Il tempio di Marte

TEMPIO DI MARTE

podium e cella

Larino, Piano della Torre

 

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ella recente Guida cittadina (Città di Larino, p. 62), si ripropone ancora una volta l’idea circa il luogo del martirio dei Santi Martiri Larinesi, che sarebbe da identificare «probabilmente» con l’area antistante il tempio di Marte che, finita la persecuzione, fu trasformato in chiesa cristiana, all’interno della quale i tre corpi vennero sepolti.

 
 

  

Tuttavia, faccio notare che le minime coordinate agiografiche di cui disponiamo, ci riportano che i nostri Martiri «extra Larinum … Martyrium compleverunt» (G.A. Tria, Memorie Storiche…, p. 750). Questa espressione così generica tenderebbe a far escludere che questa drammatica scena possa essere avvenuta in prossimità di un tempio dedicato al dio Marte. In questo caso, ci saremmo trovati in presenza di un racconto agiografico che presentasse qualche espressione del tipo «iuxta templum Martis», così come ad es. ritroviamo nella passio romana di Edisto (AA.SS. Oct. VI, pp. 20-22), ucciso durante una celebrazione liturgica assieme ad altri familiari, mentre invece la serva Vittoria, fuggita ma raggiunta, venne decapitata in un vicino bosco «iuxta aram Dianæ» (sulla passio vd. A. Amore, I Martiri di Roma, pp. 203-204).

 

   Cionondimeno, la versione dei fatti sopradetta risulta ampiamente divulgata, riportata anche altrove (P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese..., pp. 40, 44, 68, 71, 79; G. Mammarella, Larino Sacra, II, pp. 45-46). Ma dov’era situato il tempio di Marte?

 

Appare curioso, a una prima analisi, ritenere che che il luogo di culto più importante della Larino pagana – così come si evince dalla Pro Cluentio (15,43), letta da Cicerone nel 66 a.C. – si ergesse in una zona impervia e marginale della città, al di fuori delle mura, benché sia noto che nellUrbe al dio Marte fosse dedicata unara in una vasta zona - tuttavia tutta pianeggiante - denominata appunto Campus Martius, in origine fuori del pomerio, e che solo sotto Augusto venne inglobata nelle regiones cittadine.


Del tempio di Marte parla esplicitamente Vincenzo Cuoco, che coglie l’occasione per esprimersi in termini di dura denuncia circa lo stato di abbandono in cui versava la città antica:

 

Gli edificj dell’antica Larino sussistono ancora in parte. Ai tempi nostri vi si vedevano gli avanzi delle terme, di un pretorio, di un anfiteatro, di un tempio di Marte, di un altro di Giunone Feronia ecc. ecc.[1]

 

Ai primi dell’Ottocento, quindi – almeno a parere del Cuoco, uomo di elevatissima cultura –, erano ancora ben visibili i resti del tempio di Marte, che non venne affatto riconvertito in chiesa cristiana, così come vorrebbe una consolidata lettura dei fatti.

 

 

 

Planimetria area tempio di Marte di Larinum
Planimetria del tempio di Marte e degli edifici limitrofi [da Caliò-Lepone-Lippolis, Larinum: the development of the forum area, Portsmouth 2011; elaborazione P. Miscione]
 

 

Venendo ai nostri giorni, l’archeologa Di Niro, partendo da un passo del Tria, identifica il «tempio di Marte, nelle strutture di recente rimesse in luce e pertinenti ad un’area pubblica di grosso rilievo (probabilmente il foro)». L’area descritta è situata in località Piano della Torre, a nord della linea ferroviaria. Si tratta di «un edificio a pianta quasi quadrata, su alto podio, originariamente pavimentato in mosaico, la cui destinazione potrebbe essere stata sacra (appunto il tempio di Marte)» [A. Di Niro, Larinum, in Samnium, p. 264].

 

Ledificio sacro venne eretto su una larga platea terrazzata, che distrusse parte di una preesistente domus del tardo periodo repubblicano (fine III sec. a.C.). In una prima fase (seconda metà del I sec. a.C.) vi venne edificato un semplice altare rettangolare, che in seguito fu incluso nel podium del tempio vero e proprio, costruito nei primi anni dellImpero (L.M. Caliò-A. Lepone-E. Lippolis, Larinum: the development of the forum area, pp. 99-101). Di Niro propende per la  «metà del I sec. d.C.» (ibid.), datazione confermata da De Felice: «età di Tiberio-Claudio» (Larinum, p. 103, n. 411).

 

 
 

  

Il tempio ha una cella quadrata di m 7,20 di lato, in origine rivestita di marmi intarsiati, con un pronao, di cui rimane solo il podium. La facciata orientale era interamente in laterizi, e guardava - grazie al già ricordato largo terrazzamento nel mezzo del quale esso svettava - verso il promontorio del Gargano e il mare Adriatico.

 

 
 

  

In pratica, la residenza aristocratica privata venne espropriata per costruirvi un edificio pubblico a carattere religioso. Tutto lascia pensare che ciò sia da mettere in relazione con le proscrizioni sillane ovvero con i dissidi relativi ai Martiales di cui ci parla Cicerone, che videro contrapposte le due fazioni aventi Oppianico e Cluenzio quali antagonisti (L.M. Caliò-A.Lepone-E. Lippolis, loc. cit., p. 101). Il dato archeologico sembra dunque confermare quello letterario. È quindi assai verosimile che le strutture superstiti poste a est dellarea del Foro romano di Larinum riguardino proprio il tempio di Marte.

 

 
 

   

Esso perciò si trovava, come appare logico, in una vasta zona pubblica – il Foro – situata in uno «spatioso sito de tre miglia» (G.A. Tria, op. cit., p. 166) posto al centro dell’abitato, e non in una parte ai margini del recinto urbano dove per di più, a causa della conformazione del terreno, sarebbe stato problematico edificare un tempio con edifici annessi. 

 

 
 

 

Che poi la chiesa paleocristiana di IV-V secolo non sorga su un tempio pagano lo si può arguire dal fatto che non si ha traccia alcuna di tutte quelle strutture tipiche di un tempio romano (podio, gradinata d’ingresso, pronao a colonne), nemmeno nella pianta, benché sia chiaramente delineata. 

 

 
 

 

Eppure là dove tali utilizzi di luoghi di culto pagani avvennero, sempre all’insegna del puro utilitarismo, ci si preoccupò sempre di conservare al massimo le forme primitive, adoperandole quasi sempre come nucleo, ben riconoscibile, sul quale innestare le nuove strutture più adatte allo svolgimento della pratica legata al nuovo culto cristiano (F. Gandolfo, Luoghi dei santi e luoghi dei demoni..., pp. 883-916).

 

 

Ma per maggior chiarezza, vediamo quale fu la sorte toccata ai templi pagani, in base alle consuetudini e alle leggi dell’epoca (ibid.): essi – ritenuti a tutti gli effetti luoghi demoniaci – iniziarono ad essere trasformati in chiese cristiane in epoca piuttosto tarda; sappiamo difatti che, nella parte occidentale dell’Impero, sin dal 346 (Cod. Theod. XVI,10,3) si stabilì che, malgrado la necessità di estirpare ogni forma di superstizione, i templi extraurbani dovessero essere conservati intatti, giacché da molti di essi avevano preso origine ricorrenze riconducibili alle esecuzioni di giochi circensi o ad altre analoghe manifestazioni, di cui si riteneva ingiusto privare il popolo.

 

Solo nel 408 (ibid. XVI,10,19) si decretò che tutti i templi fossero destinati ad usi civici ed entrassero a far parte del demanio imperiale, dopo che ogni reminiscenza del loro uso primigenio fosse stata eliminata. Una ulteriore norma, emanata in quel frangente, concedeva la demolizione dei templi eretti su terreni dati in affitto a privati – agricoli o comunque sfruttabili –, con la conseguenza che sopravvissero quelli ubicati in luoghi appartati o impervi.

 

Ciò comportò l’emanazione di una legislazione, prodottasi in tutto l’arco del IV secolo [ibid. XV,1,1 (an. 357); XV,1,11 (an. 364); XV,1,14 (an. 365); XV,1,16 (an. 365); XV,1,19 (an. 376); XV,1,25 (an. 389)], che tutelava gli edifici di culto pagani siti all’interno delle mura cittadine, al fine di conservare il carattere storico del patrimonio edilizio delle città, ma senza che venisse incrementato il loro restauro, ed anzi si mirava a lasciarli nel loro stato di lento decadimento. Nel 458 venne quindi emanato un provvedimento che prevedeva il reimpiego in altre opere pubbliche di quelle parti architettoniche ornamentali di edifici – templi compresi – non riparabili (Cod. Theod. Leges novellæ Maioriani IV, ed. P.M. Mayer, Dublin-Zürich 19714, p. 161).

 

 

 

 

 

Sul finire del V secolo si venne formando, in seno alle gerarchie ecclesiastiche, una più ardita concezione che, sulla scia della coeva Apparizione dell’Arcangelo Michele sul monte Gargano, in una grotta dove in precedenza sussistevano culti pagani, giustificò il carattere redentivo degli interventi all’interno di quei templi scampati alle demolizioni del 408.

 

Rivelatore di questo mutato atteggiamento è in quest’epoca il formarsi a Roma della leggenda di San Silvestro, che avrebbe operato un’analoga impresa scacciando il drago demoniaco che aveva dimora nei pressi del tempio di Vesta, nelle cui adiacenze venne eretta la chiesa di Santa Maria Antiqua, sopra la quale sorse a sua volta quella di Santa Maria Liberatrice o “de inferno”.

 

In questo mutato clima si possono cogliere i primi segnali della interpretatio christiana dei templi pagani e avvertire il definirsi di un diverso modus operandi nei loro confronti.

 

 
 

 

Tutto ciò detto, per escludere, se ancora ce ne fosse bisogno, l’origine cultuale pagana del sito in cui venne edificata la basilica paleocristiana dedicata ai Santi Martiri Larinesi e il côté pseudostorico cucitole addosso dal Magliano (vd. infra), visto che, essendo essa inquadrabile «non… oltre il secolo V», un ipotizzato tempio di Marte preesistente sarebbe stato soggetto alla legislazione in materia sopra descritta e un suo eventuale reimpiego avrebbe in ogni caso dovuto seguire le consuetudini e le norme dettate dalle autorità ecclesiastiche che, come abbiamo visto, avallarono l’integrale insediamento del nuovo culto in un tempio pagano solamente a partire da un periodo a cavallo tra il V e il VI secolo, conservandone pur tuttavia per buona parte le forme architettoniche.

 

Pertanto non ha alcuna base storica l’ipotesi di localizzare nel nostro sito un tempio intitolato a Marte, raso al suolo nel V secolo per edificarvi sopra una chiesa cristiana.

 

 
 

  

Sappiamo invece con certezza che l’area in questione era effettivamente il luogo di sepoltura dei Santi Martiri Larinesi – che con ogni probabilità furono ben più di tre –, visto che vi è nato un culto, che ha resistito per ben diciassette secoli, e ci è pervenuto un agiotoponimo – “contrada San Primiano” – che sussiste da tempo immemorabile. D’altronde il culto veniva tributato solo se si aveva la certezza di trovarsi in presenza della tomba di un martire, poiché il culto dei martiri deriva dal culto dei morti, in una forma più partecipata e più stabilizzata nel tempo, per il fatto che interessava sia il vescovo sia tutta quanta la comunità, e pertanto non veniva meno con la morte dei parenti più prossimi.

 

Che non ci si trovi di fronte a una chiesa cristiana edificata su un tempio pagano è opinione condivisa peraltro anche da chi la riportò alla luce, vale a dire il Soprintendente agli Scavi e Monumenti dell’Abruzzo e del Molise Valerio Cianfarani, il quale la ritiene «infondata», in considerazione del fatto che «la chiesa è lontana dai ruderi dell’antica città, tanto che si può supporre che sia fuori del suo perimetro». Definisce chiaramente l’edificio come «chiesa cimiteriale, ossia elevata sopra una tomba venerata»; e aggiunge: «avvenuto il martirio di S. Primiano nell’interno dell’anfiteatro credo che il corpo sia stato deposto fuori della città o di (sic) una tomba privata o in una di quelle sepolture collettive, di cui gli esempi più noti sono le catacombe romane».

Arriva poi a datare l’edificio sacro a «circa due secoli dopo l’editto di Costantino», valutazione che la identifica come «chiesa paleocristiana» (U. Pietrantonio, Considerazioni e Osservazioni..., App. doc. n. 1).

 

Con questa datazione espressa da un tecnico, credo si smentisca da sé anche quanto sostenuto dalla succitata Guida circa l’epoca in cui la Basilica venne eretta; in pratica, non furono i corpi dei Martiri ad essere deposti in essa, ma semmai furono le loro tombe, di cui si conosceva l’ubicazione, a generare un culto, tale da giustificare l’edificazione successiva di una basilica.

 

 


 

  

Si deve a Giandomenico Magliano (G. e A. Magliano, op. cit., p. 50) – ripreso più tardi dal nipote Alberto (Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, p. 15) – l’idea di situare il tempio di Marte nel luogo ove sorge l’attuale Cappella di San Primiano, convincimento poi portato avanti acriticamente da tutti gli studiosi di storia locale che ebbero a interessarsi della questione (cfr. P. Ricci, op. cit., passim), così da far coincidere il luogo di sepoltura dei Martiri con quello della loro esecuzione, cosa che invero la cosuetudine avvalorava, tanto che ciò è effettivamente documentato in alcuni casi, anche se per particolari motivi contingenti.

 

L’idea poi di presentare un’esecuzione capitale davanti al tempio di Marte – la contrapposizione tra il Dio cristiano e l’idolo pagano – serviva a nobilitare tutta la tragica vicenda, caricandola anche di prestigiosi riferimenti letterari (i Martiales di Cicerone), così da ammantarla di un’aura vagamente romantica che certamente non ebbe, visto che i condannati a morte per motivi legati a credenze religiose erano trattati come tutti gli altri, vale a dire nel peggiore dei modi.

 
 

 

Piuttosto improbabile, in ogni caso anche se abbiamo visto non impossibile che una condanna capitale di un traditore dell’Impero, di un reo del delitto di læsa maiestas a motivo del rifiuto d’abiura, di un «inimicus diis romanis et religionibus sacris» (Acta Cypriani 3,4), cioè di un “empio”, avvenisse davanti ad un tempio dedicato al culto legittimo, anche se la letteratura martiriale ci riporta i casi in cui i martyres designati venivano condotti in un tempio pagano per costringerli a sacrificare, ottenendone il rifiuto e la successiva condanna.

Così ci è detto ad es. nella passio Eugeniæ a proposito dei «germani fratres» Proto e Giacinto, i quali, durante la persecuzione di Valeriano furono condotti nel tempio di Giove perché sacrificassero, ma «simulacrum Jovis ... cecidit ad pedes eorum», e per conseguenza furono decapitati; ma non si dice che ciò avvenne davanti al tempio (PL XXI, col. 1121).
 

Tuttavia abbiamo notizia sicura che per certificare il sacrificio pagano sarebbe bastato un atto dimostrativo davanti all’autorità, e anche gli edifici in cui era amministrata la giustizia disponevano di altari sacrificali, così come ci riporta Lattanzio (De mort. persec. XV, 5): «aræ in secretariis ac pro tribunali positæ, ut litigatores prius sacrificarent atque ita causas dicerent»; vd. ad es. il presunto sacrificio in secretario degli Acta Phileæ (textus latinus) 5,47; (testo greco Papyrus Bodmer XX) 16,3-4.

 

 

 

Bibliografia:

 

A. Amore, I Martiri di Roma, Roma 1975

Atti e passioni dei martiri, edd. A.A.R.  Bastiaensen-A. Hilhorst-G.A.A. Kortekaas-A.P. Orbán-M.M. van Assendelft, Roma-Milano 20076

L.M. Caliò-A. Lepone-E. Lippolis, Larinum: the development of the forum area, in «Journal of Roman Archæology», suppl. 83: Local cultures of South Italy and Sicily in the Late Republican period: between Hellenism and Rome, ed. F. Colivicchi, Portsmouth (RI) 2011, pp. 77-111

Cicero, Pro Cluentio (L’orazione per Aulo Cluenzio Abito), ed. G. Pugliese, Milano 1972

Città di Larino, Guida edita a cura del Comune di Larino, Termoli 2008

V. Cuoco, Platone in Italia, Parma 18202

E. De Felice, Larinum, Firenze 1994

A. Di Niro, Larinum, in Samnium.  Archeologia del Molise  (Catalogo della Mostra), edd. A. Di Niro-S. Capini, Roma 1991, pp. 263-267

F. Gandolfo, Luoghi dei santi e luoghi dei demoni: il riuso dei templi nel Medioevo, in Santi e demoni nell’Alto Medioevo occidentale. Atti delle XXXVI settimane di studio del CISAM, II, Spoleto 1989, pp. 883-916

Lactantius, De mortibus persecutorum XV : PL VII

A. Magliano, Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, Larino 1925, rist. anast. Larino 1986

G. e A. Magliano, Larino. Considerazioni storiche sulla Città di Larino, Campobasso 1895, rist. anast. Larino 2003

G. Mammarella, Da vicino e da lontano. Sacro e profano nella ricostruzione di fatti emblematici della storia di Larino e del circondario, Larino 1986

G. Mammarella, Larino Sacra. La diocesi, la genesi della cattedrale, i SS. Martiri Larinesi, II, San Severo 2000

U. Pietrantonio, Considerazioni e Osservazioni su alcune Opere di Storia del Molise recenti e passate, Campobasso 1992

D. Priori, La Frentania, I, Lanciano 1942, rist. anast. Lanciano 1980

P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese raccolti in continuazione del Tria, Larino 1913, rist. anast. Larino 1987

G.A. Tria, Memorie Storiche Civili, ed Ecclesiastiche della Città, e Diocesi di Larino Metropoli degli Antichi Frentani…, Roma 1744, rist. Isernia 1989

Vita S. Silvestri, in B. Mombritius, Sanctuarium seu Vitæ Sanctorum, II, Paris 1910, rist. Hildesheim-New York 1978, pp. 508-531

 

 

 

 

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Commenti: 2
  • #1

    Anonimo (martedì, 21 luglio 2015 19:47)


    ma come, mammarella ogni anno ci racconta la storia del tempio di marte e tu dici che sta da un altra parte?
    ma forse c'hai ragione tu. anzi sicuramente.

  • #2

    pinomiscione (mercoledì, 22 luglio 2015 20:04)


    Non lo dico io; lo hanno già detto qualificati archeologi che hanno scavato nell'area del Foro. E comunque io non ho realizzato questo sito, che mi ha impegnato non poco, per sminuire il lavoro degli altri, anche perché io mi sono occupato della storia cristiana di Larino - credo - per motivi diversi rispetto a Mammarella, che un lettore più attento, anche alle altre sezioni, forse riuscirà a comprendere. In pratica, a me sta a cuore il trionfo della Verità e della vera Fede, di cui i nostri Martiri sono viva e tangibile espressione.
    Quando ho proposto una diversa lettura dei fatti, l'ho fatto non per partito preso, ma per amore di quella che a me pare una interpretazione più veritiera. Non faccio drammi se qualcuno non è d'accordo con quel che scrivo, e spero di non offendere nessuno se dico la mia, non trovandomi in sintonia con alcune affermazioni di altri. Tutto qui.

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