I Martiri tornano a Larinum

LARINO

Cimitero

Viale con cipressi

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l tempo favorevole per il ritorno dei corpi dei Martiri Larinesi nella loro città di origine sarebbe venuto solo sul finire dell’ottobre del 306, con la salita al potere del più conciliante Massenzio. In quel periodo dobbiamo collocare le deposizione delle loro spoglie mortali nel luogo che oggi ben conosciamo – terminale della strada che proveniva da Lucera –, superati gli ostacoli che certamen-

 
 

te i cristiani di quella comunità avranno frapposto e che soltanto le generazioni future avrebbero riproposto con successo.

 
 
 

 

Si sarà trattato ancora una volta di tombe assai modeste, probabilmente singole, forse del tipo cosiddetto “a cappuccina”, ottenute dalla giustapposizione di alcune tegole. L’urna di marmo in cui erano custoditi i corpi dei Santi Primiano e Firmiano, di cui parla il Magliano (Brevi Cenni storici..., p. 29, n. 1), se realmente esistita – ma a parer mio di urna sarebbe improprio parlare –, non poteva che riferirsi alla sistemazione monumentale della successiva chiesa cimiteriale di IV-V secolo, certamente avvenuta, a Larino come altrove, senza spostare o manomettere quei corpi venerati [cfr. le lastre di marmo bianco che rivestivano all’interno le tombe dei martiri romani Evenzio, Alessandro e Teòdulo, così sistemate al momento dell’innalzamento sulle loro tombe di una basilica ad aula nel IV secolo, che comportò diverse demolizioni delle limitrofe gallerie cimiteriali (S. Carletti, Le antiche chiese dei martiri romani, pp. 64-66)].

 

 
 

 

È opportuno, a questo punto, chiarire brevemente come si procedeva all’inumazione dei condannati a pœna capitis:

 

non era infrequente l’uso di tumulare due o più corpi in una stessa tomba venerata, magari affiancata da altre singole, pure venerate: abbiamo, ad esempio, ancora il caso dei Santi Evenzio, Alessandro e Teòdulo, i primi due sepolti in un’unica tomba, adiacente all’altra, posta in un vano attiguo al presbiterio dell’omonima basilica al VII miglio della Via Nomentana (S. Carletti, op. cit., pp. 64-65); ricordiamo i due loculi affiancati ovvero il bisomo in cui erano deposti i martiri – forse fratelli – Felice e Adàutto, all’interno di una galleria del cimitero di Commodilla sulla Via Ostiense (ibid., p. 140; B. Bagatti, Il cimitero di Commodilla o dei martiri Felice e Adautto..., Città del Vaticano 1936),  così come ci attesta un carme di papa Damaso I (366-384) noto dalle sillogi: «et ambo requiescunt in uno loco» (A. Ferrua, Epigrammata Damasiana, VII, pp. 98-101); il sepolcro bisomo, sulla Via Labicana [od. Casilina], dei già ricordati Marcellino e Pietro, sepolti «in spelunca» [Cod. Top., II, pp. 83, 113, 146] (P. Testini, Archeologia Cristiana, p. 609; C. Cecchelli, SS. Marcellino e Pietro, la chiesa e la catacomba, Roma 1938; J. Guyon, Le cimetière aux deux lauriers. Recherches sur les catacombes romaines, Città del Vaticano 1987).

 

Abbiamo notizia di martiri deposti insieme a consanguinei, come nel caso romano di Eugenia che, secondo gli Itinerari del VII secolo, sarebbe stata deposta «in uno tumulo» con la madre Claudia, nel cimitero di Aproniano sulla Via Latina (Cod. Top. II, pp. 112, 148).

 

Si poteva presentare il caso che in uno stesso sarcofago fossero inumati coniugi martiri, come potrebbe essere per Memmia e Giuliana, sepolti con i probabili sposi Ciriaco e Largo, unitamente ad altri due martiri – Crescenziano e Smaragdo –, tutti e sei deposti in quattro sarcofagi posti sub divo, nel cimitero al VII miglio della Via Ostiense (A. Amore, I Martiri di Roma, pp. 214-219).

 

 
 

 

   Nei casi di decapitati, come è il nostro, poteva capitare che la testa venisse venerata separatamente dal corpo: così il presbitero Giovanni, martirizzato sotto Giuliano l’Apostata (361-363) – per altri Massenzio (306-312) – «Cuius corpus collectum est a Concordio presbitero et sepultum est in sarcophago in cripta in eodem loco», venerato nel cimitero ad clivum cucumeris (detto per questo anche ad caput sancti Johannis ovvero ad septem palumbas) sulla Via Salaria vetus (H. Delehaye, Étude sur le Légendier romain, p. 262; S. Carletti, op. cit., pp. 18-19; A. Amore, op. cit., pp. 34-36; P. Testini, op. cit., p. 263); di lui ci è riportato dagli antichi Itinerari quanto segue: «ecclesia Sancti Iohannis martyris, ubi caput eius in alio loco sub altare ponitur, in alio corpus» (De locis sanctis martyrum quæ sunt foris civitatis Romæ, in Cod. Top., II, p. 118); la testa sotto l’altre, il corpo forse in un luogo sotterraneo separato (annotiamo che a p. 35 il p. Amore, nell’op. cit., avanza l’ipotesi che la situazione delle reliquie possa aver generato l’idea della decapitazione).

 

 
 

 

Non è però del tutto da escludere che i corpi dei nostri Martiri siano stati deposti in sepolture collettive di tipo catacombale, già scavate nel tufo, così come sostenuto dal Sovrintendente Cianfarani (U. Pietrantonio, Considerazioni e Osservazioni..., App. doc. n. 1). Riportiamo, in proposito, il parere di tre valenti studiosi:

 
Per quanto ci è dato sapere di esecuzioni di massa al tempo delle persecuzioni, i gruppi non superarono quasi mai i quaranta o cinquanta… Se avvenne qualche seppellimento tumultuoso di molti martiri in una fossa, ciò dovette accadere quando non vi era assolutamente tempo e non v’erano i parenti degli uccisi. Questo caso può essere spesso capitato nei tempi burrascosi della persecuzione di Diocleziano.[1]

 
Un cospicuo numero di martiri «multitudo sanctorum» secondo la Notitia ecclesiarum, o 365 secondo gli altri due Itinerari, erano sepolti «in uno sepulcro», «in una sepultura», «sub altare maiore», nella basilica di san Silvestro dello stesso cimitero di Priscilla. Probabilmente c’era un’iscrizione ad indicare quella cifra, e casi di sepulture comuni per martiri anonimi non sono rari nei cimiteri romani.[2]

 

Diverge però il parere di un archeologo:

 

anche in questi casi è assurdo pensare che tutte le spoglie venissero deposte in una fossa comune.[3]

 

L’evenienza fu difatti impedita anche nel caso in cui a desiderare una sepoltura comune fossero gli stessi condannati, per testamento (cfr. Testamentum XL martyrum 1,1; i quaranta martiri soldati, appartenenti alla XII Legio Fulminata, di stanza a Sebaste, nell’Armenia Minore [od. Sivas, Turchia], giustiziati mediante assideramento nel corso delle disposizioni anticristiane adottate da Licinio nel 320, pur avendo desiderato per le loro ceneri una sepoltura comune, esse furono disperse nel vicino fiume).

 

Tuttavia sappiamo che nei cimiteri cristiani poteva capitare che le salme – specialmente di persone non più visitate dai parenti – venissero talvolta ammucchiate, anche per una questione di spazio; sicché papa Damaso I (366-384) poteva scrivere: hic congesta iacet si qvaeris tvrba piorvm | corpora sanctorvm retinent veneranda sepvlcra (A. Ferrua, op. cit., XVI; ICUR IV,9513).

 

 
 

  

   Per quanto riguarda il tipo di terreno – tufo – in cui solitamente le catacombe erano scavate, rileviamo che queste caratteristiche sono presenti nel nostro sito; pertanto la possibilità tecnica di scavare catacombe nella zona è del tutto ammissibile, data la notevole presenza di ottimo tufo – nel quale sono pure scavate le numerose catacombe romane –, facile a lavorarsi e piuttosto affidabile staticamente, in buona parte del territorio cittadino.

 

   Nel tufo, ad esempio, venne scavata la cavea del locale Anfiteatro (A. Vitiello et al., Lanfiteatro di Larino, p. 76) e con blocchi di tufo si costruirono edifici, anche di grandi dimensioni e sin dal III-II secolo a.C., nella vasta zona pubblica tra le attuali Via Jovine, Torre SantAnna, zona Anfiteatro. Veniva adoperato per lo più per i basamenti degli edifici, data la difficoltà ad essere intagliato in blocchi regolari (A. Di Niro, La zona frentana tra IV e I sec. a.C., in Samnium, pp. 133-134; L.M. Caliò-A. Lepone-E. Lippolis, Larinum: the development of the forum area, p. 93); si veda anche l’uso che se ne fece nello scorso secolo (N. Stelluti, Larino Piano San Leonardo, tufo & C., pp. 123-144).

 

 
 

 

   Possiamo comunque più semplicemente ammettere che i Corpi dei giustiziati provenienti da Lucera siano stati posti all’interno di una necropoli già frequentata, non appartenente specificamente alla comunità cristiana, a motivo della confisca prevista dagli edicta, ancora in vigore, almeno fino a quello di Sardica del 311; anche se, per alcuni autori, sin dal 306 – salita al potere di Massenzio – questa disposizione era difatto disattesa.

 

 
 

 

Un sito, dunque, posto appena al di fuori della cosiddetta Porta Orientale della città, che era anche la più vicina al luogo delle sofferenze patite in carcere e forse anche della morte sopraggiunta per qualcuno di loro, ma soprattutto era la Porta della loro città dalla quale erano usciti per l’ultima volta da vivi e alla quale sarebbero tornati da morti.

 

Anchessi, proprio da quella Porta posta “a oriente” della città nostra, avrebbero atteso la Parusia del Signore che ritorna.

 

 

 

Bibliografia:

 

A. Amore, I Martiri di Roma, Roma 1975

B. Bagatti, Il cimitero di Commodilla o dei martiri Felice e Adautto presso la Via Ostiense, Città del Vaticano 1936

L.M. Caliò-A. Lepone-E. Lippolis, Larinum: the development of the forum area, in «Journal of Roman Archæology», suppl. 83: Local cultures of South Italy and Sicily in the Late Republican period: between Hellenism and Rome, ed. F. Colivicchi, Portsmouth (RI) 2011, pp. 77-111

S. Carletti,  Le antiche chiese dei martiri romani, Roma 1972

C. Cecchelli, SS. Marcellino e Pietro, la chiesa e la catacomba, Roma 1938

Codice topografico della città di Roma, edd. R. Valentini-G. Zucchetti, II, Roma 1942

H. Delehaye, Étude sur le Légendier romain, Les Saints de Novembre et de Décembre, Bruxelles 1936

De locis sanctis martyrum quæ sunt foris civitatis Romæ, in R. Valentini-G. Zucchetti (edd.), Codice topografico della città di Roma, II, Roma 1942, pp. 106-131

A. Di Niro, La zona frentana tra IV e I sec. a.C., in Samnium. Archeologia del Molise (Catalogo della Mostra), edd. S. Capini-A. Di Niro, Roma 1991, pp. 131-134

A. FerruaEpigrammata Damasiana, Città del Vaticano 1942

J. Guyon, Le cimetière aux deux lauriers. Recherches sur les catacombes romaines, Città del Vaticano 1987

L. Hertling-E. Kirschbaum, Le catacombe romane e i loro martiri, Roma 1949, rist. anast. Roma 1996, trad. it [Die römischen katacomben und ihre Martyrer, Wien 1950]

A. Magliano, Brevi Cenni storici sulla Città di Larino, Larino 1925, rist. anast. Larino 1986

U. Pietrantonio, Considerazioni e Osservazioni su alcune Opere di Storia del Molise recenti e passate, Campobasso 1992

N. Stelluti, Larino Piano San Leonardo Tufo & C., «Almanacco del Molise 1992», II, pp. 123-144

Testamentum XL martyrum, ed. A.P. Orbán, trad. it. S. Ronchey, in Atti e passioni dei martiri, edd. A.A.R. Bastiaensen-A. Hilhorst-G.A.A. Kortekaas-A.P. Orbán-M.M. van Assendelft, Roma-Milano 20076, pp. 339-351, 582-583

P. Testini, Archeologia Cristiana, Bari 19802

A. Vitiello-A. Schizzi-M. Antonicelli-D. Wrzy, L’anfiteatro di Larino. Studio architettonico, «Conoscenze», 6, Campobasso 1990, pp. 73-114



 

 


[1]  L. Hertling-E. Kirschbaum, Le catacombe romane e i loro martiri, Roma 1949, rist. anast. Roma 1996, pp. 80-81.

[2]  A. Amore, op. cit., p. 66.

[3]  P. Testini, op. cit., p. 138.

 


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Commenti: 2
  • #1

    Anonimo (lunedì, 27 luglio 2015 12:48)


    Sono sempre l'altro che ha commentato "Martirio a Lucera". Allora se sono tornati a Larino vuol dire che rimagono Larinesi a tutti gli effetti. Devo dire che con l'ultima frase del pezzo mi hai fatto piangere.

  • #2

    pinomiscione (lunedì, 03 agosto 2015 13:57)


    Sì, rimangono Santi Martiri Larinesi a tutti gli effetti.

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