La Buona Novella a Larinum

BEATO ANGELICO

Sisto II consacra il diacono Lorenzo

(1447-1449)

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  el quarantennio successivo alla persecuzione di Valeriano (257-260), la Chiesa, beneficiando dell’editto di tolleranza del figlio Gallieno [primi mesi del 262] (Eus., Hist. eccl. VII,13), ebbe modo di organizzarsi e di fare enormi progressi diffondendosi in tutte le classi , che la breve e fiacca persecuzione di Aureliano (270-275), assassinato di lì a poco, non poté arrestare.  
 

   Le comunità cristiane furono in origine essenzialmente cittadine, composte com’erano di mercanti, artigiani, piccoli esercenti e liberti. Un ruolo propulsivo per la circolazione del nuovo credo dovettero averlo anche quelli che Clemente Alessandrino definisce παρεπίδημοι, ossia coloro che andavano e venivano, toccavano terra in uno scalo commerciale e poi ripartivano. Dopo poco tempo ecco che troviamo notizie di presbiteri e dottori nei villaggi d’Egitto (Eus., Hist. eccl. VII,24,6), di un «diaconus regens plebem» in Spagna [concilio di Elvira (306), can. 77] e di vescovi di campagna in Siria [ε̉πίσκοποι τω̃ν α̉γρω̃ν (Eus., Hist. eccl. VII,30,10); χωρεπίσκοποι (concilio di Ancira, 314), can. 77)], senza peraltro che queste figure intaccassero l’autorità del vescovo urbano.

 
 

 

Questi era assistito dai diaconi (οί διάκονοι), figure corrispondenti al grado più basso del clero superiore, che espletavano diverse mansioni: sostegno ai poveri, amministrazione dei beni, amministrazione dell’Eucaristia e, se richiesti, anche del sacramento del Battesimo. Spesso erano molto più influenti dei presbiteri (οί πρεσβύτεροι) – consiglieri del vescovo, figure dunque in origine più che altro onorifiche, che richiedevano scarso impegno pratico –, benché di rango inferiore, tanto da essere definiti «orecchio e bocca, cuore e anima» del vescovo [Didachè,II,44; cfr. K. Bihlmeyer-H. Tüchle, Storia della Chiesa, I, pp. 132-133, 137-138; prime attestazioni dei diaconi nella Scrittura, in questa accezione: Fil 1,1; 1Tm 3,8-12].

 

   A seconda dei luoghi, si passò da una organizzazione presbiteriale o diaconale, alla forma episcopale di gerarchia, e in tempi differenti [Ch. e L. Pietri (edd.), La nascita di una cristianità (250-430), pp. 73 ss.; per l’Italia, pp. 138 ss.].

 
Civitates e vici Apulia tardoantica
Le "civitates" e i "vici" dell' "Apulia" tardoantica [da Volpe, Contadini, mercanti e pastori..., Bari 1996]
 

 

Il territorio dauno fu il centro propulsore nella diffusione del Cristianesimo nell’intera provincia Apulia et Calabria; è difatti attestata dalle fonti la prevalenza dei vescovi provenienti da queste zone rispetto alle altre realtà urbane più meridionali [Marco di Æcae, Giovanni di Luceria (fine III-IV sec.), Pardo di Salapia (Concilio di Arles del 314), Stercorio di Canusium (Concilio di Serdica del 343)].

 

   Ci è pervenuto difatti, da un’epigrafe funeraria rinvenuta nel cimitero romano dei Santi Marco e Marcelliano, sulla Via Ardeatina, che Annius Innocentius, accolito della chiesa di Roma, «ob ecclesiasticam dispositionem» era stato inviato, alla metà del IV secolo, in diverse diocesi dell’Italia meridionale, tra cui quelle dell’Apulia e di Sardegna, ove morì (ICUR IV,11805; G. Otranto, Italia meridionale e Puglia paleocristiane, pp. 48-49).

 

 
 

 

Il processo di penetrazione del Cristianesimo nell’Apulia settentrionale dovette senz’altro attuarsi attraverso i grandi assi stradali, lambendo innanzi tutto le città più cospicue (ibid., pp. 21 ss.; vd. anche A. Papagna, Il Cristianesimo in Puglia..., pp. 1-3; G. Nigro, Il Molise paleocristiano..., pp. 95 ss.); e Larino, trovandosi allo snodo di importanti arterie, dovette essere tra le prime della provincia ad accogliere il nuovo credo.

 

   Il Ricci (op. cit., pp. 38-40) ipotizza una evangelizzazione operata dall’esule vescovo Pardo e dai suoi «chierici del Peloponneso» sulla strada da Roma a Lucera. Più fondatamente si può dire che un vescovo di nome Pardo partecipò col diacono Crescente al Concilio di Arles del 314: «Ex provincia Apulia civitate Salpiensium Pardus episcopus et Crescens diaconus» (G. Otranto, op. cit., pp. 159-170).

 

  Dato per vescovo della non lontana Arpi sino al citato studio, egli fu invece reggitore di quella che potrebbe essere la più antica diocesi pugliese, avente sede nella città romana di Salapia o Salpi, fondata nella seconda metà del I sec. a.C. [presso od. Trinitapoli, Foggia], a 6 Km da Salapia vetus, di origine greca. Il prof. Otranto ritiene tuttavia che si tratti «di un’ipotesi che non trova fondamento nella Vita (scil. di S. Pardoquella già avanzata dal Lanzoni – che peraltro lo riteneva vescovo di Arpi –, secondo cui il Pardo venerato a Larino possa essere identificato con questo vescovo» (p. 168, n. 31; vd. anche F. Lanzoni, Le Diocesi d’Italia..., pp. 273-275; G. Mammarella, Da vicino e da lontano, pp. 131-136; Id., San Pardo, Campobasso 2011, pp. 28 ss., che la pensa diversamente).

 

  Convengo sul fatto che il Pardo venerato a Larino potrebbe essere stato tutt’altra persona.

 

 
 

 

Le primitive comunità cristiane erano aduse a radunarsi in case private, che perciò vennero chiamate domus ecclesiæ. Ci è noto, ad esempio, che a Roma gli apostoli Pietro e Paolo erano soliti incontrare la locale comunità nella Ecclesia Pudentiana, ovvero la Casa di Pudente, un senatore romano convertito al Cristianesimo, che avrebbe dato il proprio nome al Titolo nei pressi del colle Esquilino (Titulus Pudentis), al presente chiesa di Santa Pudenziana, che pertanto dobbiamo ritenere mai esistita. Gli Apostoli si riunivano anche in un altro luogo sullAventino, la Casa di Aquila e Prisca (Rm 16,3-5), in seguito trasformata nella chiesa di Santa Prisca (sulle presenze dei due Apostoli a Roma vd. O. Marucchi, Pietro e Paolo a Roma, Torino-Roma 1934).

 

A parte qualche azzardata ipotesi formulata da don Pasquale Ricci (Fogli abbandonati di storia larinese..., pp. 37 ss.), il quale identifica quella che egli chiama «domus terranea», posta «in loco ubi dicitur Monumentum», ubicata sul sito in cui  secoli dopo sarebbe sorta la Cattedrale di San Pardo, nulla di specifico ci è noto di un possibile luogo in cui la comunità cristiana dellantica Larinum usava incontrarsi, ma possiamo tranquillamente ritenere che essa adoperava una comoda abitazione, messa a disposizione da qualche membro più abbiente della comunità.

 

 

 

 

 

Visto il livello di corruzione dei costumi, le innumerevoli uccisioni e i soprusi enumerati nell’orazione ciceroniana (Pro Cluentio, passim), i quali assai eloquentemente rendono vivido laffresco della vita quotidiana della Larino romana del I secolo a.C., e che saranno perdurati anche in quelli seguenti, possiamo solo immaginare quali siano state le difficoltà incontrate dai primi evangelizzatori – tra cui certamente vanno enumerati Primiano, Firmiano e Casto – nel diffondere nel territorio larinate il nuovo credo. Ma si mostra evidente che la loro morte cruenta servì a demolire a poco a poco il potere oppressivo di Satana che incombeva sulla città frentana.

 

   Mi piace qui riportare, per restare in tema, un passo del papa Benedetto XVI, a commento della preghiera salmica, che bene evoca l’eterna contrapposzione tra il credo cristiano e l’idolatria imperante in ogni epoca:

 

In questo Salmo (81) … si vede il depotenziamento degli dei. Quelli che apparivano dèi non sono dèi e perdono il carattere divino, cadono a terra […]. E così la trasformazione del mondo, la conoscenza del vero Dio, il depotenziamento delle forze che dominano la terra, è un processo di dolore […]. E si realizza realmente, proprio nel tempo della Chiesa nascente, dove vediamo come col sangue dei martiri vengono depotenziate le divinità, cominciando dall’imperatore divino […]. È il sangue dei martiri, il dolore, il grido della Madre Chiesa che le fa cadere e trasforma così il mondo. Questa caduta non è solo la conoscenza che esse non sono Dio; è il processo di trasformazione del mondo, che costa il sangue, costa la sofferenza dei testimoni di Cristo […]. E nel dolore dei santi, nel dolore dei credenti, della Madre Chiesa della quale noi siamo parte, devono cadere queste divinità, deve realizzarsi quanto dicono le Lettere ai Colossesi e agli Efesini: le dominazioni, i poteri cadono e diventano sudditi dell’unico Signore Gesù Cristo.[1]

 

 

La Scrittura non fa che confermare quanto espresso a braccio dal Pontefice:

 

  Ma essi lo hanno vinto

  grazie al sangue dell’Agnello

  e alla parola della loro testimonianza,

  e non hanno amato la loro vita

  fino a morire.

  (Ap 12,11)

 


 

 

Ma quanti erano i cristiani di Larino all’inizio della grande persecuzione dioclezianea?

 

   Postulato che parrebbe poco credibile ritenere che essa fosse diretta ad personas, e considerato che in quell’epoca la città «da dove il Cristianesimo penetrò nel Molise» (S. Moffa, Martiri del Molise delle primitive comunità cristiane, p. 113) avrà avuto certamente una popolazione relativamente cospicua, possiamo congetturare, con un certo fondamento, quanto segue:

 

il Magliano (Larino cit., p. 35) stima la popolazione della città, nel suo maggiore sviluppo, a oltre i 100.000 abitanti[2], ritenendo l’area occupata pari a 165 ettari; tuttavia questa valutazione appare, allo stato attuale delle conoscenze effettivamente desunte dalle indagini archeologiche, fin troppo ottimistica, vista la superficie realmente urbanizzata corrispondente a meno di un quarto di quell’area (336.000 m²) sui 900.000 totali racchiusi all’interno dei 5 chilometri del perimetro delimitato dalla cinta muraria (E. De Felice, Larinum, p. 43, n. 199).

  

  Secondo larcheologa Di Niro, labitato occupava unarea «a forma di boomerang che ha nel vertice lanfiteatro ...; dei due bracci luno si estende(va) verso il Montarone ... laltro ... verso Torre S. Anna e sembra particolarmente fitto di strutture, pubbliche e private» (LAnfiteatro di Larinum, pp. 9-10).

  

   Alla luce di ciò, dobbiamo verosimilmente quantificare la popolazione della Larinum romana – per approssimazione – in qualche decina di migliaia di abitanti, con una comunità cristiana che ne avrebbe potuti contare, a mio avviso, da diverse decine a qualche centinaio; numero questo sicuramente abbastanza consistente, anche se dobbiamo valutare che solo una minima parte di loro – probabilmente poche decine – avrà subito il martirio sotto Diocleziano.  

 

 
 

 

   Vediamo difatti, ricercando una qualche analogia, come verso il 200 la comunità cristiana di Roma raggiungeva le 10.000 unità (L. Hertling-E. Kirschbaum, Le catacombe romane e i loro martiri, p. 28), mentre già a metà del secolo, durante la persecuzione di Decio (249-251), a fronte di una popolazione complessiva di circa mezzo milione di abitanti, quanti ancora ne poteva contare la Capitale dell’Impero, la comunità cristiana – le cui origini vanno però ricondotte alla venuta di Pietro nell’anno 42 – registrava, secondo alcune stime, circa 30.000 adepti, vale a dire il 6% della popolazione (A. von Harnack, Die Mission Und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten, II, p. 806).

 

   Essa era a quell’epoca servita, come ci riferisce una lettera di papa Cornelio (251-253) al vescovo di Antiochia Fabio, da un numeroso clero, composto da 46 presbiteri, 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 esorcisti, vari lettori e custodi dei luoghi di culto nonché più di 1.500 tra vedove e poveri cui provvedeva la carità collettiva (Eus., Hist. eccl. VI,43,11).

 

   Mezzo secolo dopo, alla fine delle persecuzioni, la comunità romana poteva contare dai 70.000 ai 100.000 membri, a fronte di una popolazione che era andata ancora diminuendo (L. Hertling-E. Kirschbaum, op. cit., pp. 28, 81, 189). Quanti fossero stati i martiri romani nel corso della persecuzione dioclezianea non è facile calcolarlo, ma certamente si trattò di una cifra enormemente inferiore a quella complessiva dei cristiani della città.

 

 
 

 

    Per certo abbiamo notizia soltanto che durante la prima persecuzione, quella neroniana dell’estate-autunno del 64, seguita all’incendio dell’Urbe di quel luglio, essi furono una «multitudo ingens» (Tac., Ann. XV,44) – qualche centinaio di persone può rendere accetta l’espressione –, a fronte di una comunità rappresentante una «abundante… multitudine» (Sulp. Sev., Chron. II,29), che comunque qualche autore valuta già fosse, sin dall’anno 49, nell’ordine di decine di migliaia (M. Simon, Remarques sur les origines de la chrétienté romaine, p. 42).

 

 
 

 

   Per concludere, possiamo dire che «il numero dei veri martiri è molto più grande di quello di coloro dei quali possiamo dimostrare il culto, anche nella persecuzione di Diocleziano» (L. Hertling-E. Kirschbaum, op. cit., p. 81). Dello stesso parere il più grande agiografo dello scorso secolo: «Il y a donc beaucoup plus de martyrs qu’il n’y eut d’anniversaires institués» (H. Delehaye, Les origines du culte des martyrs, p. 458).

 

 

 

Bibliografia:

 

K. Bihlmeyer-H. Tüchle, Storia della Chiesa, ed. I. Rogger, trad. it. [Kirchengeschichte, Paderborn 1951], I. L’Antichità Cristiana, trad. it. [Das christliche Altertum, Paderborn 1951], Brescia 199413

Cicero, Pro A. Cluentio oratio (L’orazione per Aulo Cluenzio Abito), ed. G. Pugliese, Milano 1972

G. De Benedittis-A. Di Niro (edd.), L’Anfiteatro di Larinum. Iscrizioni, monete, sepolture, Campobasso 1995

E. De Felice, Larinum, Firenze 1994

H. Delehaye,  Les origines du culte des martyrs, Bruxelles 19332

Διδαχὴ  του̃  Κυρίου διὰτω̃ν δώδεκα α̉πσοτόλων τοι̃ς έθνεσιν [Insegnamento del Signore ai gentili, trasmesso dai dodici apostoli] (Didachè), in  SS. Patrum Apostolicorum opera, ed. S. Colombo, Torino 1949

L. Hertling-E. Kirschbaum, Le catacombe romane e i loro martiri, Roma 1949, rist. anast. Roma 1996, trad. it. [Die römischen katacomben und ihre Martyrer, Wien 1950]

F. Lanzoni, Le Diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604). Studio critico, 2 tt., Faenza 19272, rist. anast. Modena 1980

G  e A. Magliano, Larino. Considerazioni storiche sulla Città di Larino, Campobasso 1895, rist. anast. Larino 2003

G. Mammarella, Da vicino e da lontano. Sacro e profano nella ricostruzione di fatti emblematici della storia di Larino e del circondario, Larino 1986

G. Mammarella, San Pardo. Patrono principale di Larino e diocesi, Campobasso 2011

O. Marucchi, Pietro e Paolo a Roma, ed. postuma a cura di C. Cecchelli, Torino-Roma 1934

S. Moffa, Martiri del Molise delle primitive comunità cristiane, in «Almanacco del Molise 1989», II, pp. 105-114

G. Nigro, Il Molise paleocristiano dalle origini a Gregorio Magno, in «Vetera Christianorum» 40 (2003), pp. 93-116

G. Otranto, Italia meridionale e Puglia paleocristiane, Bari 1991 [ma 1990]

A. Papagna, Il Cristianesimo in Puglia fino all’avvento dei Normanni (1071), Bari 1993

Ch.e L. Pietri (edd.), La nascita di una cristianità (250-430), in Storia del cristianesimo: religione, politica, cultura, II, edd. J.-M. Mayeur et al.; ed. it. A. Di Berardino, Roma 2000

D. Priori, La Frentania, I, Lanciano 1942, rist. anast. Lanciano 1980

P. Ricci, Fogli abbandonati di storia larinese raccolti in continuazione del Tria, Larino 1913, rist. anast. Larino 1987

M. Simon,  Remarques sur les origines de la chrétienté romaine, in  Religion et culture dans la cité italienne, Strasbourg 1981, pp. 40-50

A. von Harnack, Missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli, Milano 19543, trad. it. [Die Mission Und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten, II, Leipzig 1924]

 

 

 


   [1]  Benedetto XVI, Meditazione nel corso della prima Congregazione Generale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (11 ottobre 2010).

    [2]  Il Priori, più prudentemente, si attesta sulle «molte migliaia di abitanti». Descrive poi le mura alte 12 metri e le numerose torri che circondavano la città antica (La Frentania, I, Lanciano 1942, rist. anast. Lanciano 1980, p. 93).

 

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