previsti per i ludi dedicati al dio della guerra (12 maggio). Tuttavia, il potere di comminare sentenze capitali spettava unicamente al gubernator provinciæ, che a quell’epoca era il corrector Ulpius Alenus, il quale molto probabilmente esercitava la potestà giudiziaria nella città di Luceria.

 

Certamente quei magistrati municipali avranno caldeggiato la presenza del governatore nella città di Larinum, ben sapendo quali fossero le pretese di quel personaggio, desideroso di ingraziarsi la popolazione lucerina, dove aveva posto la sua residenza probabilmente da poco tempo (un terminus ante quem è il maggio 305), con l’evento di giochi pubblici durante i quali si aveva la possibilità di organizzare munera gladiatoria e summa supplicia, nei quali mandare a morte nel più spettacolare e terribile dei modi qualche schiavo pubblico consacrato al dio Marte – quindi non cittadino –, colpevole di apostasia, avrebbe rappresentato quanto di meglio per consolidare il proprio ruolo, nella prospettiva di guadagnare comodamente nuove posizioni del cursus publicus.

 

Da qui l’appropriazione della festa municipale, spostando l’avvenimento nella città di Luceria, la quale disponeva di un ben più capiente anfiteatro e probabilmente anche di un circo[7]. D’altronde, le costituzioni imperiali già davano al corrector la piena disponibilità di tenere il processo nella città che, almeno pro tempore, svolgeva la funzione di caput provinciæ.

 

 
 

Il giorno 12 maggio, dunque, era dedicato ai Ludi Martialici, che duravano un solo giorno. Come possiamo giustificare proprio il 15 maggio come dies natalis dei Martiri Larinesi?

 

Ci è noto che «aux jours de supplice … les spectacles duraient deux ou trois jours, après ou avant la fête. … L’exécution publique ne peut se dérouler – nous le savons au moins pour le Ier siècle – un jour religiosus»[8] (J. Colin, Les jours de supplice des martyrs chrétiens et les fêtes impériales, p. 1570; ma le considerazioni valgono anche per le feste religiose). Ancora una volta, vediamo che i nostri conti tornano: il venerdì 12 maggio era un dies religiosus, in cui era preclusa l’esecuzione delle condanne capitali, che potevano tenersi nei due o tre giorni precedenti o successivi, tanto che le Idi di maggio del 304 potettero essere realmente il giorno in cui i Martiri Larinesi vennero mandati a morte.

 

Les chrétiens ou autres délinquants, conservés jusque-là en prison, étaient jugés et condamnés au moment de la fête impériale. L’avant-veille, la veille ou les lendemains, ils étaient, selon leur rang social, décapités, ou bien jetés aux bêtes dans l’amphithêatre, le thêatre ou le stade, pour la mort lente réservée aux humiliores, pendant les entractes des combats de gladiateurs et au cours des «venationes».[9]

 

 


 

 

Per quanto riguarda l’anno in cui si consumò il martirio dei nostri Santi, non vi è univocità di opinioni tra gli storici locali: «perirono per la Fede Cristiana nell’anno 303» (G. e A. Magliano, op. cit., p. 172); «dal 303 al 305» (P. Ricci, Fogli abbandonati…, p. 39); «pare nel maggio dell’anno 303» (D. Priori, La Frentania, I, p. 133); «erano stati condannati da Diocleziano il 15 maggio dell’anno 303 d.C.» (C. Cappella, Termoli e San Basso…, p. 183); «subirono il martirio nel 303 o nel 304» (G. Mammarella, Da vicino e da lontano, p. 123); «nel 303» (Id., Larino sacra. Cronotassi…, I, Campobasso 1993, p. 4); «tra il 303 e il 304» (p. 63): «nel 303 o nel 304» (Id., Larino sacra. La diocesi…, p. 18); «tra il 303 e il 304» (Id., I Santi Martiri Larinesi, in Larino di maggio, p. 38); «tra il 303 e il 304» (Guida Città di Larino, p. 62:); e infine – su basi che non ci sono note – il più categorico di tutti: «precisamente al 303, sotto Diocleziano nell’ambito delle persecuzioni dei cristiani, si colloca il martirio di San Primiano, Firmiano e Casto» (N. Stelluti, Epigrafi di Larino, I, p. 49).

 

Prima di loro, né il Pollidoro né il Tria si erano espressi con chiarezza riguardo all’anno della morte; il primo limitandosi a riportare quanto si leggeva negli “spuri” Vita & Acta contenuti in un Codice del XII secolo: «Temporibus Diolcetiani … ipsorum Natalis consignatur Idibus Maii: S. Casti verò die sequenti» ovvero in un antico epitaffio: «qui passi sunt sub diocletiano» (Vita et antiqua monimenta cit., p. 53); il secondo, sulla sua scia, riportando semplicemente che essi «sotto Diocleziano e Massimiano meritarono la corona del Martirio» (Memorie Storiche cit., p. 743; vd. anche p. 742).

 

Faccio tuttavia notare che una presunta condanna a morte dei Martiri Larinesi eseguita il 15 e 16 maggio del 303, così come vorrebbero alcuni, risulta essere poco credibile, in virtù del fatto che il I editto di persecuzione (24 febbraio 303) aveva escluso la pena capitale (del resto, esso nemmeno generalizzava il sacrifico agli dei pagani per tutti i Cristiani); ed il II venne emanato soltanto tra la primavera e l’estate di quell’anno, tanto da ritenere assai improbabile che esso potesse essere subitamente applicato in una città di provincia.

 

Ricordiamo, al riguardo, che il I editto giunse in Palestina soltanto alla fine del mese di marzo del 303, così come riferisce Eusebio di Cesarea, che parla del mese di distro, secondo l’uso del calendario macedonico (Hist. eccl. VIII,2,4).

 

Per mio conto, dunque, il dies natalis dei Santi Martiri Larinesi va collocato alle Idi di maggio – cioè il giorno 15 – dell’anno 304. Un qualsiasi calendario perpetuo ci riporta che quel giorno era un lunedì, mentre il giorno di festa dedicato al dio Marte, così come indicato dal Calendario di Filocalo – 12 maggio – cadeva di venerdì.

 

Per maggior precisione, si può ipotizzare che in verità il dies natalis del 15 maggio, che fa memoria dei nostri Santi, potrebbe aver avuto, in realtà, un significato del tutto convenzionale, a memoria di tutti i Martiri Larinesi condannati a morte durante la persecuzione diocelzianea, così come non di rado ci si imbatte negli antichi calendari, come ad esempio i cosiddetti “Protomartiri” della persecuzione neroniana dell’estate del 64, ricordati nel Martyrologium Hieronymianum al 29 giugno, benché quasi certamente essi non vennero messi a morte in quello stesso giorno, visto che le stragi negli orti neroniani durarono per parecchi giorni (A. Amore, I Martiri di Roma, pp. 308-310).

 

Si può pertanto credere che il 15 maggio sia l’effettiva data di morte di Primiano, e che nei giorni precedenti e successivi altri martyres rimasti anonimi, non necessariamente originari della città frentana, ma certamente condannati a morte nel corso di processi celebrati nella città di Luceria, abbiano guadagnato la gloria del Regno al prezzo del loro sangue.

 
 
 


I testi agiografici, del resto, non fanno che confermare la ricostruzione proposta. Così si esprime, al riguardo, il padre Delehaye:

 

In generale, quando si trattava di offrire come un compenso ai nuovi convertiti per la loro rinunzia alle feste pagane, s’invitavano alle feste dei martiri, le quali erano celebrate nel giorno anniversario della morte.[10]

 

In un’identica circostanza San Gregorio il Taumaturgo riuscì ad istituire, per il suo popolo, le riunioni annuali in onore dei martiri, facilitando il passaggio dai piaceri profani alla gioia spirituale (Vita s. Gregorii thaumat. : PG XLVI, p. 954). Si veda ancora cose avvenne nel 177 in occasione delle tragiche vicende di Vienne e di Lione [Martyrium Lugdunensium (V),1,47, ed. A.P. Orbán, trad. it. S. Ronchey, in Atti e passioni dei martiri, pp. 82-83: «τη̃ς ε̉νθάδε πανγύρεως (έστι δὲ αύτη πολυάνθρωπος ε̉κ πάντων τω̃ν ε̉θνω̃ν συνερχομένων ει̉ς αυ̉τήν) α̉ρχομένης συνεστάναι α̉νη̃γεν  ε̉πὶ  τὸ  βη̃μα θεατρίζων τοὺς μακαρίους καὶ  ε̉μπομπεύων τοι̃ς όχλοις» [Quando venne la data d’apertura della festa locale (si tratta di una manifestazione di grande richiamo, che attira folla da tutte le regioni), il governatore fece condurre e allineare davanti al tribunale i martiri perché facessero spettacolo e fossero una nota di colore agli occhi della moltitudine]. «Si tratta della festa che ogni anno riuniva a Lione, il 1° agosto, i delegati delle tre Gallie, compresa la Narbonese. La festa durava diverse settimane» (G. Bardy, Eusèbe de Césarée. Histoire ecclésiastique II : SCh XLI, Paris 1955, p. 18, n. 57).

 

La Divina Provvidenza, in pratica, operò affinché una atavica festa pagana – il ludus in onore del dio Marte – trovasse nel dies natalis dei Martiri Larinesi una effettiva opportunità a che il credo cristiano si consolidasse nella città di Larinum a beneficio delle generazioni a venire.

 

 

 

Bibliografia:

 

A. Amore, I Martiri di Roma, Roma 1975

J.P.V.D.Balsdon, Life and leisure in ancient Rome, London 1969

G. Bardy, Eusèbe de Césarée. Histoire ecclésiastique II : SCh XLI, Paris 1955

C. Cappella, Termoli e San Basso nella loro storia millenaria, in «Archivio Storico Molisano» VII (1983-1984), pp. 177-184

Cicero, Pro A. Cluentio oratio, ed. e trad. it. G. Pugliese (L’orazione per Aulo Cluenzio Abito), Milano 1972

J.Colin, Les jours de supplice des martyrs chrétiens et les fêtes impériales, in Mélanges d’archéologie et d’histoire offerts à André Piganiol, III, Paris 1966, pp. 1565-1580

S. De Caro, Base di statua con iscrizione opistografa da Larinum, in Samnium. Archeologia del Molise (Catalogo della Mostra), edd. S. Capini-A. Di Niro, Roma 1991, pp. 268-270

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A. Degrassi, Inscriptiones Italiæ, XIII: Fasti et elogia, 2: Fasti Anni Numani et Iuliani, Roma 1963, pp. 237-262, 388-546

H. Delehaye, Le leggende agiografiche, Firenze 1910, rist. Sala Bolognese 1983, trad. it. [Les légendes hagiographiques, Bruxelles 19684]

A. Di Niro, Larinum, in Samnium. Archeologia del Molise (Catalogo della Mostra), edd. S. Capini-A. Di Niro, Roma 1991, pp. 263-267

Dio Cassius, Historia Romana 54; 56; 60

Eusebius Cæsariensis, Historia ecclesiastica VIII : PG XX

Fasti Furii Philocali, ed. Th. Mommsen : CIL I2, pp. 256-278, 299-339

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D.R. French, Christian emperors and pagan spectacles. The secularization of the ludi, A.D. 382-525, Berkeley 1985

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J.A. Jiménez Sánchez, Poder Imperial y espectáculos en Occidente durante la Antigüedad Tardía. Tesi di Dottorato 1996-1998, Universidad de Barcelona

Cl. Lepelley, Les cités de l’Afrique romaine au Bas-Émpire, I, Paris 1979

Cl. Lepelley, La carrière municipale dans l’Afrique romaine sous l’Émpire tardif, «Ktèma» 6 (1981), pp. 333-347

G. e A. Magliano, Larino. Considerazioni storiche sulla Città di Larino, Campobasso 1895, rist. anast. Larino 2003

G. Mammarella, Da vicino e da lontano. Sacro e profano nella ricostruzione di fatti emblematici della storia di Larino e del circondario, Larino 1986

G. Mammarella, Larino sacra. Cronotassi, iconografia ed araldica dell’Episcopato larinese, I, Campobasso 1993

G. Mammarella, Larino Sacra. La diocesi, la genesi della cattedrale, i SS. Martiri Larinesi, II, San Severo 2000

G. Mammarella, I Santi Martiri Larinesi, in Larino di maggio, Larino 2007, pp. 38-40

Martyrium Lugdunensium, ed. A.P. Orbán, trad. it. S. Ronchey, in Atti e passioni dei martiri, edd. A.A.R. Bastiaensen-A. Hilhorst-G.A.A. Kortekaas-A.P. Orbán-M.M. van Assendelft, Roma-Milano 20076, pp. 59-95, 397-404

Ph. Moreau, I Martiales di Larinum e le difficoltà d’integrazione nella città romana, in Pro Cluentio, di Marco Tullio Cicerone. Atti del Convegno Nazionale, ed. Amministrazione Comunale di Larino, Larino 1997

Ovidius, Fasti V

A. Piganiol, Recherches sur le jeux romains, Strasbourg 1923

G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi Episcopi, et Confessoris in Cathedrali Templo Larinensi quiescentis, Commentario, et Animadversionibus Criticis…, Romæ 1741

J.L. Ramírez, Gastos santuarios y recursos económicos de los grupos sociales del África romana, Oviedo 1981

P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese raccolti in continuazione del Tria, Larino 1913, rist. anast. Larino 1987

D. Priori, La Frentania, I, Lanciano 1942, rist. anast. Lanciano 1980

J.L. Ramírez, Gastos santuarios y recursos económicos de los grupos sociales del África romana, Oviedo 1981

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N. Stelluti, Epigrafi di Larino e della bassa Frentania, I. Il Repertorio, Campobasso 1997

Suetonius, De vita duodecim Cæsarum: Tiberius 61

G.A. Tria, Memorie Storiche, Civili ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani…, Roma 1744, rist. Isernia 1989

M. Turcan, Tertullien. Les spectacles, Paris 1986

Velleius Paterculus, Historiæ Romanæ II

G. Ville, La gladiature en Occident des origines à la mort de Dioclétien, (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome 245), Rome 1981

Vita sancti Gregorii thaumaturgi : PG XLVI

 

 

 


[1] Cic., Cluent. 15,43 [Vi erano a Larino uomini chiamati Marziali, servi di Marte, consacrati a quel dio in virtù di antiche forme religiose dei Larinati: di questi uomini, annoverati nella famiglia servile di Marte, ve n’erano molti in Larino, come in Sicilia sono numerosissimi i cosiddetti Venerii] (L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, ed. e trad. it. G. Pugliese, Milano 1972, pp. 104-107).

[2] G. e A. Magliano, Larino. Considerazioni storiche sulla Città di Larino, Campobasso 1895, rist. anast. Larino 2003, pp. 50-51. 

[3] Ibid., p. 51.

[4] Fasti Furii Philocali, ed. Th. Mommsen : CIL I2, pp. 256-278, 299-339, qui pp. 264, 318; A. Degrassi, Inscriptiones Italiæ, XIII: Fasti et elogia, 2: Fasti Anni Numani et Iuliani, Roma 1963, pp. 237-262, 388-546.

[5] J.L. Ramírez, Gastos santuarios y recursos económicos de los grupos sociales del África romana, Oviedo 1981, pp. 144-145.

[6] Oltre al suo  culto, che nella città rivestiva certamente una notevole importanza, anche istituzionale, sin dalle epoche più remote, le iscrizioni pervenuteci ci confermano dell’esistenza del culto dei Lari (CIL IX,275), di quello dei Dioscuri (CIL IX,724), di Cibele mater deum e di Attis (CIL IX,734), oltre a Giunone Regina (N. Stelluti, Epigrafi di Larino e della bassa Frentania, Campobasso 1997, I, p. 46; II, iscr. n. 114). Anche del culto imperiale abbiamo attestazioni, relativamente agli Augustales (CIL IX,727,740-742), una sorta di sacerdozio collegiale istituito in epoca agustea, avente per scopo la promozione del culto per la famiglia imperiale: abbiamo il caso del ricco liberto Gabbius Æqualis, che ricevette l’insolito onore di essere ammesso nell’ordo decurionum della città (AE 1966,75); sappiamo, inoltre, anche di Cœlia Tertulla, una bambina di sette anni sacerdos Divæ Augustæ, cioè di Livia, vedova di Augusto, divinizzata post mortem nel 41 d.C., nonché di un flamen Divi Hadriani (CIL IX,2853) [cfr. A. Di Niro, Larinum, in Samnium. Archeologia del Molise, edd. A. Di Niro-S. Capini, Roma 1991, pp. 263-264; S. De Caro, Base di statua con iscrizione opistografa da Larinum, in ibid., p. 268 e n. 2; E. De Felice, Larinum, Firenze 1994, pp. 31-33 e nn. 118, 132].

[7] F.E. Cetola-A. De Troia, Il circo della Lucera latina: prime ipotesi.

[8] Suet., Tib. 61,4: «nullus a pœna hominum cessavit dies, ne religiosus quidem ac sacer; animadversum in quosdam ineunte anno novo».

[9] J. Colin, loc. cit., p. 1580.

[10] H. Delehaye, Le leggende agiografiche, Firenze 1910, rist. Sala Bolognese 1983, p. 259.

 

 

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